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RACCONTI: Antico Credo - 5

L’uomo camminava con passo frettoloso nelle strade buie di Roma, davanti a lui il lanternarius illuminava la via. Erano solo in due e dall’alto di una terrazza di legno abusiva una figura ammantata di nero li seguiva con lo sguardo. Percorse rapido la strada e quando fu certo di avere via libera la figura in nero spiccò un balzo sovrumano, atterrando con l’eleganza di un gatto a meno di quattro passi dall’uomo.
Una breve corsa più silenziosa di quella di un felino e gli fu addosso.
La corda si strinse attorno al collo repentina e quando la vittima designata inciampò franando all’indietro per il contraccolpo, l’uomo in nero fu lesto a sorreggerlo contro il petto e poi trascinarlo nel vicolo buio, mentre il lanternarius si allontanava ignaro. Quando la sua preda, dimenandosi per liberarsi dalla presa letale cercò di urlare, dalla sua bocca uscì un gorgoglio soffocato e all’orecchio sentì una voce morbida, quasi gentile: «Tutto inutile, Flavio… Tutto inutile. Questa è la tua ora, fra poco il tuo caro Caronte verrà a prelevarti e sai una cosa? Non avrai nemmeno un sasso per pagargli il traghetto.»
La vittima tremò visibilmente, artigliò la corda con le dita a costo di scarnificarsi la gola, ma come aveva annunciato la voce, fu tutto inutile. Scintille sfolgoranti si accesero nell’oscurità della notte davanti ai suoi occhi, la testa si fece pesante, il sangue rombò nelle orecchie in un ultimo tentativo di sopravvivere, poi il buio calò.
La nera figura accompagnò il corpo a terra, allentò appena la corda per poi annodarla ancora più strettamente con l’ausilio di un paletto di legno, assicurandosi la definitiva dipartita del senatore Flavio Gneo Pomponio, membro del Collegium dei Quindecemviri Sacris Faciundis. Svuotò le tasche della sua preda e lo spogliò dei gioielli, della toga e dei calcei, si concentrò e con la telecinesi lo sollevò da terra quel tanto che bastava per non lasciare tracce di trascinamento, quindi con uno svolazzo della mano lo fece volare dentro un cumulo di detriti e immondizia.
Spolverandosi, uscì dal vicolo a passo lento, immergendosi nelle ombre della strada mentre il lanternarius tornava indietro di corsa, superandolo senza notarlo, chiamando a gran voce il suo padrone. Stimò che avrebbero reso noto di aver ritrovato il quindecemviro e senatore tra almeno un paio di giorni, giusto il tempo di sistemare altre due personcine. Si spolverò la tunica nera, si annodò dietro la schiena la toga pregiata e con un paio di balzi fu di nuovo su una terrazza, saltò su un filo per stendere la biancheria e lo usò come trampolino verso i piani più alti delle insule, usando talvolta le terrazze abusive in legno, talaltra uno spuntone di trave di un solaio per salire fino ai tetti. Quindi con passo tranquillo tornò verso la zona dell’Esquilino e da lì verso il Palatino, verso l’area del palazzo imperiale, delle domus importanti, dei fori e dei templi. Arrivò all’ara pacis e si fermò, lì davanti depose la toga e i calcei di morbida pelle di capretto, decorati dalle lunule di rito, quindi arrivato al tempio di Ercole infilò il braccio dentro le sbarre del cancello che lo chiudevano la notte e lanciò i gioielli verso l’interno. Infine il denaro lo appese a un’edicola di Mercurio posta sull’angolo di nord-est di un incrocio, giungendo infine alla sua casa.
Omar sollevò la testa al cielo plumbeo della notte inoltrata, osservò una saetta illuminare distante e silente il cielo e sorrise. Era da tanto che non entrava in azione così, forse era un nostalgico, ma gli era mancato.
«Dove sei stato?»
La voce bassa proveniva dalle profondità della via secondaria su cui si apriva la porta laterale della domus dove abitava.
«A fare un giro. Tu, piuttosto, che ci fai in giro a queste ore?»
Il sacerdote di Thot uscì allo scoperto e il loro fu un incontro di ombre scure nello sfondo della notte. Entrambi vestiti di nero, entrambi la pelle chiara e pallida del viso che spiccava dal cappuccio per uno spicchio e niente più.
«Non riuscivo a dormire. Sai, c’è qualcuno che mi sta togliendo il sonno.»
«Il Riformista della tua partita a Latrunculi?»
«Sì, ma non solo lui. Ultimamente mi sono reso conto che negli ultimi cinque anni sono sparite o morte in modo alquanto strano e accidentale un sacco di persone.»
«Oh, che peccato.»
«La cosa interessante è che tu mi risulti sempre là intorno quando succede.»
Effettivamente dopo aver reperito tutti i nomi della lista, Omar aveva dato licenza agli assassini di rientrare nei loro ranghi e compiti, esentandoli dalle esecuzioni: avevano già fatto abbastanza torturando quelli noti per arrivare a i volti sconosciuti. Così negli ultimi cinque anni aveva pensato lui a depennare con una certa regolarità i nomi dalla lista, stando ben attento a non suscitare sospetti di sorta, Eppure Zarich si era accorto della cosa.
Stringendosi nelle spalle, Omar si voltò ad aprire la porta ed entrando sussurrò: «Strano davvero. Vuoi qualcosa da bere o te ne torni a dormire?»
Zarich strinse le labbra, tentato di forzare i blocchi mentali dell’amico e facendosi violenza
nell’imporsi di non farlo. Voltò le spalle alla domus e tornò verso i suoi alloggi al palazzo imperiale. Omar stava macchinando qualcosa, ma non sapeva cosa e questo lo infastidiva.
«Cosa nascondi, vecchio amico?» La domanda non trovò risposta, ma certo Zarich non se l'aspettava.
Non capiva perché quel medaglione d'argento sul fondo scuro che Omar aveva al collo gli rodeva la testa come un tarlo, senza trovare il giusto collegamento. Prima o poi gli sarebbe venuto in mente dove lo aveva già visto... E già sapeva, Zarich, che non gli sarebbe piaciuto per niente, ricordarlo.

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