RACCONTO: The Fate of Eberron - 11
L’atterraggio così prepotente del forgiato aveva
attirato, loro malgrado, non poche attenzioni e scatenato non poche reazioni di
paura nei passanti che si erano radunati a capannello a osservare e commentare.
Come sempre, il nome di Lorian attirava le attenzioni morbose dei cittadini:
nessuno in tutto il Khorvaire era all’oscuro di chi fosse e di che cosa fosse.
Lorian Artimagius, portatore del marchio del drago
Cannith.
Figlio di quell’Artimagius che aveva portato la guerra
dei cent’anni alla sua massima punta di asprezza, nel decennio che aveva
preceduto la sua fine.
Figlio di quel debosciato che aveva spazzato via la
bella Cyre, il cuore del Kohrvaire.
Partecipe, quasi quindici anni prima, a quel blasfemo
esperimento.
Partecipe. Quindi complice.
L’avvicendarsi degli eventi precipitò: le navi da
guerra Lyrandar che avevano sorvolato i tetti più alti del terzo livello, le
cime nascoste tra le nuvole, si stavano avvicinando pericolosamente, inseguendo
l’ombra dei due pazzi che si erano gettati dalla sommità del palazzo Cannith.
L’ammiraglia distaccò le altre tre della pattuglia, aumentando la velocità di
crociera e puntando dritta su di loro lungo il gran viale di accesso a quel
quartiere, che si apriva nella grande piazza ovale sulla quale di affacciava il
palazzo della casata. A una ventina di metri da loro la piazza si restringeva sfociando
nel Volo del Picchio, un viale lungo un centinaio di metri che terminava sul vuoto.
Vi era, infatti, un molo su cui attraccavano a intervalli regolari di un quarto
d’ora le gondole traghetto che trasportavano le persone dal secondo al terzo
livello di Sharn e viceversa. Uno dei centinaia di moli sospesi nel vuoto, tale
e quale a quello usato solo il giorno prima da Anat e Sylvion per salire ad
assistere alla grande festa culminata in una strage. E non solo di colonne di
cristallo, per loro sfortuna.
«Fermi dove siete, terroristi, vi dichiaro in arresto!»
La voce quasi metallica del comandante della marina
aerea di Sharn riverberò il suo ordine più volte, avvicinandosi ai pericolosi
malviventi, amplificata da un megafono.
I quattro si guardarono: elfo, artefice, forgiato e
lupo.
Sospirarono.
«Ci facciamo prendere? Di casini ne abbiamo combinati
fin troppi.» Chiese Lorian, già sapendo quale sarebbe stata la risposta.
«Finire in galera? Non ci vado se sono colpevole,
figurati da innocente!» Replicò pronto il Sylvion.
Fender emise un grugnito, alzando la testa e bucando
con lo sguardo la polvere sollevata dal suo atterraggio non proprio morbido.
Quel che vide lo preoccupò. Tutti i forgiati della zona – ed erano parecchi
visto e considerato dove si trovavano – stavano convergendo verso di loro.
«Se pensi di potertela cavare, amico mio, fai pure.
Verrò a tirarti fuori quando decreteranno che la tua testa debba fare il salto
del Jiinn.»
Il salto del Jiinn. Gran brutta cosa. A Sharn la pena
capitale era applicata di rado, erano parecchi anni che non veniva più
comminata, ma non era mai stata abolita. L’ultima volta che era stata imposta
risaliva a circa otto prima, mentre loro erano in giro per il continente, a un
assassino seriale che aveva fatto più di cento vittime, la maggior parte delle
quali bambini. La pena era stata esemplare: il salto del Jiinn, appunto. Tutta
Sharn si era riversata nella grande piazza superiore, alla Volta del Cielo, per
assistere alla fine dell’uomo che, inginocchiato vicino al bordo con mani e
piedi legati dietro la schiena, guardava la folla.
Il boia, con una lama affilata, lo aveva decapitato e
il movimento aveva gettato nel vuoto la testa.
Si diceva che, nell’ultimo momento di coscienza, la
bocca si spalanchi in un urlo senz’aria per l’orrore di cadere nel vuoto. Il
Jiinn, appunto, l’urlo muto.
«Bene, allora, direi che possiamo anche andarcene.
Anat?»
«Wof!»
Sylvion sorrise di sbieco. «Esemplare risposta, rossa.»
«Frenate gli entusiasmi, gente. Abbiamo un altro
problema.» Li avvisò freddamente Fender.
Avvedendosi dei forgiati domestici che si avvicinavano
accerchiandoli Lorian storse la bocca all’ingiù. I forgiati erano suoi
fratelli, spiriti intelligenti rinchiusi con la magia in corpi meccanici, vi
era un’anima in loro e vederli così asserviti al Sommo Lord Cannith, l’unico
artefice che – si diceva – fosse in grado di comandarli tutti, lo mandava in
bestia. Soprattutto perché lui non riusciva a concepire l’idea di distruggerli,
per questo genere di cose Anat era più indicata.
«Cosa facciamo?»
Lorian ebbe un rigurgito di bile, Anat spiccò una
corsa in direzione del Volo del Picchio, Sylvion sguainò le spade, girandosi a
guardare la nave avvicinarsi inesorabilmente. «Lorian, fatti venire un’idea in
fretta!»
E Lorian lo fece.
Il marchio sulla sua spalla brillo sotto la stoffa,
divenne bruciante. L’artefice lasciò che la magia della creazione gli
ubriacasse il sangue, vide appena il lupo passare attraverso due forgiati che
lo ignorarono. Non ebbe modo di soffermarsi su questo dettaglio, lasciò che il
potere magico si infrangesse su di lui come un’onda e poi con una sorta di
ruggito ne controllò il fluire attraverso le mani, inginocchiandosi a terra e
posandole sul selciato polveroso.
Il pavimento, come animato di vita propria, si sollevò
in un’onda che nella sua corsa attraverso la piazza ovale si alzò sempre più,
travolgendo i forgiati che andavano a chiudere la strada, imboccando
a sua volta il Volo del Picchio e frangendosi contro i palazzi, sbrecciandoli e sbrecciandosi.
a sua volta il Volo del Picchio e frangendosi contro i palazzi, sbrecciandoli e sbrecciandosi.
Colti di sorpresa, Fender e Sylvion traballarono,
cercando di muovere i piedi alla velocità con cui il selciato si muoveva sotto di
loro. Lorian invece era immobile in ginocchio, gli occhi gli divennero carboni ardenti
accesi di potere, il marchio iniziò a bruciare la camicia dalla cui spalla
iniziò a salire un filo di fumo invisibile e subito spazzato via. Fender guardò
preoccupato l’amico sentendo i circuiti idraulici frizzanti in reazione alla
magia della creazione, la stessa che incanalata e potenziata dalla forgia aveva
dato vita a lui e che, di riflesso, in quel frangente lo stava caricando di
energia. Fu facile reagire lasciandosi investire dalle ondate di potere che
arrivavano dall’artefice e trovare il giusto equilibrio per cavalcare
quell’onda di pietra.
Per Sylvion fu altrettanto facile. Finché non
inciampò.
Il Lupo delle Lande si insinuò tra le gambe di un
forgiato, strusciò contro quelle di un cittadino fermo ai margini della piazza.
Sentì le urla di paura, l’intimazione del capitano della nave volante, percepì
l’odore acre del terreno troppo vicino alle zampe, sentì il pelo rizzarsi in
reazione al potere mistico sprigionato. Voltò appena la testa, nella sua corsa,
per cogliere con la coda dell’occhio la situazione. Fosse stata in forma umana,
Anat si sarebbe ritrovata seduta in terra. Ma non lo era e l’istinto fece il
suo dovere: accelerò il passo.
Un’enorme onda di pietra, che si frangeva contro i
palazzi abbattendoli o sbrecciandoli aveva imboccato vicolo del picchio dietro
di lei. Vicino a lei. Troppo vicino.
Corri!! Si intimò e se c’era una cosa che sapeva fare
dannatamente bene era correre. Specialmente Quando si trattava di correre per
la propria salvezza o – come era un tempo invece – per la propria battaglia,
Anat si lasciava dietro chiunque. Sempre avanti e tutti gli altri dietro. E, in
quel frangente, era bene che nessuno riuscisse a tenere il passo. Il Lupo
riportò il muso in avanti, spremette ogni singola goccia di energia dai propri
muscoli e acquisì impensabilmente una maggior velocità, arrivando ad anticipare
di una buona decina di metri l’onda, sulla cui cima aveva colto i tre amici in
equilibrio.
In equilibrio e perfetti bersagli per la nave che
campeggiava dietro di loro.
Poi fu un altro pensiero a occupare tutta la sua
mente.
Volo del Picchio.
Senza vie di uscita.
Perché da lì, scendevano solo gli uccelli in volo.
O uomini in vena di farla finita.
O lupi lanciati in una corsa folle per fuggire da
un’onda di pietra.
La reazione fu immediata, istintiva, l’animale prese
il sopravvento e puntò i piedi. Era una questione di sopravvivenza e tra i due
mali, l’onda di quattro metri che le avanzava alle spalle era certamente quello
minore.
Le prime scariche elettriche folgorarono il selciato
poco dietro dell’animale.
Sempre un male minore.
Sopravvivere. Non sai cosa voglia dire davvero finché
non ti trovi faccia a faccia con un micio distorto… o con un volo di qualche
centinaio di metri senza ali.
E, fino a prova contraria, i lupi sono carenti in
fatto di ali.
Agli occhi di un ipotetico spettatore il lupo a un
tratto puntò tutte e quattro le zampe, slittando, portando di lato il muso e –
con la forza d’inerzia di quella folle corsa – girarsi nello slittare sul
selciato di pietra levigata.
Ricominciò a correre, lottando contro la mancanza di
attrito della pietra, contro la forza che, ora in retro, lo spingeva verso il
baratro.
Fece presa.
E andò incontro e su per l’onda, spiccando un balzo
poderoso sulla fine per superare la parete verticale che gli veniva incontro,
vedendo l’ombra incombente della nave farsi avanti minacciosa e i tre amici in
pericolo.
Balzò lupo e atterrò sulla cresta dell’onda come
stirpe mannara, un piede e un ginocchio ai lati della testa del changeling.
Sylvion inciampò e nonostante Fender si fosse chinato
verso di lui, mancarono entrambi la presa. Sylvion sulle sue lame, Fender su di
lui.
O forse no, si disse il changeling mentre il mento
trovava un duro contatto con la cresta dell’onda di pietra. Qualcosa lo
agguantò sulla cintura tirandolo su, impedendogli di cadere rovinosamente
indietro, spazzato via dalla stessa onda che gli stava procurando la salvezza.
Accanto a lui Lorian aveva lasciato andare via via la
presa sul controllo degli elementi, lasciando che l’onda finisse la sua corsa a
metà del viale, specialmente quando con la coda dell’occhio si era accorto che
Sylvion stava per cadere dal lato sbagliato, ovvero verso la nave. Lo prese
appena in tempo per la cintura, mancato bellamente da Fender, tirandolo con
tutta la forza verso terra e rimase basito nel veder comparire, per poi sparire
nuovamente, la morfica nella sua più terribile forma.
L’onda arresto lenta la sua corsa e Lorian, nonostante
la stanchezza, aiutò Sylvion a sedersi.
«Cazzo! Maledetta bastardaaa!!» Urlò il changeling,
sputando sangue dalla lieve ferita che si era causato alla bocca. Cadere da
cinquanta metri di altezza per ferirsi in modo così idiota poi…
Fender guardò dal changeling che, ancora nella forma
di elfo che prediligeva, si guardava contrariato le mani vuote e inveiva contro
la donna a Lorian che fissava meditabondo i forgiati e poi le navi.
«Ti ha rubato il giocattolo?» Chiese serafico Fender,
prevedendo una bella litigata tra i due.
«BRUTTA STRONZAA! ME LA PAGHI!»
Lorian scosse la testa. Poteva capire la contrarietà,
ma l’uso che ne stava facendo Anat, almeno, era utile alla loro fuga. Tanto,
ormai, per come erano presi, peggio di così non poteva andare. Crollò a sedere,
sfinito e sfibrato. Sapeva di non aver tempo per riprendersi, ma non poteva far
altro che tirare il fiato. Incapace di reagire si lasciò scivolare lungo il
dolce declivio dell’onda ormai cristallizzata e dopo uno sguardo complice gli
altri due lo seguirono. Dopotutto, dall’altro lato sarebbero caduti giù a picco
e molto probabilmente oltre il molo del Volo del Picchio.
Guardando con occhi appannati dalla stanchezza Lorian
si rese conto che i forgiati che li avevano accerchiati stavano in realtà
muovendosi contro le navi della guardia cittadina che, distaccate
dall’ammiraglia proprio di fronte a loro e su cui imperversava una battaglia
cruenta, procedevano verso di loro rallentate da corde, catene e oggetti che i
forgiati domestici del quartiere Cannith avevano recuperato chissà dove e che
avevano lanciato contro le navi, talvolta agganciandole, per rallentarle.
Stavano dicendo qualcosa, ma le urla a bordo della
nave che stava lentamente precipitando davanti ai loro occhi ne coprì le voci
metalliche.
Anat aveva reagito d’istinto. Atterrata sulla cresta
dell’onda di pietra aveva evitato per un soffio Sylvion, ma non le sue lame.
Cadendo, il changeling aveva perso la presa e queste stavano disegnando un arco
perfetto nel vuoto destinate alla piazza e all’inutilità.
Lei, in quella forma, aveva unghie terribile e canini
affilati, ma due spade erano pur sempre meglio, specie se affilate come quelle
di Sylvion. Consapevole di quello che lui avrebbe vissuto come affronto, Anat
attese l’ultimo momento e spiccò un salto lungo, afferrando le spade al volo e
atterrando sulla prua della nave da guerra, rannicchiata per compensare
l’impatto.
Lo stupore dilagò tra i marinai e i soldati, quindi la
morfica si alzò in piedi, in tutta la sua misera altezza e sorrise crudele, un
sorriso che sul muso ferino risultò un ghigno mostruoso.
«E ora… giochiamo al macellaio e i porcellini.»
E il gioco ebbe inizio. Subito dopo che il cannoniere
di prua, che si era visto sorvolare da quella… bestia, ebbe sparato un colpo
nella sua direzione.
Mancandola.
«Oink. Oink.» Disse truce la donna, affondando le lame
nella gola e nel petto dell’uomo, imprigionato nel suo sedile semovente.
Grazie alla muscolatura poderosa spiccò alti balzi che
le consentivano di saltare un uomo, ponendosi alle sue spalle, uccidendo chi
stava attivando il bastone elettrico prima di poterlo usare o deviandolo giusto
in tempo per colpire qualche altro soldato della marina aerea di Sharn.
Si lanciarono in molti su di lei, la maggior parte
finì per trovarsi le braccia o le gambe mozzate mentre la morfica continuava a
muoversi quasi stesse danzando. Una danza macabra che a ogni passo, volteggio o
piroetta la vestiva del sangue delle sue vittime.
Dall’alto della torretta di comando gli ufficiali si
asserragliarono e spararono a tradimento dardi e folgori nel mucchio, mai certi
di aver colpito il bersaglio.
Anat arrivò alla porta della torretta, dopo aver
mozzato le braccia all’ultimo soldato che lì aveva cercato un rifugio che non
era arrivato. Gli ufficiali, per la paura, non avevano aperto la porta.
Si mise tra i denti una delle lame di Sylvion, bevendone
avida il sangue che da essa colava, e raccolse il fucile a vapore, uno dei
nuovi ritrovati della tecnica militare Deneith che stava diffondendosi a
macchia d’olio in tutto il continente. Controllò che fosse carico. Puntò contro
la serratura e sparò.
Anat emerse dalle volute del vapore come un fantasma,
apparendo agli occhi degli umani asserragliati dietro alla porta come una rossa
divinità di morte mandata dal malefico Drago Khiber per condurli al suo regno
sotterraneo.
Lasciando cadere il fucile ormai inservibile e
togliendosi di bocca la lama entrò, guardandosi attorno. Il capitano, il primo
ufficiale, l’ufficiale di rotta, il timoniere. Tutti lì. Tutti spaventati.
Inetti, fu la dura sentenza.

«Oink. Oink.» Sussurrò ghignando la morfica. E finì di
giocare al macellaio.
Erano alla base dell’onda cercando di risollevare
Lorian in piedi quando videro la nave schiantarsi a terra. La chiglia tenne
all’impatto, scheggiandosi, sulla prua Anat campeggiava come una foriera polena
di morte, ricoperta di sangue, attese l’impatto per spiccare un balzo e
anticipare di poco il punto di arresto della nave ormai senza più guida e si
avvicinò a passo solenne e misurati ai tre amici, puntando direttamente
Sylvion.
Il changeling sanguinava dal mento che aveva battuto
in terra nella caduta e digrignava i denti per la furia, aveva perso il
controllo vedendo le sue lame grondanti sangue abbeverare la morfica in stirpe
mannara e quando le gli fu davanti e gliele rese fu fulmineo a incrociarle alla
sua gola, tagliando raso il pelo sulle spalle e fermandole quando le sentì
entrare in contatto con la carne.
«La prossima volta che osi anche solo guardare le mie
spade… te le ritrovi piantate nello stomaco.»
Sfrontata lei rispose: «Fino a prova contraria il mio
stomaco è molto più in basso di così.»
Sylvion perse del tutto la concentrazione, tornando
nella sua normale forma. Digrignò i denti e non staccò di netto la testa della
morfica solo perché Lorian gli mise una mano sulla spalla, stringendo forte e
riportandolo a questioni più pressanti.
O, almeno, così gli piacque pensare. Perché Anat non
si era mossa, si era limitata a fissarlo intensamente, senza paura, senza tema
di una sorte che il suo sangue Thuranni reclamava. Perché in quel frangente di
caos, appena prima che Lorian lo fermasse, lei aveva sussurrato una sola
parola: «Scusa.»
Era stato utile, lo sapeva. Non erano andate perdute
nella caduta, lo sapeva. Ma erano le sue lame. La sua eredità. E nessuno doveva
toccarle.
Nessuno.
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