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EVENTO: Vampires in tour

Eccoci un'altra volta a ospitare con piacere una tappa di un blog tour. Non un blog tour qualsiasi, ma qualcosa che, da sempre, ci affascina con il suo lato dark.
Beh, inequivocabilmente il titolo già dice tutto da sé: vampires in tour... e sì, si parla (che, non si era capito?) di vampiri.

E siamo lieti di farlo con Ilaria Militello, autrice di "Love Vampire", opera - appunto - in tour che per questo terzo appuntamento si ferma qui a presentarci "Le origini". Quindi... Beh, buona lettura.

Ah, già, dimenticavo: potete trovare Ilaria Militello e il suo "Love Vampire" sulla sua pagina di Facebook, sul blog di Ilaria - My Secret Diary - e se ancora non siete convinti di andarlo a comprare sullo store a questo link qua, vi rimando a questa bella recensione (tanto per farvi un'idea) e cercherò, prima di lasciarvi a Shirley e alla storia delle sue origini, di ingolosirvi con il book trailer.




Non ne avete ancora avuto abbastanza? Allora ascoltate Shirley, sentite la sua fredda voce cristallina, ascoltatela, lasciatela risuonare dentro il vostro cuore parola dopo parola. E non fateci caso se il suono assomiglia a quello di una lama tagliente...


Le origini di Sherley

Sono morta al posto di mia madre. Ho sacrificato la mia vita per colei che me l’ha donata e non me ne pento, lo rifarei. Scegliere di sacrificarsi per qualcuno alle volte lo si può scegliere, altre si è obbligati.
Non mi spiace essere un vampiro ormai. Mi sono abituata a questa vita, se così la si può chiamare, ma di certo quando decisi di sacrificarmi non potevo immaginare a cosa andavo incontro.
La mia famiglia viveva in una villa nel sud dell’Irlanda. Mio padre possedeva parecchi terreni, non eravamo dei signoroni, ma certo i soldi non mancavano. In quel periodo erano molti i proprietari di terreni, ma tutti vivevamo in completa pace e io ero promessa a uno dei figli di Marc O’Connor, un ricco proprietario terriero, vecchio amico di mio padre che oltre avere molti terreni aveva ben nove figli. Io avrei spostato il penultimo, John un affascinante giovane dai modi gentili e dolci.
Assieme eravamo perfetti e passavamo i pomeriggi a fare lunghe passeggiate. Era estate e passeggiare lungo il viale di casa nostra era come stare in mezzo alle nuvole perché i ciliegi erano in fiore e il profumo era fantastico tanto quanto vedere quelle chiome così bianche unite fra loro.
«Credo che questa sia la stagione che più amo», dissi mentre camminavo accanto a John con la mano sul suo braccio.
«Mi trovo d’accordo con voi, è una stagione mite, né troppo caldo e né troppo freddo, poi è tutto così colorato e in fiore. Uno spettacolo», disse con la sua solita gentilezza e sorrisi. Ci trovavamo sempre d’accordo e questo ci rendeva molto felici. Tutto era così perfetto, bello. La mia vita era come la volevo e non pensavo di certo che presto tutto sarebbe cambiato, nessuno di noi lo pensava. Ma quando nei nostri territori arrivò uno strano tipo, tutto iniziò a precipitare. Uno ad uno i proprietari di terreni cadevano in disgrazia e solo chi non voleva perdere tutto doveva cedere in moglie a questo strano tipo le proprie figlie o le stesse loro mogli.
Era come una piaga e c’era chi cominciava già a dire che quello era il diavolo che aveva preso forma umana. La trovavo solo una storia assurda, eppure ormai qua tutti lo temevano e si rivolgevano a lui come il sommo padrone di queste terre.
Presto anche gli O’Connor finirono sotto il suo mirino e il padre di John fu costretto a vendere sua moglie.
«La trovo una cosa assurda», sbottai una sera in compagnia di John che era visibilmente scosso per ciò che era accaduto. «Io mi chiedo come può aver pensato di dare a quel tizio tua madre. Io lascerei che le terre vadano in rovina piuttosto», dissi, ma stavo parlando da sola. John non era con me, era assente. Mi avvicinai e lui e mi sedetti sul gradino della villa di casa sua. Era trasandato, da giorni ormai non curava più il suo aspetto. Si poteva chiaramente intuire lo stato d’animo suo e dei suoi fratelli. Gli posai una mano sulla spalla e sorrisi. Lui si voltò e mi guardò con uno sguardo spento.
«Non buttarti giù, io sono qui e qualunque cosa ci sarò, sempre», dissi cercando di trasmettergli un po’ di coraggio. Non so se funzionò, John ritornò a guardare un punto davanti a sé e non disse nulla. Mi misi a fissare anche io nella sua stessa direzione e poi giunse l’ora di ritornare casa, così scortata da due maggiordomi di casa O’Connor ritornai a casa, sconsolata e impotente, non potevo fare nulla per John e sua madre. Non potevo fare nulla per nessuno.

Dopo l’accaduto della madre di John passarono alcuni giorni e anche per noi le cose non iniziarono ad andare bene. I miei genitori non lo davano a vedere ma i loro occhi non tradivano il loro stato d’animo, erano preoccupati, temevano anche loro l’arrivo del forestiero e sarebbe arrivato, lo sapevano tutti ormai, non avrebbe tardato, ma non avrei mai permesso che mio padre vendesse mia madre.
Mentre lui si disperava non trovando alcuna soluzione, mia madre aveva sempre una parola di conforto per lui. Riusciva sempre a sorridere e posava una mano sulla sua spalla quando lui si lasciava andare a pianti liberatori. Era lei la vera forza della famiglia.
Mia madre la ricordo ancora bene oggi come se fosse ieri, stranamente il suo ricordo è l’unico che è rimasto vivido in me. Era dolce e solare. Non l’avevo mai sentita lamentarsi e mai aveva speso una parola di ostilità o di scherno contro gli altri. Lei riusciva a trovare del buono in ognuno, perfino in quel forestiero che stava distruggendo intere famiglie.
Ogni giorno che passava la nostra disgrazia aumentava e mio padre era sempre più disperato e fu in una notte di mezza estate, piacevole e calda che lui arrivò a far visita ai miei genitori e nascosta sulla scale spiai la loro conversazione.
«Immagino voi sappiate perché sono qui», disse con voce melliflua. Dalla posizione in cui ero riuscivo solamente a distinguere le sue lunghe e affusolate gambe che indossavano un paio di pantaloni neri e delle scarpe lucide dello stesso colore.
«Sì», rispose secco mio padre. «Dunque che cosa volete da me?»
«Dipende che cosa volete offrirmi voi e cosa volete in cambio», rispose lui.
«Sapete che cosa voglio, veniamo al dunque, sono stanco e vorrei andare a letto al più presto».
«Bene, un uomo che arriva subito al sodo, mi piace», disse ridacchiando malignamente e la sua risata mi fece rabbrividire. «E allora non girerò intorno alla questione, voglio vostra moglie», disse e poi restò in silenzio giusto per vedere le reazioni dei miei genitori, io non potei ma immaginai la loro faccia sconvolta e inorridita.
«Dunque?», chiese dopo alcuni attimi di silenzio.
«Mai», disse mio padre secco e rabbioso, ma alla sua voce si unì quella di mia madre.
«Se mi garantite che mia figlia e mio marito staranno bene e che la disgrazia finirà accetto», disse decisa lei. Il mio cuore mancò di un battito.
«No Adelaide, non lo permetterò, non ti venderò», disse mio padre urlando.
«Non hai scelta e poi non spetta te decidere», ribatté lei fredda.
«Bene, che donna determinata, mi piacciono. Visto che vi consegnate spontaneamente allora vi concedo tre giorni per salutare i vostri cari e poi verrete da me la notte del terzo giorno, se non lo farete, se tenterete di scappare io vi troverò e ucciderò barbaramente voi e tutti i vostri cari», disse minaccioso. Mi sentì nuovamente raggelare e poi l’uomo si alzò, io scappai nella mia stanza e mi buttai sul letto in lacrime, quando udii andar via il forestiero i miei presero a litigare pesantemente. Era la prima volta che capitava. Quella stessa notte, sentendo le loro urla capii che dovevo fare qualcosa, avrei preso il posto di mia madre.
Il giorno seguente, ma come gli altri due che seguirono dopo la visita del forestiero, furono angoscianti e privi di sorrisi. Mia madre tentava se pur invano di portare un po’ di gioia e solarità, ma era chiaro che anche lei temeva la sua sorte e forse più di tutti noi.
La sera del terzo giorno mi assicurai che i miei potessero dormire tranquillamente, versai nel loro vino un sonnifero e prima di andare incontro alla sorte scrissi loro una lettera.

Cari genitori,
vi scrivo perché quando vi risveglierete non mi troverete più, vi spiego dunque il mio gesto. Ho deciso di andare al posto di mia madre, non permetterò che tu ti sacrifichi per queste terre, per noi. Madre tu mi hai donato la vita e ora io voglio ricambiare il gesto. Non permetterò che tu sia schiava di quell’essere, non permetterò che tu spenga il tuo sorriso, anzi, voglio ricordarti esattamente così, solare e gioiosa, sempre pronta ad aprire il cuore a tutti e sarà proprio questo ricordo di te che mi darà forza per camminare lungo la strada che mi condurrà da lui.
Non disperatevi per me, non temo la mai sorte, so che è una cosa folle ma porrò fine alle nostre sofferenze a quelle di tutti, perché cari genitori come mi avete sempre insegnato voi bisogna donare aiuto al prossimo anche quando esso non lo chiede e così farò. Libererò tutti dalla tirannia di quel mostro.
Vi porterò sempre nel mio cuore e vi amerò per la vita. Con tanto affetto la vostra Sherley. Addio.

Sulla carta, vicino alla mia firma cadde una mia lacrima. Mi alzai e lasciai la lettera sul tavolo in modo che potessero vederla appena svegli. Indossai il mio scialle e uscii dirigendomi verso la dimora dello sconosciuto. Abitava appena fuori le nostre terre. Camminavo lenta e decisa andando incontro al mio destino. Ogni passo che facevo era una lacrima e prima di uscire dai confini delle nostre proprietà mi voltai a guardarle per l’ultima volta, abbracciai con lo sguardo ogni piccolo pezzo di terra che riuscivo a scorgere e poi mi voltai, presi a correre con il cuore che batteva forte e le lacrime che scendevano come fossero fiumi in piena.
Quando arrivai davanti al casolare grigio sospirai e salii gli scalini di legno, alzai il braccio per bussare ma la porta si aprì prima che potessi picchiarci sopra. Incerta e con la paura entrai.
Una luce arrivava da una stanza alla mia destra e presi quella direzione, entrai e la vidi vuota, mi guardai attorno, era una libreria e davanti a me c’era una grossa scrivania con una poltrona rossa girata verso la grande finestra.
«Mi aspettavo vostra madre», disse una voce che proveniva dalla poltrona e sussultai, la riconobbi, era quella dell’uomo.
«Pagherò io il pegno», dissi deglutendo poi a fatica. La poltrona si voltò lentamente e finalmente potei vedere quell’uomo. Aveva lunghi capelli neri e gli occhi blu lucenti. Posò i gomiti sopra la scrivania e appoggiò il mento sulle mani scrutandomi.
«Non vi vado bene?», domandai con un po’ di coraggio. Il tipo sorrise.
«Sapevo che sareste venuta voi», disse sicuro di se e rimasi perplessa. Come poteva saperlo?
«Avete origliato la conversazione che ho avuto l’altra sera con i vostri genitori», disse alzandosi dalla poltrona e si diresse verso un tavolino dove vi erano disposte delle bottiglie di liquore e ne versò un po’ in due bicchieri.
«Gradite milady?», mi domandò gentilmente porgendomi il bicchiere. Feci cenno di no con la testa e lui posò il bicchiere. «Mi domando come possa un madre permettere che una figlia prenda il suo posto».
«Cosa state insinuando che forse mia madre è una poco di buono, che presa dalla paura ha preferito sacrificare la figlia?», domandai infastidita dalle sue parole e lui mi guardò con sorriso mellifluo. «Non osate, voi non la conoscete, la decisione è stata mia. Sono scappata e sono venuta da voi di mia spontanea volontà, l’ho fatto per salvarle la vita», dissi con rabbia.
«Salvarla? E da cosa?», chiese sorridendo.
«Da voi, dalla vostra schiavitù», ribattei. Scoppiò a ridere.
«Direi invece che sono io a liberare voi», disse bevendo alcuni sorsi di liquore.
«Come liberarci? Ci costringete a lasciare le nostre famiglie per farci vostre schiave», sbottai sempre più furiosa, quel tipo mi irritava.
«Io vi libero da una vita terrena, mortale e vi faccio il dono della giovinezza eterna». Lo guardai confusa.
«Non capisco di cosa parlate», dissi. Lui sfoggiò di nuovo quel suo solito sorrisetto e posò il bicchiere sulla scrivania, poi si avvicinò a me con una velocità che mi stupì, neanche mi accorsi del suo movimento, mi afferrò per il braccio e avvicinò le sue labbra alle mie orecchie.
«Ora proverai», disse ridacchiando e poi sentii qualcosa penetrarmi nel collo. Tentai di urlare ma dalla mia bocca uscì solamente un lieve gemito. Non so che cosa stesse facendo, o almeno in quel momento non lo sapevo, ma era chiaro che mi stesse succhiando il sangue, mi sentivo svuotare secondo dopo secondo e poi quando fui tra la vita e la morte lui mi lasciò cadere a terra, stremata e ansimante. Vedevo ogni cosa sfuocata e sentivo il mio cuore rallentare, poi si avvicinò con una boccetta nella quale c’era un liquido rosso, scuro e me lo versò nella bocca. Era amaro e freddo, lo sentii scivolare nella gola e mi sentii bruciare dentro. Urlai e poi chiusi gli occhi, quando li riaprii mi ritrovai distesa su un letto e con addosso un abito nero, mi sentivo diversa, cambiata. Ero viva ma allo stesso tempo mi sentivo morta.
In seguito scoprii che l’uomo era un vampiro e aveva trasformato tutte le donne che aveva razziato da ogni famiglia. Lui era il capo e noi eravamo le sue schiave, dovevamo per lui cacciare portandogli vite che lui spezzava oppure prendeva da noi il sangue di cui aveva bisogno e a turno doveva concederci a lui per i suoi piaceri.
Un’eternità di vero inferno che non ero disposta a sopportare, ma non avrei potuto sfuggire a lui altrimenti la sua ira si sarebbe riversata sulla mia famiglia, per questo l’unica soluzione era distruggerlo.
Non programmai nulla, avrebbe potuto leggermi nella mente le mie intenzioni quindi dopo una nottata di abbondante caccia tornai da lui che avvertì la mia fortuna e mi chiamò a se, mi fece sdraiare sul divanetto della libreria e mentre entrava in me lasciai che affondasse i suoi denti nel mio collo, sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe abusato di me. Lasciai che si perdesse completamente e poi mi allungai verso il mio corpetto e la mia cintura che giacevano a terra ed estrassi il piccolo pugnale con la lama d’argento e senza esitazione gli e lo conficcai nella schiena. Lo staccai da me mentre si contorceva e urlava, gli sferrai un altro colpo al cuore e mi rivestii. Bruciai infine il suo corpo e con esso la casa, mi allontanai da lì e lasciai per sempre la mia terra, i miei genitori, ai quali ogni sera facevo visita mentre loro dormivano, ma quella fu l’ultima sera che lo feci, li salutai per sempre e me ne andai lontano.
In seguito incontrai Cian e Bridget del clan degli Skyn che mi accolsero.

I miei ricordi sono quasi sbiaditi ma quelli di mia madre no, lei resterà con me in eterno, ricorderò sempre il suo dolce e solare viso, quella fantastica donna che mi ha donato la vita moltissimi anni fa.

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