STORIA - I romani e l’arte: la danza
Apro con questo post una serie di articoli che parlano del rapporto che i romani avevano con l'arte.
Una delle arti che però i romani non riuscirono mai a far propria davvero fu la danza, che rimase campo indiscusso soprattutto delle regioni elleniche ed orientali, specialmente per quello che riguardava la danza fine a sé stessa o legata a ritualità ben più antiche e radicate nella cultura dei territori assoggettati. Solo nelle epoche più recenti venne integrata pesantemente nella vita pubblica, ma pur amando veder danzare, i romani non divennero mai, specie nelle classi agiate, danzatori.
La bellicrepa era una danza armata che
risale ai tempi di Romolo, quindi più probabilmente di derivazione latina piuttosto
che puramente romana, accezione questa del termine come già detto non esatta in
quanto i romani non furono mai grandi danzatori, pur finendo – specie in epoca
imperiale quando la conquista dell’Ellade infonde in Roma tutta quella cultura
classica che si è tramandata fino a noi – per apprezzarla molto in quasi tutte
le sue variazioni sul tema. La ferrea disciplina e la profonda fede in quell’ideale
che era Roma e nei propri condottieri limitò nel tempo le danze di guerra fino
a sostituire completamente l’eccitazione derivante da essa con l’eccitazione
dell’aspettativa, per trionfare infine nella vittoria.
Nelle classi più agiate, comunque, gli antichi romani non si dedicavano alla danza pur amando moltissimo veder ballare gli altri e con la liberalizzazione della donna in epoca augustea non fu infrequente veder a teatro donne impersonare ruoli femminili che prima erano interpretati da uomini e giovani imberbi.
Una delle
più grandi doti dei romani è stata senz’altro quella dell’integrazione dei
popoli che sottomettevano, facendo propri usi e costumi interessanti e portando
ciò che i barbari con le invasioni anelavano. È pensiero comune, in effetti,
che le invasioni barbariche fossero dovute alla volontà selvaggia di popoli
meno evoluti di distruggere l’impero e appropriarsi dei suoi territori. La cosa
è vera solo in parte: ciò che i popoli barbari vedevano era un paese ricco e
persone agiate o comunque che non vivevano nell’indigenza più pura come spesso
accadeva ai popoli nomadi di oltre confine. Era assolutamente normale, quindi,
anelare e desiderare lo stesso benessere e sconfinare quindi non tanto per
distruggere, quando per conquistare lo stesso benessere.
Una storia, questa, che a distanza di più di duemila anni continua a ripetersi uguale con i viaggi della speranza di clandestini che si ammucchiano in condizioni disperate su barconi sul punto di affondare da un momento all’altro.
La dote dei romani di accorpare culti e assorbire culture li portò ad apprezzare grandemente l’arte: la monumentalità di certe strutture architettoniche, la purezza delle linee di certe sculture arrivate più o meno integre fino a noi ispirando le corrente settecentesche del neoclassicismo, hanno reso Roma grande anche in ambito civile oltre che militare.

La dote dei romani di accorpare culti e assorbire culture li portò ad apprezzare grandemente l’arte: la monumentalità di certe strutture architettoniche, la purezza delle linee di certe sculture arrivate più o meno integre fino a noi ispirando le corrente settecentesche del neoclassicismo, hanno reso Roma grande anche in ambito civile oltre che militare.
Una delle arti che però i romani non riuscirono mai a far propria davvero fu la danza, che rimase campo indiscusso soprattutto delle regioni elleniche ed orientali, specialmente per quello che riguardava la danza fine a sé stessa o legata a ritualità ben più antiche e radicate nella cultura dei territori assoggettati. Solo nelle epoche più recenti venne integrata pesantemente nella vita pubblica, ma pur amando veder danzare, i romani non divennero mai, specie nelle classi agiate, danzatori.
Plutarco
sottolinea nei suoi scritti la grazia con cui i sacerdoti di Marte danzavano e
Luciano definisce “danza maestosa” il tripudium, ma la verità è che la danza
come forma artistica rimane sottomessa alle finalità pratiche di un popolo
guerriero e conquistatore che, in tempi di pace, diventa estremamente
produttivo in quasi tutti i settori.
Bisogna
capire, innanzitutto, che la danza come noi la intendiamo è assai diversa dalle
danze della Roma Antica. Le più antiche forme di ballo, di derivazione
paleolitica, della penisola italica furono guerresche e religiose e fin quasi
all’epoca imperiale mantennero principalmente questa linea generale. La danza,
insomma, non era una faccenda per tutti se non nei casi prescritti da
determinate ritualità che dall’epoca dei sette re si protrassero fin dopo la
Repubblica.
Per
comprendere come veniva considerata la danza, si citeranno due casi derivanti
dalla Roma Arcaica.

Il tripudium che encomiava le gesta eroiche
dei grandi conquistatori era invece un ballo di derivazione etrusca, segno
questo che la contaminazione culturale è stata propria dei romani sin dall’inizio,
finanche a far due di loro re, come noto. Successivamente divenne una danza
sacerdotale legata ai cicli della coltivazione, perdendo ogni significato inizialmente
belligerante.
L’evoluzione
storica della danza nell’impero romano, quando ancora impero non era, la vide esclusivamente
come un complemento spettacolare dei ludi circensi, complemento che venne in breve
sostituito dalla pantomima, una forma di danza che, con un unico attore muto in
scena, mimava i gesti dei personaggi eroici, dei miti divini e di qualunque
altro grande tema amato dagli antichi.
Questo
ammorbidimento nell’ambito civile fu dovuto sicuramente all’influsso della
civiltà ellenica conquistata in epoca tardo repubblicana, le tradizionali
regole di austerità e sacrifici sbiadirono acquisendo le movenze e le forme
eleganti della cultura classica, la sottile arte dell’oratoria, la piacevole
mollezza e il lusso esagerato portando poco alla volta a una fusione tale che
persino in ambito religioso le antiche divinità elleniche vennero romanizzate:
alcune trasformate, altre sostituite, altre ancora andarono a sostituirsi a più
antichi culti prettamente sabini e latini finendo per identificarsi imprescindibilmente
le une con le altre.
In epoca
repubblicana prima e in quella imperiale dopo la danza divenne una forma d’arte
legata soprattutto ai modelli importati sia etruschi che greci – come la
pantomima appunto – diventando importante nello studio dei giovani rampolli
patrizi che vennero così avviati allo studio di questa nuova arte “straniera”.
Bisogna
precisare, comunque, che la pantomima greca era solitamente una rappresentazione
dell’azione drammatica senza l’uso di parole e raffigurava come già detto il
mito e la leggenda legate alla storia degli dèi e degli eroi affermandosi in
breve come forma di danza molto gradita dal popolo romano che, però, pur
studiandola nelle classi abbienti, non divenne mai veramente un popolo di
danzatori, lasciando questo compito sempre a importanti figure provinciali,
principalmente elleniche o afro-asiatiche.
Per il resto
la danza romana fu una rielaborazione di temi già esistenti quali:
combattimenti, morte, fertilità, iniziazione, nozze, ecc.; ricalcando schemi noti:
danze animali, mascherate e imitative, eseguite in circolo, in coppia, in
processione o su fronti contrapposti.
Famose
furono le Danze del Gioco di Troia, che dovevano rievocare l’orgoglio dell’origine troiana di Roma,
origine sfruttata anche a giustificazione della conquista greca. Questa danza era
eseguita in processione dai giovani seguendo lo schema a spirale del labirinto
greco o cretese, ma in essa confluiscono sia reminescenze latine probabilmente
derivanti dalle più antiche influenze cretesi dettate dagli scambi commerciali,
sia le più recenti “importazioni” elleniche; forse in essa i Romani trovarono
uno speciale significato del vagabondaggio di Enea dopo la fuga da Troia fino
alla fondazione della stessa Roma. Fu successivamente alla liberalizzazione del
ruolo della donna in epoca imperiale che la danza divenne spettacolo apprezzato
a tutti i livelli, fino a importarla nelle lussuose domus romane per allietare
banchetti e riunioni di amici o di affari e le celebri saltatrici di Cadice, le Gaditane,
appassionarono gli antichi Romani con le loro danze focose come riportano molti
autori, vedi Marziale nei suoi epigrammi e Plinio il giovane in una sua lettera.
A Roma le nacchere o castagnette
accompagnavano il ritmo delle danze popolari, dette crotalia,
talvolta di bronzo. Nei teatri si usava dare la cadenza con zoccoli di legno o
di ferro battendo sul palco di legno facendolo risuonare, zoccoli chiamati scabilla,
il cui termine più che romano è latino.
Rispetto al
più colto ambito cittadino, la danza divenne un fenomeno di massa nelle
campagne, legandosi profondamente ai riti propiziatori dei raccolti o alle
grandi festività in onore di un dio piuttosto che di un altro. Ricordiamo, per
esempio, la derivazione dei balli iniziatici delle Floralia legati ai riti
celtici del calendimaggio e rievocati in tutta Europa fino in tardissima età
per essere poi ripresi in età moderna in occasione di rievocazioni storiche di
vario titolo, specialmente in ambito di ricostruzione celtica. Oppure anche i
Saturnalia o i rituali dionisiaci (poi baccanali): da danze di pochi divennero
danze di folla e nei casi soprattutto di queste ultime due occasioni si
trasformarono ben presto in danze sfrenate fino a diventare, nel caso dei
baccanali, lascive danze orgiastiche.
Cosa alquanto
comprensibile viste le tremende condizioni di vita e di povertà del popolino
che in quelle occasioni poteva dimenticare per un po’ il peso della propria
povertà e alleviarsi l’animo dalla difficile esistenza, lasciandosi andare all’istinto
e alla libertà di movimento che la danza offriva durante i svariati giorni cui
erano dedicate queste festività.
I Romani
presero dai Greci i Baccanali, la cui origine era religiosa: all'inizio
riservati alle sacerdotesse e ai sacerdoti di Bacco, successivamente si
estesero al popolo con danze via via sempre più lascive e sfrenate, arrivando a
essere addirittura promiscue. L’iconografia cui siamo più spesso abituati
associare le baccanti – grazie anche a una certa re-interpretazione
rinascimentale in chiave squisitamente cristiana – mostra queste sacerdotesse danzare
con le vesti in disordine, la testa e le braccia rovesciate all’indietro, la
schiena e il busto flessi e in torsione, i capelli scarmigliati, le mani che
impugnano sonagli, nacchere o cimbali, le gambe divaricate, oppure accucciate a
terra con una gamba protesa in avanti, tutte posizioni di chiaro invito erotico
e sessuale assolutamente distanti dalla realtà. Se anche era vero che in epoca
romana come in quella precedente le sacerdotesse dei vari culti praticavano la
prostituzione sacra, l’associare i baccanali e le baccanti a feste orgiastiche
è una reinterpretazione cristiana voluta e cercata per diffamare il paganesimo
al fine di soppiantarlo in tutto, usi e costumi compresi, riuscendoci in parte
distruggendo i miti e in parte assorbendoli in sé.
Un’altra
danza di derivazione religiosa che imperversò nella cultura più popolare di
Roma era il Lupercalia, nome derivato
dalla celebrazione delle calende di marzo della festa dedicata al dio Pan.
Durante questa festività i sacerdoti di Pan percorrevano le vie della città
completamente nudi, armati di un frustino percuotevano la folla a passo di
danza.
Nelle classi più agiate, comunque, gli antichi romani non si dedicavano alla danza pur amando moltissimo veder ballare gli altri e con la liberalizzazione della donna in epoca augustea non fu infrequente veder a teatro donne impersonare ruoli femminili che prima erano interpretati da uomini e giovani imberbi.
Si associa
generalmente il ballo dell’epoca romana, sia dalla fase più antica a quella più
recente, al teatro in quanto era questo il luogo dove più di tutti si danzava.
Le quattro forme di danza, sacre, guerriere, teatrali e domestiche erano
riservate a momenti particolari, ma solo quella teatrale era rivolta a tutti ed
era per tutti, suddividendosi così in ulteriori quattro sottotipi: tragiche,
comiche, satiriche e pantomimiche.
L’uso della
danza in teatro e la sua ampia diffusione lo si deve ancora una volta non tanto
all’amore dei Romani per questa forma d’arte, quanto per l’aver assimilato la
cultura greca; come in tutte le cose che i romani assimilavano e facevano
propri, però, raggiunsero anche in questo una perfezione di livelli mai visti
nelle epoche precedenti e nelle culture dove la danza era nata. Tale
perfezione, comunque, trovò il suo maggior consenso nella pantomima, che crebbe
assai diversa da quella di origine: partendo dai temi cari a greci e romani,
prettamente della tragedia greca, un unico attore recitava sul palco in asolo
senza emettere un solo suono muovendosi a ritmo di musica per meglio
interpretare il momento. Dalla tragedia alla commedia il passo fu breve e ben
presto questo ballo divenne satirico, volgare e deliberatamente erotico e senza
più guardare in faccia a nessun potente denunciava e smascherava – rimanendo impunito
in quanto, appunto, satira – il potere e l’abuso tramite la messa in ridicolo
del personaggio famoso di turno.
Nella prima serie
“Roma” della HBO, quando i due legionari Tito Pullo e Lucio Voreno diventano da
rei di omicidio (Tito Pullo) e complice per difesa nell’arena (Lucio Voreno) e
assurgono a “eroi popolari” per la loro fedeltà alla legione e a Cesare, si
vede chiaramente uno spettacolo di pantomima messo in scena con dei nani a
rappresentare proprio quegli eventi. Nella serie, la moglie di Gneo Pompeo
Magno chiede di andare a casa perché lo spettacolo è, appunto, oltremodo
volgare, ma il risvolto politico sottilmente messo in risalto da quella scena è
mostrare al popolo come il rispettato console della Repubblica stesse perdendo
consensi e potere rispetto al generale Caio Giulio Cesare.
Nell’ucronia
storica di nostra invenzione la danza rimane un’arte apprezzata dai romani e
pur addentrandoci nel III-IV secolo d.C., rimane comunque un’attività teatrale
e di intrattenimento domestico prevalentemente nobiliare, con le poche accezioni
popolane descritte sopra e i danzatori rimangono comunque relegati al ruolo di
schiavi o saltimbanchi di origine provinciale e fortemente radicati a una
cultura originaria che difatto Roma assorbì e fece propria e reinventò in quel clima
di tolleranza e globalizzazione che la portò a essere grande.
Purtroppo
nella realtà molto di quanto si era raggiunto venne successivamente abbandonato
o censurato o travisato, anche contro l’arte della danza e in special modo
contro danzatori e pantomimi la Chiesa lanciò i suoi anatemi; nonostante tutto le
arti di cui erano latori perdurarono fino proprio al periodo in cui noi siamo
andati a innestare la nostra ucronia, quando la Chiesa condannò la danza nei
luoghi sacri e visto la devastazione degli stessi che essa perpetrò di luoghi
sacri che non fossero cristiani ne rimasero ben pochi.
L’uomo però
è sempre stato un animale sociale, da branco, e fin dalla notte dei tempi ha
espresso la sua gioia e la sua gratitudine alla vita e alle divinità più
disparate suonando, cantando e danzando. Si hanno testimonianze di quanto
questo sia continuato anche per tutto l’Alto Medioevo e fino al XII-XIII sec.
grazie alle innumerevoli testimonianze riportate dai vari archivi storici
ecclesiastici in merito a un fioccare continuo di condanne e scomuniche atte a
punire questa forma d’arte che è sempre stata (ora meno se non proprio non più)
anche un’espressione sacra. Ma papi e vescovi dell’antichità (e ahinoi anche
molti papi e vescovi moderni) la vedevano come figlia del diavolo e quindi
blasfema.
Certo, c’è
da chiedersi come mai furono così rigidi e severi – se non per quella bestia
dagli occhi verdi che si chiama gelosia o invidia – visto che i testi sacri
della chiesa cristiana sono Vecchio e Nuovo Testamento e in essi i riferimenti
alla danza e alla musica sono numerosissimi e tutti (o quasi) volti a
glorificare e lodare Dio. Come quando (Esodo 15:20, 21) Miriam insieme ad
altre donne suonano tamburelli e danzano per lodare Dio e ringraziarlo del
passaggio indenne del popolo ebraico in fuga del Mar Rosso.
A volte però
il canto e la danza avevano a che fare con la falsa adorazione, come quando (Esodo
32:1, 35) Aaronne fece una festa dedicata a Dio, dopo aver fatto il vitello d'
oro, Tutti sappiamo come fu la reazione di Dio.
Ma le danze
citate nella bibbia sono anche quelle delle feste annuali come le (Giudici
21:21) danze in cerchio tenute a proposito della festa annuale a Silo. Si
danzava anche per celebrare le vittorie (Giudici 11:34 e 1Samuele 18:6, 7),
oppure per l’incoronazione di un re, (1Re 1:40). Anche vendemmia e tosatura
delle pecore erano occasioni di gioia e di festa, come anche i matrimoni.
Inoltre i
Salmi incoraggiavano la danza come mezzo per onorare e lodare Dio.
Lodate Iah!
Lodino il suo nome con danze. Con tamburello
e con arpa gli innalzino melodie
Lodatelo con tamburello e danza in cerchio.
(Salmo
149:1,3, 150:4).
Mentre nel
Nuovo Testamento (Luca 15:25) si racconta di una grande festa con un concerto
musicale e danze, fra il gaudio generale per il ritorno del figliol prodigo.
Ma questa è
un’altra storia.
Fonti:
Che bellezza. Grazie per il vostro blog e i vostri articoli (e anche per i rimandi ad altre fonti, che amplificano ulteriormente gli argomenti).
RispondiEliminaState facendo Cultura - si, C maiuscola - ed è cosa buona e giusta.
-- Muriel
Grazie per il tuo commento Muriel! Continua a seguirci...continueremo a stupirti!
RispondiEliminaMuriel... mi commuovi.
RispondiEliminaGrazie e, sopratutto, grazie a te. Lettori come te sono la mia principale fonte di ispirazione per questo genere di articoli.
Azia