PILLOLE DI STORIA: I tatuaggi tra Storia e Fantasy
Ci sono alcune opere che sempre più spesso presentano
personaggi tatuati. Il passaggio è stato lento e graduale, siamo passati da
quelle che erano le pitture di guerra celtiche ai colori di guerra dei barbari
fantasy, al trucco permanente del cyberpunk fino alla moderna interpretazione
del tatuaggio.
Nelle opere di fantasia – come non ricordare lo sfregio agli
dei di Massimo ne il Gladiatore quando si taglia il simbolo della sua
appartenenza a Roma? – i tatuaggi prendono sempre più piede e diventano sempre
più simbolo dello status del personaggio che lo porta, talvolta con onore,
talvolta con rassegnazione o come simbolo di spregio.
Sembra quasi che la riscoperta del moderno tattoo abbia
influenzato le moderne creazioni, eppure il tatuaggio è un’arte tutt’altro che
moderna: Ötzi era tatuato così come l'Uomo di Pazyryk, mummie egiziane sono
state rinvenute con tatuaggi, i soldati romani si tatuavano, gli schiavi di
Roma erano tatuati.
Come sempre, tutto è relativo ai tempi che corrono: in epoca
romana per i soldati era un onore portarsi addosso l’effige della propria
fedeltà a Roma e alla legione di appartenenza, per gli schiavi era per lo più
una condizione rituale legata alle proprie origini “barbariche” e se venivano
tatuati dai padroni era per disprezzo, per dimostrare al mondo di chi erano
proprietà o, peggio, per indicare un’indole tutt’altro che sottomessa; si
arrivò addirittura a promulgare un editto in Senato affinché fosse vietato
tatuare gli schiavi in volto dal momento che spesso e volentieri a quelli che
tentavano la fuga e venivano riacciuffati o i ladri veniva stampato in fronte
la loro colpa. Nel complesso, però, il popolo romano disdegnava il tatuaggio
trovandolo volgare e barbaro.
Sempre rimanendo nell’ottica dei tempi che corrono, quando
nel 1891 vennero rinvenute in Egitto,
nella zona di Deir el-Bahari (zona di
sepolture regali e di alto rango), delle mummie femminile tatuate, il pensiero
degli egittologi fu quello di aver scoperto delle concubine reali, forse delle danzatrici
o, più prosaicamente, delle prostitute. Con la rigida morale Vittoriana
dell’epoca non c’è da stupirsi se alla vista di un corpo femminile tatuato, la
testa degli uomini vedesse solo bellissime danzatrici con i corpi tatuati curvi
in danze sensuali mentre piroettavano tra i fumi dell'incenso, trasportate in
stati di trance dalla musica dei sistri e pronte a soddisfare i desideri del
faraone e dei grandi dignitari dell’epoca. Una visione così distorta è figlia
della morale del tempo (all’epoca le donne giravano con chilometri di stoffa
addosso e si strizzavano nei corsetti perché agli uomini piaceva il vitino di
vespa, capiamoci), morale che ancora ci trasciniamo dietro ai giorni nostri
grazie a un mondo modellato intorno all’uomo, dove tutto quanto riguarda il
femminile è relegato in secondo piano o, comunque, a funzioni al servizio delle
necessità maschili.
Il passaggio della società da matriarcale a patriarcale ha
detronizzato dapprima le divinità e poi, di conseguenza, tutto il genere
femminile togliendo alle donne tutto quanto prima era in equilibrio.
Prima della scoperta delle mummie tatuate, si sapeva
dell’esistenza dell’uso dei tatuaggi nell’Antico Egitto grazie a delle figurine
in faience rapprensentanti la dea Hathor ritrovate in molte tombe, sia femminili
che maschili. Eppure le mummie tatuate era tutte di donne, nessun uomo
ritrovato, nemmeno tra i sacerdoti, presentavano la stessa caratteristica,
magari con disegni diversi. Eppure nel complesso degli scavi erano presenti
soprattutto uomini: sacerdoti, dignitari, principi, faraoni. La somiglianza tra
i disegni delle figurine in faience con i tatuaggi sulle mummie scoperte, portò
gli esperti dell’epoca a individuarle inizialmente come prostitute, in virtù
anche dell’associazione alla divinità di riferimento, Hathor, quasi a svilire
ulteriormente il ruolo del sacro femminino a un culto di “meretrici tatuate”.
Ma la somiglianza tra i tatuaggi reali e quelli disegnati
sulle piccole figurine femminili in faience si dipanavano nella
maggior parte dei casi identici sulle cosce, i polsi, l'addome e la parte
superiore del corpo, e di colpo divenne chiaro che le statuine raffiguravano
tatuaggi reali e che il loro significato poteva essere ricondotto alle
sacerdotesse di Hathor e non a delle semplici danzatrici o prostitute. E
divenne chiaro che quei tatuaggi nascondevano un significato molto più
profondo, come anche la presenza delle figurine nelle varie tombe, anche
maschili.
Varie furono le ipotesi accreditate all’epoca sulla
funzionalità di queste figurine femminili in faience, da amuleti di protezione
a incantesimi di fertilità, a rituali per auspicare al defunto (maschio) del
buon sesso nella vita oltre la morte.
Dopotutto, è rappresentata Hathor, la dea dell’amore e della
fertilità ma, considerando che Hathor era la Signora dell'Occidente che dava il
benvenuto ai morti, la presenza della sua raffigurazione nelle tombe prese un
significato nuovo, e più credibile, per un popolo così profondamente legato
alle proprie divinità; quindi si ricollegò la presenza delle figurine a un
rituale propiziatorio affinché la dea facesse da guida per il defunto una volta
arrivato nell’oltretomba. Il che cambia radicalmente la visione di Hathor e del
ruolo delle donne mummificate, ma per arrivare a questo son dovuti passare molti
anni e studi più deontologici che religiosi.
Di fatti, vi fu una voce fuori dal coro, all’epoca. Era
quella di Daniel Fouquet, un medico a cui sottoposero i corpi delle mummie.
Egli vide qualcosa di più dei suoi eminenti archeologi contemporanei: i tatuaggi
toccavano punti precisi sul corpo, connessi alla rete nervosa o posizionati
sopra a organi specifici. Vi vide quindi uno schema che aveva un carattere più
medico che sensuale. Fouquet ipotizzò, nel 1898, che quei tatuaggi avessero una
valenza medica in rapporto a delle peritoniti croniche dell'area pelvica.
Nonostante la lodevole asserzione, rimaneva l'insinuazione che l'avere simili
infezioni implicasse che queste donne fossero prostitute, o comunque donne
sessualmente molto attive. Il punto è che all’epoca si fece mala scienza, un
male comune spesso anche in epoca molto più recente: si applicano a culture e
società lontani anni luce da noi la morale dell’epoca della scoperta.
Per fortuna ci siamo evoluti dall’epoca Vittoriana (anche se
ultimamente sembra ci stiamo battendo per riportarla in auge con moralismi
distorti) e abbiamo compreso una cosa basilare: molte delle sacerdotesse erano
mogli, sorelle e figlie dei sacerdoti, degli alti ufficiali e anche dei
faraoni; così, se veramente l'approccio sessuale faceva parte del loro culto,
non dovevano e non devono essere giudicate dalle attuali morali religiose.
Anche perché la nostra religione e quella egizia non sono nemmeno lontanamente
paragonabili, in special modo nel rapporto con le divinità femminili attualmente
aborrite a priori.
Quello che attualmente è considerato assolutamente normale
nel mondo reale, ossia che il sacerdozio sia appannaggio esclusivamente
maschile, lo ribaltiamo quasi con ferocia nei regni fantastici senza renderci
conto, talvolta, che nella Storia era davvero così come ci piace fantasticare.
Prendiamo ad esempio Hathor: era conosciuta come la Madre e
la Figlia di Dio, l'Occhio di Dio, la Creatrice dei Raggi del Sole,
l'incarnazione dell'essenza ciclica della vita. Lei era la Signora dei Confini,
Colei che allargava i confini dell'universo, e la Signora dell'Occidente, che
dava il benvenuto alle anime nella vita oltre la morte. Lei era la dea della
fertilità e assisteva le donne nel parto. Lei era Hathor, la Vacca Celeste, le
cui zampe formavano i pilastri del cielo, e la Via Lattea correva attraverso il
suo ventre.
Ridurre la sua figura a mero strumento sessuale è non solo
riduttivo, ma poco rispettoso di una civiltà millenaria che ha posto le basi
del nostro essere e del nostro esistere. Molte divinità egiziane vennero
adottate da Roma e il loro culto valicò i confini di Egitto per sparpagliarsi
in tutto l’impero e lasciare la traccia fino anche al mondo moderno.
Quello che, quando si pensa al sacerdozio, consideriamo solo
frutto di fantasia, nell’epoca pre-dinastica era invece la norma: Hathor può,
infatti, rappresentare molte delle primeve divinità femminili originali come
Bastet, Sekhmet e altre, combinate nella stessa figura.

Hathor era una degli dei più importanti dell'antico Egitto,
e rimase importante fino al Medio Regno (1987 a.C. - 1780
a.C.) quando il valore delle divinità femminili infine svanì e con esso il
ruolo delle donne nel sacerdozio. I templi di Hathor, forse, furono tra i pochi
a permettere alle donne di avere lo stesso rango degli uomini, ma a partire dal
Nuovo Regno (1552 a.C. - 1069 a.C) solo gli uomini potevano detenere il
titolo di sacerdote, e le donne vennero relegate al ruolo di shemayet,
musiciste.
Come vediamo le sacerdotesse nel fantasy?
Solitamente appaiono come donne insignite di un incarico di
pari importanza rispetto al sacerdote uomo, sono esponenti di fede e magia,
curatrici e talvolta anche gravate dall’onere di governare la struttura
gerarchica del culto a cui appartengono, culti che possono essere prettamente
appannaggio di sacerdozio femminile o, anche, misti. No, nel fantasy non
abbiamo bisogno di quote rosa o di ministeri per le pari opportunità, per
fortuna!
Facciamo, ora, un passo indietro e guardiamo alle
sacerdotesse di Hathor, tra cui Amunet, ritrovate poco più di un secolo fa, e
vediamo le sacerdotesse nell’ottica del tempo: non erano le puttane del tempio
ma persone dotate di potere legittimo nel loro proprio diritto, e la loro
sessualità era manifestazione di fertilità e strumento di nuova vita.
Erano dunque rappresentanti di Hathor sulla terra, guidavano
e proteggevano le donne durante il pericoloso processo del parto, un processo
che richiede assistenza sia spirituale che medica. Il fare sesso, la gravidanza
e il parto sono tre momenti di un ciclo inseparabile, e l'ultima parte di esso,
il parto, era per le donne dell'antichità una danza con la morte che spesso le
lasciava in viaggio verso l'oltretomba. Il fare bambini era essenziale per il
successo e la continuità in tutte le culture e le sacerdotesse di Hathor,
probabilmente, erano lì per proteggere e assistere le donne in questo
pericoloso passaggio della vita.
I tatuaggi di Amunet sono posizionati sulla sua zona pubica
superiore e coprono la parte bassa dell'addome, parte del torace e la zona sotto
al seno sinistro. Altri tatuaggi sono al di sopra della giuntura del gomito,
sulla spalla sinistra e sulle sue cosce. Molti di questi tatuaggi sono in forma
di lineette, punti, e cerchietti concentrici sull'addome. É importante notare
che i tatuaggi più "carnali", come sono stati definiti, non portano
l'attenzione sui genitali, le parti sessuali, bensì coprono gli organi
riproduttivi.
La magia è anch'essa certamente parte delle funzioni del
tatuaggio, proteggendo simbolicamente le aree del corpo: la natura dei disegni
egiziani è molto simile ad altri esempi di tatuaggi medicinali come quelli
trovati su Ötzi o sull'Uomo di Pazyryk, e credo che studi più oggettivi sulla
posizione dei tatuaggi sulle mummie delle sacerdotesse possano dirci molto di
più sui loro ruoli nelle vite dei devoti ad Hathor.
A volte mi dico che gli scrittori fantasy prendono troppo
poco spunto dalla realtà che, a ben guardare, supera qualunque limite della
fantasia. Infatti, sebbene sempre più spesso nella narrativa fantastica si
introducano figure tatuate perché sembra diano più carattere e spessore al
personaggio, mai viene spiegato in che ambito il tatuaggio rientra, bene che
vada rappresenta per lo più – nel barbaro – l’animale simbolo del proprio clan
di appartenenza. Sembra quasi che non ci sia quella minima spinta, quella
minima volontà di dare un approfondimento diverso, un senso nuovo alle cose, di
uscire dagli schemi consolidati.
Eppure basterebbe così poco, si potrebbe cominciare ponendosi delle semplici domande, relazionandosi prima alla realtà storica: questi tatuaggi dimostrano forse che gli antichi avevano conoscenze sofisticate di agopuntura e delle connessioni neurali del corpo umano? Venivano utilizzati come terapia del dolore durante il parto, o forse per indurre al parto per tentare un travaglio più sicuro? Le sacerdotesse di Hathor erano le custodi di antiche conoscenze mediche per aiutare le donne a sopravvivere al parto?
Eppure basterebbe così poco, si potrebbe cominciare ponendosi delle semplici domande, relazionandosi prima alla realtà storica: questi tatuaggi dimostrano forse che gli antichi avevano conoscenze sofisticate di agopuntura e delle connessioni neurali del corpo umano? Venivano utilizzati come terapia del dolore durante il parto, o forse per indurre al parto per tentare un travaglio più sicuro? Le sacerdotesse di Hathor erano le custodi di antiche conoscenze mediche per aiutare le donne a sopravvivere al parto?
Chi lo sa. Magari, prima o poi, una sacerdotessa di un culto
nuovo, in un nuovo regno fantastico, ce lo dirà.
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