RACCONTO: Saltimbanchi - IV
Puntata precedente
In risposta allo
schiocco secco della mano di Azia contro la guancia di Domiziano Marzio levò
l’arco e scoccò la freccia che andò a colpire sotto l’ascella sinistra il
germanico. Gautighot lasciò la presa sulla spada, sbigottito. Quello era un
colpo mortale per chiunque se la freccia non avesse avuto la punta ben avvolta
nella stoffa e nella polvere colorata, che lo macchiò con uno sbuffo azzurro.
Tolomeo guizzò di
lato con agilità imprevista, Elettra infilzò l’aria per l’ennesima volta con
vivo furore. Ululò di disappunto, quindi girandosi si trovò la lama di legno
conficcata sotto lo sterno con forza a rubarle l’aria dai polmoni. Ma lei era
in tratto estremo e la cosa non l’avrebbe fermata. Tolomeo la prese quindi per
la gola e strinse soffocandola, parando con facilità i fendenti lanciati a
casaccio dalla donna che teneva a distanza. La mancanza d’aria fece il resto in
breve tempo e gli occhi arrossati di Elettra si schiarirono progressivamente.
Di pari passo la sua furia si quietò, fino a quando non colpì il polso del
trace con degli schiaffetti leggeri, boccheggiando. Tolomeo mollò la presa e
l’aria tornò ad albergare nei polmoni della guerriera che tossì e rantolò
piegandosi sulle ginocchia.
Pendaran ed
Eliogabalo si alzarono e raggiunsero i compagni. Il vecchio divinator rimase
impassibile, giocherellando con la freccia che lo aveva colpito, mentre
l’espressione amareggiata del retico parlava per tutti.
Azia li fronteggiò
con le mani sui fianchi. «Siete stati tutti eliminati. Avete perso.»
Elettra la guardò
in cagnesco, ma rimase zitta fino a quando la sua attenzione non fu attirata
dal gallico sceso dal suo trespolo. «Beh, che hai da guardare tu?»
Gawain la guardò in
tralice, come se non avesse capito, quindi si tirò una pacca sulla fronte e si
tolse dalle orecchie i tappi di cera. «Scusa, ma con questi non ti ho sentito. Dicevi?»
Pendaran strizzò
gli occhi e intervenne prevenendo la replica affilata della compagna. «Abile,
ragazzo. Un ottimo sistema per immunizzarsi dalle ipnosi di Domiziano. I miei
complimenti, comunque: mi hai scovato e hai segnalato la mia presenza a Marzio.
E complimenti anche a te, un tiro decisamente incredibile.» Con queste parole
si tirò il cappuccio della tunica in testa e mostrò a tutti il bozzo azzurro
chiaro che lo centrava proprio alla sommità del capo.
Gautighot guardò
dall’uno all’altro, comprendendo infine la parte avuta da Gawain. «Eri tu? Era
per te che non li colpivamo mai?»
Gawain sorrise
beffardo. «Eh, già.»
Elettra esplose di
rabbia, tirando un pugno alla sapiente che, presa alla sprovvista, finì a
terra: «Gli avevi detto di non partecipare! Brutta imbrogliona, falsa!
Bugiarda!»
Azia si pulì la
bocca rialzandosi lentamente, quindi a un nuovo attacco della guerriera replicò
imprigionandole il pugno e restituendole quello incassato poc’anzi. Liberatasi
della guerriera rispose pacata: «Mai detto nulla del genere, io. I miei ordini
erano quelli che si tenesse fuori dalla mischia e che ci guardasse le spalle
dall’alto, con discrezione. Siete tutti testimoni che erano queste le mie
parole. E lui ha fatto esattamente quello che gli ho detto di fare.»
Gautighot masticò
amaro constatando che era vero. Erano stati loro a travisare il significato
delle sue parole. «Perché, allora? Tutto calcolato?»
«In parte. Gawain
sta con noi da poco e in questi tre mesi non abbiamo mai avuto modo di
allenarci per imparare a coordinarci su un campo di battaglia. Avremmo
rischiato di impicciarci tra noi e le sue abilità possono lavorare a distanza
molto bene.»
«Ci hai comunque
ingannati.» Blaterò Eliogabalo con furia e Azia scosse la testa con un
sorrisetto di scherno.
«Avrei potuto, ma
l’arte dell’illusione la lascio a chi ha la competenza di usarla al meglio.
Come, in definitiva ha fatto. Se aveste avuto un po’ più di fiducia in lui e lo
aveste schierato in campo armi in pugno avreste avuto una qualche possibilità
in più. Invece avete preferito lasciarlo scoperto e senza difese, al pari di
Pendaran. In una squadra ci si protegge sempre a vicenda. Me lo hai detto tu
anni fa, Gautighot…»
Azia si passò le
ciocche sfuggite alla treccia dietro le orecchie, si spazzò le vesti intonse al
pari di quelle dei compagni e si rialzò dritta come un fuso, nel silenzio dei
compagni, rancoroso quello dei battuti e comprensivo quello degli altri.
«Quando anche solo un segno sporcherà la tunica di ciascuno di noi allora
sarete pronti a partire in missione. Fino ad allora ci alleneremo insieme e una
volta a settimana incroceremo le armi di legno per vedere i vostri progressi.
Iniziamo domani all’alba.»
Se ne stava andando
a testa alta, lasciando tutti indietro. Elettra, questo suo atteggiamento, non
riusciva proprio a sopportarlo. La sconfitta era bruciante, ma ancora non
voleva, non poteva ammettere la cosa. Lei aveva fiducia nei propri compagni,
tutti. O quasi.
«Ehi, rossa! Cosa
ti fa pensare che non mi fido dei miei compagni? Alla fin fine tu hai vinto
barando, lasciando intendere una cosa e facendo l’esatto opposto. Come ci si
può fidare di una come te?»
La sapiente si
fermò e con un palese profondo e rammaricato sospiro crollò il capo fissando il
terreno. Era stanca, ma se doveva dare una dimostrazione pratica di cosa
intendeva per fiducia, allora lo avrebbe fatto. Si girò lentamente, guardandosi
intorno. Alla fine, non trovando nulla di utile, fece un cenno con una mano e
uno schiavo le corse incontro, scomparendo rapido dietro una colonna mentre
Azia tornava sui suoi passi, gli occhi vuoti a celare i propri sentimenti fissi
in quelli castani della daciana.
Lo schiavo tornò
con un cesto di frutta mista e Azia prese distrattamente una pesca, porgendola
alla guerriera: «Davvero ti fidi di loro? Al punto di mettere la tua vita nelle
loro mani?»
«Certo!» esclamò
con sdegno l’altra. «Lo faccio tutti i giorni, tutte le volte che sono in
missione con loro.»
«Eliogabalo, qual è
la distanza massima di gittata del tuo arco?»
«Tre o quattro
stadii, perché?»
«E a questa
distanza sei in grado di centrare questa?» Chiese, mostrandogli la pesca.
«Che domande. Lo
sai benissimo che ne sono in grado!»
«Ottimo.»
Azia studiò la
planimetria della casa e del giardino, quindi annuì. «Mettiti in quell’angolo e
tira, Eliogabalo. Centra la pesca. Elettra, prendila e reggila sulla testa con
il pollice appoggiato ai capelli.»
I due spalancarono
gli occhi, quindi la bocca si aprì in una ‘O’ perfetta in entrambi. «Che
cosa?!»
«Ma sei impazzita?»
Avevano parlato
contemporaneamente e lei, lanciata la pesca alla guerriera aveva fatto
spallucce, replicando beffarda: «Suvvia, sono solo trenta passi. Se Eliogabalo
è in grado di centrare una pesca a quattro stadii di distanza, a trenta passi
non la mancherà di certo, nemmeno se tu stessi combattendo di nuovo con
Tolomeo.»
«Ma tu sei
completamente suonata, rossa! Ci sono mille cose che possono andare storte!»
Sbottò l’esploratore retico ed Elettra annuì vigorosamente.
«Come ho detto, non
c’è fiducia.» Intervenne Azia, con tono reciso. Voltò loro le spalle e si avviò
nuovamente verso il portico che portava all’interno della domus che aveva
affittato e alle sue stanze.
Quando sentì sulla
pelle la frescura immediata dell’ombra del portico, la voce della guerriera la
raggiunse: «Te sei tutta scema! Non è la fiducia che ci manca, è a te che ha
dato di volta il cervello!»
Azia si voltò a
guardarla con sufficienza. Frugò in una scarsella ed estrasse un sesterzio. Lo
tenne tra indice e pollice, rigirandolo, quindi se lo pose sulla testa, toccandosi
i capelli con il pollice.
Una freccia sibilò
letale e le rubò la moneta dalle dita, andando a piantarla nell’intonaco del
muro dietro di lei, dove la pesante freccia da guerra si era conficcata,
maciullando il bronzo della moneta. Azia con un gesto molto lento riportò giù
la mano, fissando vuota i componenti della coorte XII Fulguralis sbiancati in
volto come mai li aveva visti. Senza aggiungere una parola entrò in casa e si
diresse di filato al suo balneus privato e alle piccole terme annesse prima che
qualcuno avesse la bella idea di fermarla un’altra volta. Non avrebbe retto a
un’altra interruzione e non poteva permettersi il lusso di far uscire il
mastino e picchiarli tutti di santa ragione fino a far entrare in quelle teste
dure un concetto tanto semplice come la cieca fiducia in coloro che ritieni
tuoi fratelli.
Perché nella
Specula erano tutti frates e quei tre idioti se l’erano dimenticato.
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