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RACCONTI: Celeste e il Generale filosofo - Capitolo I


Gemello vuole sposare Maronilla:
la vuole, fa l’insistente, la scongiura,
le manda doni.
“Ma è così bella?”
Non c’è nulla di più brutto sotto il sole!
"E allora cosa di lei lo attrae?”
La tosse.

(Seneca)


Augustus, 853 A.U.C

Celeste Luciana Iunia era semisdraiata su di un elegante triclinio posto nel peristilio, il giardino circondato da colonne in cui amava rifugiarsi nelle giornate soleggiate, fingeva un interesse, che era ben lontana dal provare per le chiacchiere senza fine della sua amica Faustina Aemilia, a sua volta mollemente distesa su un altro triclinio elegante.
Era una calda giornata di Agosto nell’Urbe, e le due amiche avevano trovato riparo dall’afa soffocante che premeva in una morsa la città, nel piccolo ma delizioso giardino all’interno delle mura della villa della famiglia Iunia.
Celeste, una diciannovenne con lunghi capelli ricci e occhi dello stesso colore del nome che portava, annuiva distrattamente, facendo cenni col capo ogni volta che Faustina interrompeva i suoi interminabili monologhi per chiedere a lei conferma dei suoi dubbi. La ragazza però non le prestava molta attenzione quel giorno, perché la sua mente correva verso lidi più tristi.

L’amata sorella Calliste, a cui era molto legata, era morta, infatti, circa dieci mesi prima: una lapide, posta tra le tante che circondavano i lati di una delle strade di accesso alla città, nominava la giovane donna: “Calliste visse 16 anni, 3 mesi, sei ore. Doveva andare sposa il 15 ottobre, morì l’11”[**]
Gli dei l’avevano voluta con sé prima del previsto, quando una terribile malattia,di cui nessun medico aveva indovinato la causa, aveva spinto all’improvviso Calliste tra le braccia fredde e crudeli del Dio Plutone, privandola della gioia del talamo nuziale e della vita d’amore che il suo promesso sposo avrebbe voluto regalarle.
Celeste aveva costantemente davanti agli occhi la scena del funerale della sorella: rivide se stessa in lacrime e disperata, mentre dava un ultimo bacio sulla bocca all’amatissima Calliste, e ricordò l’aureo che le mise sulle labbra fredde per pagare il viaggio in barca nel mondo dei morti a ltraghettatore Caronte; Celeste rammentò il fuoco che lambiva le vesti nuziali mai usate della sfortunata fanciulla e il fumo che impregnava l’aria, rendendola pesante e irrespirabile.

Ora, nell’atrio della loro dimora elegante oltre ai Lari eai Penati, che da sempre erano custoditi con cura dalla sua famiglia, si era aggiunta anche la maschera di cera della sorella scomparsa prematuramente. Ogni mattina Celeste offriva, alle divinità protettrici della sua famiglia, il fuoco, l’incenso e il vino puro. Le statuine che rappresentavano i “Lares familiares” erano molto belle: raffiguravano dei giovinetti danzanti recanti in mano un corno e una brocca.
Il larario della Domus Iunia era provvisto di lucerna, un gutus(1) a sinistra, un turibulum(2) e un salinum(3) a destra, e una patera(4) per le offerte, al centro. Il retro era a forma di tempio e rappresentava due lari a fianco del Genius(5) del paterfamilias. Sotto c'è un serpente, spirito protettore(6).
Malgrado fossero trascorsi molti mesi ormai dal giorno del funerale di Calliste, Celeste non aveva ancora superato la morte della sorella e continuava a starsene rintanata dentro casa, rifiutandosi di riprendere la vita che conduceva prima di quel drammatico evento.
Faustina, intanto, continuava a parlare senza sosta: “Amica mia, il legionario continuava a dirmi, per impressionarmi e fare colpo su di me, che rischia la vita ogni giorno sui confini del Nord per difendere l’Impero, ma io gli ho risposto, ridendogli in faccia, che rischierei molto di più se rimanessi incinta di lui!”
Celeste non poté impedirsi di sorridere all’ennesima uscita irriverente dell’amica, più grande di lei di qualche mese che viveva la vita come più le aggradava, infischiandosene dei costumi e delle rigide regole sociali.
“Il tuo promesso sposo è a conoscenza di queste tue frequenti uscite mondane?” chiese.
“Ovviamente, Celeste cara! E poi non esco mai da sola: mi accompagna sempre la mia cara madre, per cui non ha alcun motivo di lamentarsi!” Disse con un sorriso sornione.
Questa volta Celeste non poté non scoppiare a ridere: sapeva bene che la madre di Faustina era una pluri-divorziata e che ogni sua uscita pubblica era finalizzata ad accalappiare l’ennesimo ricco partito ma ,evidentemente, il fidanzato della giovane non ne era al corrente.
Lucilla era una splendida trentenne, rimasta vedova del padre di Faustina molto presto. Si era sposata a soli quindici anni con un soldato veterano, molto più grande di lei e, alla morte dell’uomo, con Faustina piccolissima, non si era persa d’animo e non aveva esitato a convolare a nozze con un mercante di vino, per pura convenienza economica.
La vita che il suo nuovo matrimonio le aveva permesso dicondurre era quella tipica delle matrone romane più ricche e rispettate, ma non c’era amore nel suo matrimonio, e il mercante spesso diventava violento quando il commercio del vino andava male. Così a vent’anni, con una bambina di cinque anni a cui badare, Lucilla si era risposata con uno scrittore dal carattere mite, incapace di fare male a una mosca. Ma alla fine lui l’aveva tradita con una sua serva.
Così Lucilla Pompilia Valeria era divenuta quella che Celeste conosceva oggi: una donna forte e determinata a conservare, con le armie coi denti, il dominio assoluto sulla propria vita.
Celeste non poté impedirsi di fare un paragone tra la madre dell’amica e la propria: Sempronia Augusta Lepida.
Sempronia aveva infatti solo qualche anno più di Lucilla, ma la differenza tra le due donne era abissale. La madre di Celeste era una donna molto rigida e severa: definita da tutti quelli che la conoscevano una “maniaca delle pulizie”, costringeva i suoi schiavi a lavorare senza sosta, obbligandoli a restare con le ginocchia a terra e il capo chino per lustrare, fino a renderle splendenti, le piastrelle del pavimento.
Sempronia era molto attenta alla linea e non mangiava carne: questo non perché fosse contraria al nutrirsi di animali, ma piuttosto perché non tollerava i grassi in eccesso che essa purtroppo conteneva. In verità, tutto ciò che era “eccessivo”, veniva da Sempronia mal tollerato: l’abbigliamento doveva essere sobrio e casto, l’acconciatura non troppo elaborata né appariscente, gli atteggiamenti pacati e controllati, e la voce bassa e appena udibile.
Questi erano gli insegnamenti che la donna impartiva a Celeste, la quale, però, rifiutava di seguirli, stanca dei folli precetti della madre.
Il padre di Celeste, invece, era un senatore, un uomo potente, un uomo stimato da tutti, un uomo che… conosceva tutti i migliori lupanari della città.
Sempronia era a conoscenza da tempo delle “attività” extra-coniugali del marito, però sopportava tutto, seguendo quei principi vecchi di secoli, secondo cui una donna doveva sempre ubbidire al paterfamilias, qualunque sbaglio lui commettesse. Inoltre, per una donna della tempra di Sempronia, il divorzio era un disonore da evitare come la peste.
Inutile dire che, tra la madre di Celeste e quella di Faustina, non correva buon sangue, e che la prima mal tollerava l’amicizia tra la sua primogenita e la figlia della seconda.
Sempronia credeva, infatti, che Faustina avrebbe condotto la sua Celeste su una cattiva strada, e premeva perché le nozze della figlia si svolgessero quanto prima, convinta che solo un marito protettivo avrebbe potuto allontanarle definitivamente.
Ma Celeste non voleva sentire nemmeno parlare di nozze: era molto superstiziosa e credeva che anche lei sarebbe morta quattro giorni prima di esse, come la sorella Calliste.
Oltretutto la ragazza covava nel suo cuore la speranza che un giorno avrebbe sposato un legionario bello e forte, che l’avrebbe protetta anche a costo della sua vita, e che l’avrebbe amata con la stessa intensità con cui sferrava i suoi colpi sul campo di battaglia.
Ma, purtroppo, Celeste non conosceva nessun legionario almomento, e la madre aveva in serbo altri progetti matrimoniali per lei, piani da cui i legionari erano di certo esclusi!

Septimus Luciano Iunio aveva un problema, un grosso problema.
Aveva messo incinta la sua concubina preferita e, ormai, il pancione era ben evidente agli occhi di tutti.
Un oracolo aveva predetto a Livia che avrebbe dato alla luce un maschietto sano e forte.
Ma c’era da fidarsi? Gli oracoli di solito spillavano sesterzi solo per annunciare quello che volevi sentirti dire.
Septimus non sapeva come dirlo a sua moglie: Sempronia, che aveva da poco perso la sua secondogenita, non avrebbe mai accettato che l’unico figlio maschio del suo sposo gli venisse dato da un’altra!
Septimus non sapeva come dirlo a sua figlia: Celeste, nonostante sapesse di Livia, non avrebbe mai desiderato di venire messa da parte da un bambino che le era fratello solo per metà.
Presto o tardi però, Septimus avrebbe dovuto dare loro questo dolore. Il problema vero, semmai, si sarebbe presentato nel caso in cui davvero fosse nato un maschio: il suo erede sarebbe cresciuto in un ambiente familiare “sano” e legittimo. E quindi, Septimus, avrebbe dovuto divorziare da Sempronia.
Non che all’uomo dispiacesse separarsi dalla donna terribile che si era ritrovato nel talamo nuziale, però era pur sempre sua moglie da tanti anni e non poteva all’improvviso dimenticare che lei gli aveva donato la gioia di diventare padre per ben due volte.
Per tali, importanti motivi, non se la sentiva di divorziare da Sempronia: era inoltre certo che senza di lui la donna non sarebbe stata più in grado di rifarsi una vita.
Ma Septimus non amava nemmeno Livia, in fin dei conti: certo, era una donna attraente e giovane, e gli rasserenava le giornate: probabilmente la preferiva alle altre prostitute solo perché sapeva di essere stato il suo primo e unico cliente; Forse la rispettava e l’avrebbe sposata soltanto perché sicuro di essere stato proprio lui stesso a privarla della sua innocenza.
Ma non c’era nulla di più. Nessuna favola romantica del Dominus che sposa la sua concubina per amore: solo un maledetto incidente di percorso non calcolato, a causa del quale lei era rimasta incinta.
Tutto qua. Nient’altro che questo.

Sempronia sa tutto: è a conoscenza di quello che il marito non ha il coraggio di confessarle.
Gliel’ha riferito una sua amica, credendo che già lei lo sapesse: Sempronia ha finto che la notizia la lasciasse indifferente, mentre in realtà si sentiva morire dentro.
Vent’anni di matrimonio, due figlie volute e amate, una perduta per sempre nel Regno dei Morti: una vita coniugale piena di bugie e sotterfugi da parte di lui, di rinunce e rassegnazioni da parte di lei.
Ma c’è sempre una goccia che fa traboccare il vaso, pensa la donna, guardando una toga del marito.
Poi, senza rendersene nemmeno conto, una furia omicida l’assale: fa a pezzi la toga migliore del coniuge, come vorrebbe fare con l’uomo che abitualmente la indossa.
C’è sempre una goccia … e quel figlio illegittimo che sta per venire al mondo lo è di certo!



Note:
Questa storia è ambientata nell’età di Traiano… desideravo da tempo scrivere qualcosa sull’Antica Roma, che è il periodo storico che preferisco, ed eccomi qua. Mi rimetto al vostro giudizio, sperando che questo primo capitolo vi abbia incuriosito.
*la frase di Seneca descrive in poche righe la situazione matrimoniale a Roma, che non è poi molto diversa da quella di oggi. All’epoca di Traiano divorziare era molto più facile di oggi: bastava il consenso e la firma delle due parti. Inoltre le città pullulavano di cacciatori di dote, come quello descritto da Seneca, che ha “puntato” Maronilla perché ricca e malata.
** L’epitaffio di Calliste esiste davvero! È veramente morta una ragazzina di sedici anni, pochi giorni prima del suo matrimonio.Questa cosa mi ha colpito e ho deciso di farla diventare la sorella della mia protagonista.


1) gutus: un contenitore per latte o vino;
2) turibulum: è l'attrezzo su cui bruciare l'incenso;
3) salinum: contenitore per il sale;
4) patera: piattino per le offerte;
5) Genius: rappresentato sotto forma di giovane con toga e a capo velato, in atto di libare, il Genius è un demone legato a una persona, o al capo famiglia. Ogni uomo ha il suo Genius, mentre il suo corrispondente per la donna è la Iuno, che ne custodisce la forza generatrice e i valori trascendentali.
Il Genius e la Iuno vengono generati e muoiono allo stesso momento della persona. Al Genius viene consacrato il serpente agathodemon, che spesso troviamo dipinto sotto il Larario, mentre si dirige verso l’altare sul quale vi sono un uovo e qualche frutto.
6) serpenti protettori: I serpenti erano per i romani “gentili e benevoli portatori di pace e prosperità” e le loro immagini si trovano regolarmente associate ai larari.

3 commenti:

  1. Mi piace molto questo brano, sia per la qualità dei dettagli, sia per le problematiche che affronta: il tema dei rapporti di famiglia nella Roma imperiale, certo molto diversi da quelli dell'epoca repubblicana. Giova ricordare che l'aspettativa di vita in quel tempo era piuttosto bassa, a cinquant'anni un uomo era considerato "senex", le ragazze venivano date in moglie a età che oggi farebbero gridare alla pedofilia, e avere figli da concubine era cosa tollerata e ammessa.

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  2. Grazie Leonardo :) Sono felice che la mia storia ti sia piaciuta. In questa storia cercherò di essere il più attinente al contesto storico possibile. Si affronteranno molte questioni e si farà un tuffo nel passato nella storicamente esistita e famosa "Campagna Dacica".

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  3. Un primo capitolo intenso che mette in tavola vari intrecci: vado subito a leggermi la seconda parte!

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