OPINIONI - Fantasy italiano: solo una questione di gusti?
Questa è la domanda che mi sono posta tempo addietro,
nella più totale ingenuità, incalzata dai sempre più insistenti sussurri
(con incremento di grida) che circolano tra gli amanti del genere fantastico,
assidui consumatori di suddetta narrativa nonché naviganti della rete. Da
appassionata lettrice onnivora, ma con una predilezione per il fantasy, mi sono
accorta di aver letto fino a quel momento, più per caso che per scelta
consapevole, quasi totalmente autori stranieri. E'cominciato così il mio
interesse a porre uno sguardo più attento a quanto accade nel Bel Paese.
Ogni anno fioriscono sempre nuovi eventi a tema e le fiere del settore fantasy nascono come funghi. Ottima cosa, direte voi, e senz'altro lo è, dico io. Molto meno è la triste ipocrisia che ci gira attorno. Più che comprensibile che gli autori si comprino i libri l'un l'altro per non essere scortesi ma sarebbero da evitare le lodi sperticate a voce alta ovunque quando poi si diffondono critiche feroci nell'ombra; servilismo e recensioni friendly perché ormai si fa parte del sistema nonché, perla tra le perle, sparate di editori che, credendo di non essere uditi, parlano dei giocatori di ruolo come persone “da sottoporre a visite psichiatriche, dissociate e bipolari.”
Evidentemente c'è qualcosa che non va. Si ha l'impressione
che il fantasy venga considerato oggi dall'editoria la nuova gallina dalla uova
d'oro, questo grazie anche ad un rinnovato interesse delle masse risvegliato da
una filmografia in grado trasporre eccellentemente su pellicola ciò che fino a
ieri era prerogativa immaginifica della carta stampata.
Non si può però vedere un icesberg se si sta incollati con
il naso alla sua parete ghiacciata. Bisogna scostarsi un po' da esso,
allontanarsene, e anche così si ha la certezza che non si riuscirà comunque a
coglierlo nella sua completezza perché è più ciò che nasconde che quanto rivela
alla vista. Tale è il mondo dell'editoria, ma diventa necessario fare qualche
considerazione a monte su di esso per capire meglio quanto sta accadendo nel
settore che noi amiamo.
Walsh Pat, uno dei cinque editor di una grossa casa editrice
di Los Angeles che pubblica dai 30 ai 60 libri all'anno a fronte di 4000
manoscritti ricevuti, rivela nel suo interessante saggio - "78
ragioni per cui il vostro libro non sarà mai pubblicato e 14 motivi per cui
invece potrebbe anche esserlo" – quello che noi possiamo definire
essere “il segreto di pulcinella” dello scrittore: indispensabile per
pubblicare un libro è la conoscenza del mercato editoriale. Sembra di una
ovvietà estrema, eppure la maggior parte degli autori vive sull'inconsistente
miraggio atavico di “sfondare” sapendo poco o nulla dei meccanismi del
commercio librario e delle regole che ne stanno alla base.
Walsh, con la precisione chirurgica di chi è del mestiere,
snocciola carenze come: non sapete come si fa a vendere i libri, non sapete che
l'editoria è fatta di cifre e non di parole, non capite la sottile arte delle
perdite e dei profitti, non capite il ruolo dell'autore e via discorrendo.
Potrà sembrare cinico eppure se non si conoscono questi
aspetti si possono tranquillamente inviare manoscritti vita natural durante o
ritrovarsi a pagare per veder stampata la propria opera (e finire magari con il
regalare le copie ad amici e parenti). Qui trovate
una sua interessante intervista sul processo di selezione dei manoscritti.
Lo so cosa state pensando: ma figurati, quella è l'America e
sappiamo tutti che è la patria del capitalismo squalo! Qui in Italia abbiamo un
foltissimo sottobosco di case editrici che, assicurano, si occupano della
promozione degli scrittori esordienti dando a loro la possibilità di emergere!
Benissimo. Veniamo a noi, al Paese dove la parola “meritocrazia”, a qualsiasi
settore faccia riferimento, fa rima di nome e di fatto con “Utopia”.
In Italia escono 120 nuovi libri ogni giorno
(c-e-n-t-o-v-e-n-t-i) di cui 110 con la forma di editoria a pagamento. Ce lo
spiega la giornalista free lance fiorentina Silvia Ognibene che con il suo “Esordienti
da spennare” fa un'interessante inchiesta sull'universo delle
piccole case editrici, a pagamento ma non solo. Da lei apprendiamo, o abbiamo
conferma con cifre e dati alla mano, che il mondo dell'editoria è popolato da
una nutrita schiera di personaggi che i conti su come sbarcare il lunario se li
è fatti alla perfezione. A farne le spese, anche non metaforicamente parlando,
sono gli autori che vogliono veder pubblicate le proprie fatiche letterarie e,
talvolta, anche i lettori che si ritrovano in mano opere dal valore tutt'altro
che soddisfacente.
La Ognibene si è finta una scrittrice esordiente raffazzonando
un manoscritto pieno di stupidaggini sulle banane in Ecuador (“io stessa non
pagherei un euro per leggerlo” confessa tranquillamente) e l'ha spedito a
diverse case editrici. Il 99% delle stesse ha dato risposta entusiastica (!)
offrendo la pubblicazione a fronte di un “contributo alle spese editoriali”,
non ben definiti “costi SIAE”, acquisto obbligatorio di un certo numero di
copie, vendita “al chilo” a seconda del numero di pagine ecc. E' evidente che a
queste case editrici non interessa leggere il manoscritto né tanto meno
valutarne la qualità: campano sulle vendite del libro all'autore e non al
potenziale lettore che, nella realtà dei fatti, non viene nemmeno mai
raggiunto. La promozione e la distribuzione sono infatti la grande pecca di
questi editori-tipografi. Ognibene ha praticamente rilevato che tutte le copie
non acquistate dall'autore finiscono presto al macero.
Trovare un editore che accetta di pubblicare senza
richiedere il famoso contributo significa allora aver risolto tutti i problemi?
Niente affatto. Il ventaglio delle fregature che si possono prendere è talmente
ampio che sembra non avere fine. Ci racconta Laura nel blog “Il
Laboratorio Di Scrittura”:Innanzitutto il fatto che la casa editrice
non chieda denaro non è sinonimo di correttezza e affidabilità come spesso si
mormora in giro.
A me, per esempio, è capitato di pubblicare un romanzo con un editore che non chiedeva un centesimo, ma poi non si occupava assolutamente della promozione, né della distribuzione del libro e non solo: soprattutto non pagava!!! Né gli autori, né i suoi collaboratori (editor, grafici, tipografie) hanno visto il becco di un quattrino. Senza arrivare a questi estremi tutti concordano in una sola cosa: occhio a quello che si firma. Morale della favola: tutti pubblicano e, se per caso l'editore fa pure il suo dovere, in libreria arriva di tutto. Quantità a scapito della qualità.
A me, per esempio, è capitato di pubblicare un romanzo con un editore che non chiedeva un centesimo, ma poi non si occupava assolutamente della promozione, né della distribuzione del libro e non solo: soprattutto non pagava!!! Né gli autori, né i suoi collaboratori (editor, grafici, tipografie) hanno visto il becco di un quattrino. Senza arrivare a questi estremi tutti concordano in una sola cosa: occhio a quello che si firma. Morale della favola: tutti pubblicano e, se per caso l'editore fa pure il suo dovere, in libreria arriva di tutto. Quantità a scapito della qualità.
Ora torniamo allo specifico del nostro fantasy (era ora,
eh?).
Il fantasy, per anni demonizzato o ridotto a letteratura per infanti, ora è indubbiamente di moda. Dall'uscita del film “Il Signore degli Anelli”, che ha sdoganato un genere portando a conoscenza le masse di mondi fantastici che erano interesse e prerogativa solo di fanatici nerd, film e narrativa fantasy hanno avuto una crescita esponenziale di anno in anno. Un po' quello che è successo, sebbene con partenza meno tumultuosa, da quando Brad Pitt ha messo il suo bel faccino nel famoso “Intervista col vampiro” del 1994. Da allora i vampiri hanno riscosso un interesse crescente fino ad arrivare, nel 2005, alla pubblicazione di Twilight i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti.
Come reagisce l'editoria al profilarsi all'orizzonte di una
nuova moda? Ci si butta a pesce, cercando di sfruttare i filoni che riscuotono
maggiori consensi.
Gli adolescenti, e non solo, vogliono storie di vampiri
liceali innamorati? Una bella copertina con un primo piano di una bocca segnata
da un rivolo di sangue assicura più vendite che non un libro intelligente e ben
fatto ma non a tema trendy. Stile? Scrittura? Ininfluente. Ciò che fa batter
cassa fa batter cassa ed è condizione necessaria e sufficiente.
I maggiori divoratori di fantastico, si sa, sono i
cosiddetti young adults. Sono coccolati dall'editoria in quanto adorano le mode
e, a differenza delle generazioni precedenti, hanno soldi in tasca. Muovono più
il mercato loro che qualsiasi altra fascia di età. Cosa c'è di meglio di un
adolescente che scrive per gli adolescenti? Roba da far vire l'acquolina in
bocca a qualunque editore. Ne consegue che nel fantasy oggi si è decisamente
avvantaggiati se si è un esordiente teen. Basta guardarsi attorno per capire
che è un dato di fatto. Maturità stilistica, cultura, preparazione contano meno
di un brufolo sul naso. Leggete questo
articolo di Alessandro Scalzo, ingegnere quarantenne di Genova.
Alessandro non scrive male, è pure stato finalista al premio Urania, ma non si
arrende a dare in pasto il suo manoscritto fantasy alle famigerate “piccole
case editrici ecc ecc”. Un po' per scherzo un po' per mettere alla prova ciò
che sembra essere la tendenza del momento, decide di inviarlo ad una grossa
agenzia letteraria facendosi passare per una diciassettenne pure handicappata
e, miracolo, le porte effettivamente si aprono. Il suo romanzo viene definito
“scritto con molto talento”, salvo poi ritornare ad avere “una linea narrativa
confusa e deludente” non appena si scopre che la diciassettenne Amanda non
esiste. Se la faccenda vi appare surreale leggete anche tutti i commenti
all'articolo: sono in grado di rispondere ai vostri dubbi.
Dunque nella terra dei cachi è meglio scrivere in maniera
mediocre ma pubblicare la propria opera prima dei venti anni che scrivere in
maniera ottima ma averne già trenta o (orrore!) quaranta. Come spiegato anche
da Umberto Eco in questo esaustivo articolo “Non
è bene inviar manoscritti...” uscito su Golem qualche anno fa, le case
editrici medio-grandi non fanno scouting ma preferiscono pescare “giovani
promettenti” che abbiano già pubblicato, fosse pure sul giornalino della
scuola. Ossia: tu pubblica a 14 anni, che poi a 20 ti pubblica il grande sulla
fiducia. Bello no? Chiunque abbia una storia che langue dimenticata in qualche cartella
del PC e abbia un fratello o una sorella minorenne, si faccia sotto: è il suo
momento.
Jim C. Hines (solito americano, che volete farci?) scrittore
di fantasy ha fatto una ricerca sulla gavetta letteraria degli scrittori. Ha
interpellato 247 suoi colleghi, autori di vari generi ma soprattutto
fantascienza e fantasy, e ne ha ricavato alcuni grafici eloquenti che potete
vedere nella sua pagina web qui. Oltre a
trovarvi molte considerazioni interessanti, si evince che un autore che arriva
al successo (il metro di Hines si basa ovviamente sul guadagno di denaro per
uscire dall'ambito di scrittura hobbistica) ha oltre 36 anni e ha fatto
mediamente 11 anni di pratica. Ossia non ha scritto il suo primo libro edito
durante le vacanze scolastiche passate dalla nonna. Ci meravigliamo che la
qualità degli autori stranieri sia diversa?
Appare chiaro al confronto che la strada di pubblicazione
fantasy nel nostro Paese risulta meno ardua che altrove, permettendo a tutti di
correre e lasciando al lettore finale il fantomatico potere decisionale.
Peccato che il suddetto lettore finale si appoggi, per le sue scelte, alle
monocordi recensioni di informazione di settore autoreferenziali e il siffatto
giudizio spesso si trovi per forza di cose a formularlo ad acquisto fatto, dopo
aver speso anche più di 20 euro per la copia di un libro che non vale la carta
sulla quale è stampato.
[...]Onestà nei confronti dell'autore e sua tutela quale
esordiente carico di sogni tanto quanto fondamentale onestà verso il lettore e
la sua intelligenza.
Articolo originale su DragonIsland.it by Lady Kestrel.
Nota di Azia:
Aggiungo a quanto scritto da Kestrel nel suo lungo e approfondito articolo, che noi demiurghi non ci siamo mai posti il problema di cosa fare: l'onestà viene prima di tutto. Non siamo soliti fare recensioni su richiesta degli scrittori o degli editori, non abbiamo certo la portata di Dragon Island o di altri forum dedicati, di certo quando ci è stato chiesto non l'abbiamo lesinata, pur andando sempre controcorrente e scrivendo apertamente quello che pensiamo dell'opera, e se l'opera non vale o ha delle imperfezioni (sempre secondo il nostro modesto parere) lo scriviamo non per il piacere (come certi gamberi di nostra conoscenza) di smontare l'autore o crocefiggerlo, quanto magari di dargli la nostra spassionata impressione e un suggerimento da chi passa per passione molte ore al giorno a scrivere, cercando di fare un buon lavoro e trovando il modo di approfondire sempre meglio i vari aspetti che caratterizzano un'opera e motivando nel bene come nel male le nostre opinioni cercando di essere coerenti e argomentando bene le nostre tesi.
Come detto, non è nostra intenzione "annientare" l'autore - magari esordiente - che ci capita di leggere (leggiamo di tutto di più), smontiamo l'opera per fornire a chi ci segue elementi validi che lo aiutino a scegliere consapevolmente i suoi acquisti in libreria e se nel farlo ci scappa di far pubblicità - per quanto poca - a un esordiente ben venga.
Pertanto, la nostra politica è sempre stata e continuerà ad essere quella di pubblicare le recensioni senza presentarle in anteprima a chi - fortuna o sfortuna sua - ce le dovesse chiedere.
Ma tanto... a noi non le chiede mai nessuno proprio perchè siamo cattivi!! Chi ve lo fa fare, vi chiedere, allora?
Semplice. Passione. Solo quella, passione per i libri, passione per la storia, passione per il fantasy, passione per una buona lettura. Perchè non c'è niente di meglio di scoprirsi commossi e nostalgici, come se avessimo appena salutato un carissimo amico, dopo aver visto quell'ultimo punto e chiusa quell'ultima pagina.
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