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RACCONTO: Saltimbanchi - III

Puntata precedente


Gawain individuò subito il divinator che, come detto da Azia, se ne stava semi nascosto dietro un albero, alle spalle dei compagni.
Si mise all’opera, ignorato da tutti, e dall’albero una colatura scura scivolò silenziosa sul terreno e poi verso le ombre dei compagni intenti a parare i colpi. Le agganciò e il sapiente si mise comodo. Come da previsione i primi due dardi lanciati da Eliogabalo fecero delle volute bizzarre in cielo sbilanciate dalle imbottiture sulle punte, cariche di polvere colorata. Inosservata, corse tra la polvere una lingua nera non più larga di un dito che sfruttò l’ombra dell’esploratore per prendere rinnovato vigore e giungere più lontano di quanto solitamente non potesse fare.
Agganciò l’ombra del divinator, salì a spirale lungo il corpo che si muoveva dondolante avvolgendolo e avvolgendo l’albero alle sue spalle. Quando arrivò alla bocca prese consistenza e strinse, bloccando il divinator contro l’albero e tappandogli la bocca.
In quel momento la corda dell’arco di Marzio vibrò e la freccia volò in una mirabile parabola in aria fino a cadere in verticale sulla testa del vecchio, coperta dal cappuccio che, ridacchiando, si chinò a raccoglierla scuotendo la testa, improvvisamente libero dalla liana d’ombra che lo aveva imprigionato. Sorrise e andò a sedersi con serafica calma sotto al portico, a gustarsi la scena della disfatta della sua squadra.
Elettra e Gautighot si guardarono straniti quando una freccia di Eliogabalo sembrò passare attraverso il corpo del guerriero trace davanti a loro. L’abilità del mastino era innegabile, teneva testa a entrambi dando man forte alla sapiente che, riconobbero, era decisamente migliorata nell’uso della spada in quei cinque anni. Quella era una cosa che si erano aspettati, ma non si aspettavano che un colosso come Tolomeo fosse così agile da riuscire a schivare una freccia.
C’erano voluti tre tiri a Eliogabalo per capire quanto fossero sbilanciate le frecce, tre tiri che anche l’altro esploratore aveva fatto andando a segno: la spalla di Elettra, la gamba di Gautighot, il fianco dello stesso Eliogabalo. Lo stupore del retico al vedere il colosso evitare il dardo lo imbambolò per il tempo necessario a Marzio di fare un altro temibile lancio che lo colpì di nuovo, questa volta in pieno petto, all’altezza del cuore. A malincuore, ma non potendo venir meno alla parola data, Eliogabalo si ritirò andando a sedersi accando a Pendaran e accettando da lui l’otre d’acqua fresca che gli porgeva.
Tolomeo ed Elettra si trovarono impegnati in un duello che prese sempre più le sembianze di una danza. A ogni affondo della daciana il colosso ribatteva con maestria parando o schivando. I suoi affondi talvolta lasciavano un segno azzurro sulla pelle o sulla veste della guerriera, ma mai in posizione tale da costringerla al ritiro. Elettra combatté con l’eleganza che la contraddistingueva, certa di andare a segno per la terza volta ruggì il proprio disappunto vedendo la lama di legno affondare nell’aria laddove avrebbe dovuto esserci il torace del trace. Non si spiegava proprio il modo in cui lui riusciva a eludere i suoi attacchi. Per tutta risposta Tolomeo tirò una piattonata sulle natiche della daciana, con il chiaro intento di farle perdere il lume della ragione e riuscendoci perfettamente.
Mentre gli scontro tra Azia e Gautighot ed Elettra e Tolomeo infuriavano al centro del cortile, Domiziano si mosse piano fino al perimetro, quindi iniziò il movimento di avvicinamento. Era stato escluso dai piani dei due guerrieri, ma sapeva che presto o tardi gli avrebbero chiesto aiuto. Per poterlo fare doveva però neutralizzare Marzio e il tenersi sempre tra lui e Azia era l’unica garanzia che le sue frecce non lo avrebbero raggiunto. Guardò distrattamente Gawain appollaiato sull’albero con le mani dietro la testa a gustarsi lo scontro e tornò a concentrarsi. Non gli piaceva essere contro Azia, ma non l’avrebbe delusa lavorando contro la sua squadra. Per quello i suoi compagni erano fin troppo bravi da soli.
Osservando Pendaran ed Eliogabalo già eliminati dai giochi comprese che la situazione era peggiore di quanto immaginato dalla sapiente. Sarebbe stato un lavoraccio molto duro. Venne riscosso dal ringhio incattivito di Gautighot.
«Domi! Dai voce, finiamola qui con questa farsa!»
Comprese e dopo essersi assicurato di essere fuori portata da Tolomeo, chiuse gli occhi e intonò un canto. A poco a poco la voce cambiò tonalità alzandosi pura e cristallina nell’aria afosa del primo pomeriggio e portò con sé note di autocommiserazione e consolazione.
La voce del conciliator si levò sicura e Marzio lentamente abbassò l’arco. Azia, scaraventata lontano a terra da un poderoso colpo del germanico, si mise a sedere con sguardo perso. Gautighot ghignò soddisfatto. «E ora chiudiamo i giochi.»
Il guerriero si diresse contro il trace quando vide la sapiente alzarsi tenendo la spada di legno mollemente, la punta che strisciava per terra mentre obbediva al comando di Domiziano di raggiungerlo. Così facendo lasciò il fianco scoperto a Marzio, ma non se ne curò, dal momento che l’arco giaceva inerte con la freccia incoccata puntata verso terra mentre l’uomo rimaneva a fissare il vuoto imbambolato. E così sarebbe rimasto fintanto che Domiziano avesse continuato a cantare quella nenia ipnotica.
Rimase di sasso quando a un affondo Tolomeo si spostò in tempo per schivarlo mentre parava un attacco simultaneo di Elettra. Un’Elettra che era fuori di sé, combatteva come una furia e servì poco al germanico per capire che era andata in tratto estremo lasciando campo libero al mastino. E Tolomeo le teneva tranquillamente testa con un’espressione pacifica in volto, prevedendo quasi ogni sua più piccola mossa. Non si contavano più i segni azzurri che costellavano braccia, gambe e fianchi della daciana, mentre il colosso trace non aveva addosso nemmeno un velo di sudore.
Imbestialito alzò entrambe le mani salde sull’elsa, scoprendosi completamente, pronto a calare la spada di legno sulla testa del trace. Elettra era pronta ad affondare dal lato destro dell’uomo. Non poteva sfuggire a entrambi.
Poi la musica di Domiziano cessò con un sonoro ceffone e anche Gautighot si scontrò con la dura realtà.

Domiziano osservò quasi intenerito la donna avvicinarglisi docile sotto l’influsso della sua ipnosi. Stavano vincendo, una volta che l’avesse anche semplicemente toccata con il filo del gladio di legno sulla gola, quando si fosse svegliata si sarebbe dovuta ritirare. Considerò che, nonostante tutto quello che era successo e la diffidenza palese che i compagni nutrivano per lui, facevano ancora un ottimo lavoro di squadra, dimostrando quindi che la XII non era quel caso perso descritto dalla sapiente. Inizialmente le aveva dato ragione, ma ora che erano all’opera si stava ricredendo.
Quando l’ebbe davanti le carezzò la guancia, intenerito, mormorandole: «Mi spiace, piccola.»
«Anche a me. Scusa.»
La lama di legno corse lungo la sua gola lasciandolo di sasso. Poi, per sicurezza, Azia gli mollò un ceffone che gli fece voltare la testa con uno scatto violento e perse la concentrazione necessaria per mantenere l’ipnosi del musico. Guardò basito la sapiente che sorrise mesta: «Perché mi sottovalutate sempre tutti? Eppure lo sapevi che sono anche un mastino… e quindi immune al tuo canto.»

Domiziano chiuse gli occhi, sconfitto. Lo aveva dimenticato. Come tutti gli altri.

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