STORIA: Medicina fai da te
In epoca romana la medicina era molto avanzata, basti
pensare alla chirurgia e agli strumenti chirurgici che nel corso dei millenni
sono rimasti per lo più identici a se stessi, cambiando in alcuni casi solo il
materiale con cui sono fatti.
Ciò che spesso non viene svelato, è che i cosiddetti medici
dell’epoca romana erano poco più che ciarlatani alla maniera del vecchio west,
almeno per la maggior parte dei casi. Si deve infatti distinguere tra due tipi
di medicina, in questo caso: quella militare e quella civile. Mentre la prima
seguiva regole molto rigide e studi medici approfonditi, per non parlare del
famoso giuramento di Ipparco che tutti i medici veri facevano e seguivano, per
la seconda i dottori scarseggiavano, mentre figure come l’unguentarius e il pharmacopola
spopolavano.
L’unguentarius era
una specie di farmacista a cui la gente si rivolgeva per procacciarsi gli
ingredienti necessari a realizzare qualsiasi tipo di unguenti (per l’appunto),
filtri, pozioni e altri rimedi, il secondo invece è una figura itinerante che
più si avvicina all’immaginario comune da film spaghetti western con il
truffatore di turno che gira con il suo carretto promettendo pozioni miracolose
per tutti i tipi di disturbi.
C’era però anche un’accurata ricerca medica in campo
erboristico, dettata da secoli di tentativi ed esperienze – un po’
come i nostri rimedi della nonna , che sfruttava con successo molte proprietà
delle piante allora conosciute. Di solito era compito e responsabilità del paterfamilias (il capo famiglia)
prendersi cura anche dei malati della sua casa, provvedere ai “farmaci” e a
quant’altro. Di solito si rivolgeva a un unguentarius
e propinava pozioni o unguenti che lui stesso mescolava, generalmente sulla
base di tradizioni di famiglia tramandate oralmente su come curare cosa.
In realtà la scientia
herborum, l’erboristeria, era abbastanza approfondita, anche se molte
applicazioni
venivano fatte più sull’onda della superstizione tradizionale che
su ben noti reali benefici. Ciò non toglie che per i romani c’era un’erba per
ogni male: ai pazzi si somministrava l’elleboro, la congiuntivite veniva
trattata con colliri ricavati da infusi di mammole, mirra e zafferano; il pus
delle ferite, le scottature e le ragadi li si combatteva con l’asfodelo, mentre
miele, pane e radici di narciso si narra facessero uscire i corpi estranei dal
corpo. Non parliamo poi dell’ortica che tornava buona per diverse malattie.
La medicina imperiale era avanzata come non mai rispetto
alle conoscenze dei romani arcaici, dediti principalmente a rituali magici più
che a pratiche mediche vere e proprie, e anche nella sua “rudimentalità” se
paragonata alla medicina moderna, trovava interessanti applicazioni e campi di
ricerca: non esistevano gli occhiali così come li conosciamo noi, eppure la
proprietà delle lenti era nota: Nerone ovviava alla sua miopia, per esempio,
con uno smeraldo opportunamente levigato a forma concava.
Ma, più di tutti, era il laserpicium
– il silfio greco – la vera panacea per tutti i mali. Questa pianta, fino all’età
imperiale, cresceva rigogliosa esclusivamente sulle coste libiche e i romani ne
fecero un così largo uso da estinguerla. Come detto era una specie di panacea e
molto spesso fu lo stato stesso ad acquistarne grandi quantitativi da designare
all’esercito e anche il grande Cesare ne fece largo uso. laserpicium
“uno dei più grandi doni che ci abbia mai fatto la Natura”.

Anche i dentisti lo usavano, mettendolo dentro le carie dei
denti e chiudendole con della cera, anche se buona parte di questi “professionisti”
della bocca preferiva curare la carie con polpa di zucca mescolata con assenzio
e sale.
Insomma, era tutto piuttosto vago, legato alla
sperimentazione e – soprattutto – molto… “fai da te”.
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