STORIA - Tifo da stadio, oggi come allora
“Guai se perdessero:
vedresti tutta la città mesta e smarrita come dopo la sconfitta dei consoli
sulla polvere di Canne.”
Ecco cosa scriveva Giovenale a proposito di una delle
quattro scuderie che gareggiavano al Circo Massimo, quella dei Verdi.
C’è da dire che talvolta, a vedere certe scene per TV sugli
scontri tra tifoserie, quasi vien da pensare che duemila anni sembrano sia
passati per niente, poi però si guarda meglio e un pochino ci si rincuora. Se
al pestaggio “dai e prendi” sulle curve degli stadi si accompagnano i tanto
deplorati (a ragione) striscioni razzisti e quelli di incitamento dei beniamini
della squadra, duemila anni fa le cose potevano essere anche un po’ più
estreme. Non solo dal punto di vista di tifoseria, ma anche di repressione
degli animi più accesi: se oggi i poliziotti in servizio negli stadi sono in
tenuta antisommossa e più di qualche bastonata con i manganelli non danno, all’epoca
di Roma Imperiale vigiles e pretoriani non andavano troppo per il sottile,
specialmente se l’imperatore voleva riposare e la folla festante e urlante non lo
concedeva. Per chi non lo sapesse, il palazzo imperiale sul Palatino è proprio
poco sopra il Circo Massimo e la cosa poteva scatenare qualche scontento nel
governante di turno con una rappresaglia degna della loro boria. Per esempio,
Caligola fece chiudere i cancelli del Circo e bastonare tutti, Eliogabalo fu
invece ancora più crudele: fece liberare tra la folla dei serpenti velenosi
sicché chi non morì per i morsi, rischiò (e in molti purtroppo lo fecero) di perire
calpestato dalla folla impazzita nel fuggi fuggi generale.

A Roma esistevano quattro scuderie, due principali e due
minori, e il Circo Massimo, che poteva
contenere fino a centocinquantamila
spettatori, si colorava dei loro quattro colori in occasione delle gare. Il
tifo era così fazioso e le scorrettezze (per chi poteva permettersele) erano
all’ordine del giorno; si deve pensare però che ciò che si combinavano l’un l’altro
erano cose che in confronto i contradaioli di Siena sembrano dei semplici
discoli combinaguai. Il che è tutto dire.
Basti pensare che imperatori come Caligola, Commodo ed
Eliogabalo erano tifosi così sfegatati da non porsi il problema a eliminare
cavalli e aurighi delle squadre avversarie, per non parlare dei tifosi che
avevano osato fischiare i loro beniamini. Giusto per fare un esempio.
Il tifo era così sfegatato che i nostri odierni striscioni
risultano all’acqua di rosa: non era infrequente che sui muri venissero
invocati gli dei o i demoni affinché facessero capitare di tutto e di più agli
aurighi avversari o ai cavalli, si legge su una tavoletta: «Io t’invoco, o
demone, chiunque tu sia, e ti chiedo di tormentare i cavalli dei Verdi e dei
Bianchi e di ucciderli e di far morire in uno scontro gli aurighi Clarus,
Felix, Romulus e Romanus e che in loro non resti più un alito di vita.»
Non migliorarono con l’evangelizzazione cristiana, dal
momento che il demone venne sostituito dai “santi angeli” e gli auspici
rimasero invece gli stessi, ossia che l’auriga avversario finisca “distrutto,
ucciso, fatto schiattare, spappolato, trascinato in fondo alla pista”. Davanti
alle corse di quadriga anche la carità cristiana ha dovuto chinare il capo…
Da dove nasce la passione per le corse delle quadrighe? In
realtà da molto prima dell’epoca imperiale, nella Roma arcaica le corse dei
carri erano il principale divertimento dei romani – e lo rimasero nei secoli
successivi – nate inizialmente come passatempo dei nobili patrizi e
trasformatesi poi in veri e propri business che si concentrarono via via in un
numero sempre più esiguo di squadre fino a rimanere in solo quattro scuderie
partecipanti: verdi, azzurri, bianchi e rossi.
Con il passare del tempo ai nobili si sostituirono alla
guida “piloti” professionisti fino a che le squadre si organizzarono in una
struttura che un po’ ci ricorda i team di F1; oltre alla formazione degli
aurighi, occupavano un numero impressionante di personale: dagli stallieri agli
allenatori, dai veterinari ai massaggiatori, dai medici agli incaricati all’azionamento
del meccanismo di partenza, e poi sparsores
che bagnavano con l’acqua la pista, e hortatores
che affiancavano gli aurighi per informarli dell’andamento della gara. In fin
dei conti all’epoca mica esistevano le radio…
Altra grandiosa analogia che oltrepassa il tempo mi fa
associare gli aurighi ai calciatori: le squadre se li contendevano ed esisteva
un vero e proprio mercato in cui si cedevano i “piloti” al miglior prezzo, per
non parlare delle paghe che queste figure ottenevano: si consideri solo che lo
sportivo più ricco del mondo di sempre è Gaius Appuleius Diocles, altro che
Tiger Woods, come si legge in questo
articolo de Il Sole 24 Ore!
[1] Auriga:
era colui che governava il tiro di cavalli appaiati guidando così i carri
veloci, in cui stava da solo e in piedi comunemente noti come bighe o
quadrighe.
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