Ad Block Amazon

RACCONTI: Celeste e il Generale filosofo - Capitolo II


La filosofia non serve a nulla,dirai; 
ma sappi che proprio perché
priva del legame di servitù
é il  sapere più nobile.
(Aristotele)





Caius Naevius Victor
I soldati lo chiamavano il Generale filosofo e storcevano il naso davanti alla sua passione. Quando mai si è visto un legionario, o ancor meglio un comandante, perdere tempo sui libri di filosofia greca?
Eppure, Caius Naevius Victor non si vergognava di quello che era: si sentiva fiero sia delle proprie capacità militari che delle proprie passioni.
Era a capo della legione XXX Ulpia Victrix, gli emblemi della quale erano gli dei Nettuno e Giove, oltre al Capricorno. Caius Naevius cercava nel fragore delle battaglie il senso della sua esistenza e, nel silenzio dei suoi libri di filosofia, trovava infine qualche risposta.
Non era un uomo felice: nonostante avesse ottenuto in campo militare ogni traguardo a cui aveva aspirato e fosse soddisfatto dei suoi successi, quando tornava in Patria e ad attenderlo lo aspettava un’enorme casa vuota, se si eccettuano le centinaia di schiavi, la solitudine minacciava di sopraffarlo.
Eppure quella vita se l’era scelta lui. Non siamo in fondo tutti artefici del nostro destino?


Septimus Lucianus Terentius si era raccomandato con la figlia Celeste per la buona riuscita della cena di quella sera: avrebbero ricevuto, infatti, un ospite di riguardo, un importante generale, famoso per le sue imprese militari e non solo.
Celeste era elettrizzata all’idea di conoscere, finalmente, un legionario così alto di grado, anche se l’età dell’ospite frenava un po’ il suo entusiasmo: non avrebbe mai sposato un uomo coi capelli già candidi come la neve.
Il padre le aveva raccontato che l’ultima volta che l’amico era venuto a fargli visita, lei era ancora troppo piccola per ricordarsene: questo dato aveva un po’ allarmato la giovane.
Indossò comunque il suo abito migliore, una stola¹ semplice e di colore celeste, con una cintura dorata e larga stretta in vita.
Si era fatta allacciare una collana d’oro con un pendente turchese dalla  schiava addetta alla vestizione, e si era spruzzata sul collo il profumo proveniente da Alessandria che aveva comprato per l’occasione.
Quando infine si era recata nel triclinium², ad attenderla c’erano i suoi genitori, anch’essi vestiti eleganti, e il generale Caius Naevius Victor in persona.
Era diverso da come se l’era immaginato.
Innanzitutto non aveva i capelli bianchi, ma solo qualche ciuffo grigio sulle tempie, che risaltava meglio il colore nero degli altri capelli; altresì, era evidente non fosse prossimo a partire per i Campi Elisi. Poteva avere quarant’anni, non di più.
La giovane donna si scoprì a sorridergli, come una sciocca.
“Ti presento mia figlia Celeste,” disse suo padre, rivolto al Generale.
“Celeste,” ripeté lui stringendole la mano, “mai nome fu più appropriato di questo,” continuò, guardandola a lungo, tanto che la ragazza arrossì, sotto il suo sguardo insistente.
Lui se ne accorse e smise immediatamente.
Mentre gli schiavi portavano in tavola l’antipasto, composto da uova, olive nere, ortaggi crudi e cotti e crostacei innaffiati di mulsum, il Generale le rivolse la parola.
Allora, Celeste? Tuo padre mi ha parlato molto bene di te. Quali sono i tuoi passatempi?”
“C… cosa? Passatempi, dite?”
“Sì, le tue passioni. Quello che ti piace fare quando hai del tempo libero.”
“Vediamo: mi piace disegnare e adoro scrivere,” affermò la ragazza.
“Anche a me piace molto la scrittura, ma prediligo leggere.”
“Davvero?” domandò sorpresa, “cosa?”
Il padre di Celeste rise, sentendola chiedere proprio quello e posando il ligula* che teneva in mano sulla mappa* della tavola rotonda
“Mia cara figlia, il nostro ospite viene soprannominato, da tutti quelli che lo conoscono, il Generale filosofo
Celeste guardò Caius Naevius sbalordita, quasi rischiando di strozzarsi col Gustacium³ che stava mangiando.
Un generale filosofo? Questa era buona! Non si era mai sentito di un soldato che amasse sia i libri sia il sangue versato in battaglia.
“Tu esageri come sempre, caro Septimus,” replicò il generale facendosi passare il salinum*  da un servo.
“Non sono un filosofo, né pretendo di esserlo. Sono solo un umile studioso!”
“E quali autori prediligi?” chiese la ragazza
“Difficile rispondere: principalmente Diogene, Socrate, Platone…”
“Platone! Lo adoro.”
Il generale guardò il viso della ragazza illuminarsi.
“Ti piacciono i suoi Miti?”
“Si, specie il Simposio* e la teoria dell’essere androgino. Voi che ne pensate?”
Il viso del generale si rabbuiò. “Non posso risponderti su questo, perché non mi sono mai innamorato di una donna. Della filosofia, dei libri e dei loro autori, della mia legione e del mio imperatore, dell’adrenalina che mi scorre nelle vene prima di ogni combattimento, ma mai mi sono innamorato di una donna.”
“Non … non siete sposato?” domandò titubante la ragazza
“No, ma lo sono stato. Ho divorziato.”
“Perché?” disse la ragazza precipitosamente, senza pensare prima all’indiscrezione della sua domanda. “Scusatemi generale, non volevo. Non siete tenuto a rispondere.”
“Non scusarti; apprezzo sempre la curiosità nei miei interlocutori. E per rispondere alla tua domanda, devi sapere che io disprezzavo mia moglie.”
“C… cosa?”
“Sì, la disprezzavo come donna e come moglie, per il suo carattere e per i suoi comportamenti. La disprezzavo perché  non la stimavo. E così, dopo anni d’infelice vita coniugale per entrambi, di comune accordo, abbiamo deciso di divorziare,” disse Caius.
“E… dopo di lei?”
“Non c’è stato più niente di serio. Ho deciso che non sarei più rimasto intrappolato in un rapporto odiato da entrambe le parti.  Preferisco restare per sempre da solo, piuttosto.”
Celeste si fece all’improvviso molto triste e non riuscì a fingere che le sue parole non l’avessero colpita.
“Quindi non ti sposerai, mai più? Con nessuna?” domandò.
Il generale si accorse del cambiamento avvenuto nella ragazza e capì di aver fatto colpo su di lei: non per le sue imprese militari ma, per la prima volta, per la sua cultura.
Così tentò di rimediare.
“Mai dire mai! Forse uno di questi giorni conoscerò una donna che mi colpirà particolarmente e perderò la testa per lei. Forse sarò persino disposto a sposarla.”
Celeste tornò a sorridergli e Caius si ritrovò a ricambiare il gesto.
Da quando non stava così bene con una donna, intrattenendo solo conversazione?
Il generale filosofo nemmeno se lo ricordava più: da anni o forse da tutta una vita.
Quanto erano vere le parole dei poeti quando dicevano che bastava il sorriso di una donna a illuminarti la giornata!
Il padre di Celeste spezzò quell’atmosfera proponendo di alzare la phiala* per un brindisi.
“Prosit,*” dissero in coro i due generali.



I genitori di Celeste erano entrambi preoccupati per il rapporto che si era instaurato tra la loro figlia e Caius Naevius Victor, ma per motivi assai diversi.
La madre, l’arcigna Sempronia, era contrariata all’idea che la figlia commettesse il suo stesso errore di sposare un legionario; il padre, sebbene soddisfatto per l’uomo su cui stava ricadendo l’attenzione della giovane, temeva che i trascorsi burrascosi del generale avrebbero finito per fare soffrire Celeste.
La sera stessa, quindi, dopo aver salutato l’ospite, i due apprensivi genitori decisero di parlare con loro figlia.
“Celeste, ti piace molto il mio amico, il Generale?”iniziò il padre.
La ragazza, presa alla sprovvista, non seppe inizialmente cosa fosse giusto rispondere.
“Dimmi la verità, devo saperla,” pretese l’uomo stringendo con forza la sua vestis coenatoria*.
“Sì, padre, credo di esserne attratta,” rispose allora la giovane  con gli  occhi bassi.
La madre diede in escandescenze, rivolgendosi con le mani alzate alla divina Giunone perché facesse cambiare idea alla figlia.
“Non badare a tua madre,” disse Septimus Lucianus Terentius, distogliendo subito lo sguardo dalla donna, che continuava a lamentarsi.
“Io tengo in gran conto i tuoi desideri, ma voglio metterti in guardia,” riprese a dire il pater familias.
“Cosa? E perché, padre?”  domandò stranita la ragazza.
“Tu, non sai… circolano delle strane voci sul conto del Generale filosofo,” rispose l’uomo, serio.
“Pare che in gioventù avesse avuto una relazione con un suo superiore: la faccenda divenne di dominio pubblico e la madre di Caius lo fece sposare in tutta fretta per porre rimedio allo scandalo.”
“No… lui non è… non ci credo. Sono solo bugie!”
“Lo vorrei figlia mia, credimi! Ma è tutto vero e la prova l’hai avuta tu stessa nelle sue parole questa sera,” replicò Septimus
“Ti ha detto di non essersi mai innamorato di una donna. Ha quarant’anni, non è più un giovanotto. E non ha più l’età per innamorarsi proprio ora.”
“No, padre! Questo non puoi dirlo. Sai benissimo anche tu che non è vero. Ci si può innamorare a qualsiasi età!”
Sempronia scoppiò in una risata isterica.
“Quella sgualdrina. Ti sei innamorato di quella prostituta, vero?” urlò contro il marito la donna, impazzita dal dolore.
“Calmati, Sempronia!”
Ma lei non smise di gridare. “E dimmi, riconoscerai vostro figlio?”
Celeste cadde completamente dalle nuvole, guardando il padre profondamente delusa. Com’era possibile? Stava per avere un fratellino e lui non gliel’aveva detto?
“Mi dispiace Celeste, che tu l’abbia dovuto scoprire così,” le disse il padre
“Te l’avrei detto una volta fosse nato,” continuò, “ma ora lasciami parlare con tua madre, in privato”
Celeste andò nel suo cubiculum* e, una volta sdraiata sul suo letto, scoppiò a piangere. Si sentiva così sola, da quando Calliste era morta. Se fosse stata ancora viva, avrebbero potuto discutere delle novità insieme ed inveire contro il padre, la madre e il destino stesso.
Ma sua sorella non c’era più e a Celeste non rimanevano altro che delle lacrime da versare in solitudine.






Note:
Il cognomen Ulpia Victrix faceva riferimento alla famiglia di Traiano (Ulpius) e alla vittoria (Victrix, cioè "vincitrice").

1) stola: tunica femminile semplice;
2) triclinium: era il locale in cui veniva servito il pranzo nelle case degli antichi romani. Veniva usato per intrattenere gli ospiti. I commensali sedevano sdraiati su dei cuscini attorno ad un tavolo basso. Il triclinio prese il nome dai tre cuscini su cui i padroni di casa e i loro ospiti si sdraiavano per tutta la durata del pranzo. Ogni cuscino era capace di ospitare tre commensali che stavano sdraiati sul lato sinistro. Durante il banchetto, canti e danze servivano ad allietare gli ospiti.
3) Gustacium: è un antipasto la cui ricetta ci è fornita sia da Virgilio nella sua Appendix vergiliana che da Catone nella De agri coltura. In un piatto collocare dei pistacchi con delle albicocche, della frutta secca tipo noci, nocciole e datteri, quindi delle uova, dei capperi e delle ulive. Per le tartine utilizzare invece fettine di focaccia sacra (libum) cosparse alcune con un pasticcio di cacio con aglio (moretum), altre con un gramolato di olive (epityrum), altre ancora con l’ “allec”, la parte solida della lavorazione del garum.
4) Simposio di Platone: in greco Συμπόσιον, noto anche con il titolo di Convivio, è forse il più conosciuto dei dialoghi di Platone. In particolare, si differenzia dagli altri scritti del filosofo per la sua struttura, che si articola non tanto in un dialogo, quanto nelle varie parti di un agone oratorio, in cui ciascuno degli interlocutori, scelti tra il fiore degli intellettuali ateniesi, espone con un ampio discorso la propria teoria su Eros ("Amore").
5) ligula: cucchiaio fabbricato in un primo momento solo in legno e successivamente anche in metallo;
6) mappa: tovaglia, diffusa già dall’età augustea, che durante lo svolgimento del pasto viene pulita dai servitori con la gausape, un panno di lana grezza a pelo lungo;
7) salinum: saliera;
8) phiala: una sorta di coppa priva di manici, era molto utilizzata nei banchetti;
9) prosit: terza persona singolare  congiuntivo presente del verbo prodesse. Significa "sia utile, faccia bene, giovi!", o anche "sia a favore".
10) vestis coenatoria: tunica piuttosto ampia in lino colorato e leggero che garantiva una certa libertà di movimento e che occorreva talora cambiare tra una portata e l’altra per mantenerla pulita
11) cubiculum:  camera da letto piccola, buia, inospitale per chi  la alloggiava, scarsamente arredata: un letto( cubile), una cassa (arca) per riporvi le tuniche, ed un vaso da notte.



4 commenti:

  1. Sempre più interessante questa storia, la precisione dei dettagli è ammirevole, e i profili psicologici sono ben delineati. Continua così !

    RispondiElimina
  2. Vero che abbiamo fatto un ottimo acquisto con la bella penna di Berenike? ^^
    eheheh

    RispondiElimina

Powered by Blogger.