RACCONTO: Saltimbanchi
Quando Azia entrò nella saletta comune dove si erano dati
appuntamento si scoprì a tirare un mezzo sospiro di sollievo al vederli tutti
lì.
Visto il palese astio nei suoi confronti da parte della sua
vecchia coorte di appartenenza, a cui era stata riassegnata temporaneamente con
il grado di vice-comandante, non era certa di trovarli. Specialmente
considerando le motivazioni recondite di quell’astio.
Domiziano, accanto a lei, non era in una posizione migliore,
dal momento che agli occhi di Gautighot e compagni sembrava parteggiare
apertamente per il “nemico”. Oltretutto, dopo averli fatti passare per
traditori e disertori per portarli in Egitto, dove infine tutto era
precipitato.
Azia si scoprì la bocca secca sotto gli sguardi accusatori e
di odio dei suoi vecchi compagni d’arme. Mantenne, comunque, la sua solita
facciata di glaciale indifferenza e con un’occhiata colse tutti i segni che
presagivano la distruzione di quella squadra, mandando alla volta del suo pater
un improperio niente affatto gentile o quanto meno contenuto al ricordo del
loro ultimo colloquio, durante il quale Diocleziano con estremo savoir fair
aveva decretato: «Dovrai fare una cosa per me, mia cara. Se vuoi, puoi vederla
come forma di espiazione per quello che hai combinato cinque anni fa, qualunque
colpa essa sia, visto che non me ne hai mai voluto parlare. Quindi, come
vicecomandante e come sapiente, ti esorto a ricomporre quella coorte. Mi
seccherebbe vederla iscritta anzitempo sul Cippo delle Stelle per dei motivi
così futili e che in una squadra non dovrebbero esistere. Tipo la sfiducia nel
proprio compagno.»
Non aveva potuto replicare, ma anche se l’imperatore l’avesse
lasciata parlare, lei non aveva avuto in quell’occasione parole da pronunciare.
Si era limitata ad annuire e a prendere accordi con quelli che erano rimasti
della sua coorte, la VI Arcana.
Il conciliator, Massimo Saverio Quinto, aveva richiesto il
trasferimento presso la sede di un Magisterium, non sentendosi adeguato al
lavoro sul campo nella Legio M Ultima. Non aveva potuto dargli torto, visto e
considerato il modo in cui tremava quando qualcuno di loro sguainava una lama. Così
se n’era andato, e quella era stata la perdita più serena che la sua coorte
aveva avuto. Lux Nera, la divinatrix, era morta in missione, lasciando nel suo
cuore e in quello dell’esploratore retico un vuoto che difficilmente sarebbero
mai riusciti a colmare. Ma il dolore più grande era legato alla guerriera
daciana. Dopo la morte di Lux, avevano dovuto subire e in una certa misura
appoggiare la sua diserzione. Semplicemente, aveva deciso di aggregarsi agli
Assassini di Seth e questo era stato – soprattutto per Tolomeo – un affronto
all’onore.
Perdite dannatamente gravi e dolorose, per la sua coorte.
Certo, durante quell’ultima missione in Egitto, sfociata poi nella repressione
brutale di una guerra civile sulla piana di Menfi, aveva guadagnato un nuovo
sapiente, Gawain Gallicano.
Tutto questo passò per la mente della sapiente mentre
varcava la soglia e si dissolse nella maschera di ghiaccio che portava sul viso
nel momento in cui la porta alle sue spalle si chiuse con uno scatto leggero e
i suoi occhi passarono in rassegna quella che era di nuovo la sua coorte,
cogliendo tutte quelle sfumature che il suo pater aveva colto molto prima di
lei. E, a voler essere sincera con se stessa, non era un bel vedere.
«Dunque, l’Imperator ci concede del tempo per sistemare la
squadra prima di partire per la cerca che ci è stata assegnata.» Non si
soffermò a salutare, era un gesto superfluo, mentre studiando i due guerrieri,
il divinator in disparte e l’esploratore alle spalle del comandante Gautighot,
decideva il da farsi. E non era una decisione facile, specialmente quando
avrebbe dovuto tenere a bada i suoi compagni della VI comunicandola.
«Partiamo subito.» Ordinò Gautighot, che raccolse cenni di
approvazione da Elettra ed Eliogabalo.
«Direi proprio di no. Partiremo quando saremo pronti.»
«Già pronta a dare ordini, pricipessina?» Il tono
cantilenante di Eliogabalo Silente era carico di sarcasmo e disprezzo, che lei
puntualmente ignorò, come aveva sempre fatto con lui.
«Mi è stato ordinato di pensare a una copertura per muoverci
liberamente per la provincia, quindi mi sono data da fare. Sono qui a
illustrarvi la mia idea, anche se sono sicura non sarete mai in grado di
metterla in pratica.»
«Cos’è, sfotti?» Il ringhio incattivito era di Elettra,
mentre Gautighot stringeva gli occhi studiando la fonte di tutti i suoi guai e,
soprattutto, studiando le pose in apparenza indolenti dei suoi compagni, vigili
come pochi e pronti a scattare al minimo cenno contro di lei.
Azia scosse la testa, replicando gelida: «Mi limito a
constatare i fatti. Siete in condizione penosa per essere una coorte. Se
andiamo in missione subito, tempo due settimane e siete morti.»
«Beh, la cosa avrebbe un certo fascino… spediremmo nell’Ade
anche te.»
La sapiente volse la testa verso l’esploratore retico, come
Marzio, e lo guardò come se fosse trasparente, cosa che sapeva bene lo faceva
infuriare. Come da previsione vide l’ira montare nell’uomo e amaramente
constatò che lui non era cambiato in quei cinque anni. Prima che esplodesse,
gli rispose: «Mi spiace deluderti, ma vedi, Eliogabalo, io ho una squadra alle
spalle. Una vera, che non mi abbandonerebbe al mio destino se non fosse
assolutamente necessario. Cosa che non posso dire di voi.»
«Ma sentila, la domina…»
«Voi avete perso la fiducia. E se non vi fidate di chi vi
sta accanto, siete già morti.»
«Sei venuta a darci lezioni di filosofia e morale, piccola
intrigante?» Elettra infine era esplosa. Non sopportava proprio quell’atteggiamento
arrogante e superiore, spocchioso.
Azia la guardò appena, arrivando a piantare gli occhi in
quelli slavati del vecchio divinator, Pendaran. Quasi si sorrisero,
comprendendosi come non avevano mai fatto quando erano in squadra assieme. «Se
volete delle lezioni di filosofia o di morale non avete che da pagarvi un aio.
Io sono qui solo per creare una copertura e per l’idea che ho in mente serve
che ci sia cieca fiducia gli uni negli altri. Cosa che non vedo.»
«Sei diventata cieca allora. Io ho cieca fiducia nel mio
comandante.» Lo sbotto di Eliogabalo costrinse le labbra della rossa sapiente a
contrarsi in una parvenza di sorriso, dando alla maschera vuota e distaccata
del volto un’espressione ironica e canzonatoria che scomparve quasi subito.
«Ma lui ne ha altrettanta in te? E in Elettra? Domiziano? Pendaran?»
«Quei due ci hanno ficcato nel più grosso guaio della nostra
vita e per cosa, poi?»

«Da cosa pensavi di mascherarci, oh nobile sapientona?»
Arrivata al centro del cortile, la piccola ed esile donna si voltò a fronteggiare il
gigante germanico, piegando indietro la testa per piantargli in volto due occhi ametista carichi di sfida e, incrociando le braccia al petto, rispose piatta: «Saltimbanchi».
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