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RACCONTO: Dvergamothr - cap .3



La luce lunare squarciò le nubi. Posò la sua benedizione argentea sulle cime degli alberi e sulle creste dei colli. I tonfi sordi che Mantya udì provenivano da non molto distante
Contro il buio, in un lucore perlaceo sfumato di blu onirico dalla
magia della voce della notte, voce che si trasformava in melodia ritmata dal suono perpetuo di percussioni percettibili al limitare ultimo
dell’udito, nelle miriadi di stelle schizzi di
prezioso sangue iridescente strappato dal tessuto del firmamento che si riflettevano sulla superficie scintillante di un fiume stillante ricordi andati di splendidi fasti e obnubilanti pene, vide eretto il corpo di
Ivar.
L’ascia danzava tra le sue mani come un’amante focosa e appassionata, ansimando e gemendo nell’attraversare invisibili barriere di carne e pulsanti caligini di spettri dormienti.
L’arma veniva posseduta con foga squarciante in sibilanti empiti e rabbioso rombo di tuoni ruggenti.
Tendini serpentini e muscoli vulcanici sotto la pelle rovente danzavano magnetici e selvaggi, richiamo primordiale di potente furore animalesco. Oro spargevasi da chioma e barba, aureola di fiamme.
“Ivar!” chiamò la fanciulla avvicinatasi.
Occhi la perforarono
penetrarono
sbranarono.
Fuochi di ghiaccio azzurro come stelle freddi incandescenti nel buio luminosi come la voce di un
Dio. 1

Ek em thrymr ok hitir 2

Mantya si svegliò di soprassalto in un bagno di sudore. il respiro affannato, si passò una mano davanti agli occhi cercando di estraniare dalla mente quanto aveva visto.
Un sogno, un semplice ed innocuo sogno, pensò
Inspirò profondamente e si tranquillizzò quanto possibile. realizzò solo allora di trovarsi nella propria camera. Le lenzuola stropicciate le avvolgevano le gambe, e notò di avere ancora indosso le scarpe. Ricordava distintamente di essere uscita di casa due volte quella notte. L’ultima cosa che rammentava prima di addormentarsi era il canto di Ivar.
Il Nano che le era apparso in sogno.
Si alzò dal letto e si sciacquò vigorosamente il viso con l’acqua della tinozza. Rinunciò poi a districare la chioma color del grano con la spazzola e la raccolse in una coda con un laccio.
Andò verso la stanza principale, dove un piacevole tepore si alzava dalle braci calde nel focolare. I bambini, ancora con le camicie da notte, non appena la videro le corsero incontro dandole baci sulle guance.
Le piacevano le attenzioni dei bambini. Le faceva sperare di averne di propri un giorno, senza farla piombare nello sconforto per il passato.
Sentì vociare dall’esterno della casa, così si affacciò ad una finestra e vide Angus che parlava ad Ivar.
“…non voglio approfittare oltre della vostra generosa ospitalità, mastro Angus”
“Averti fatto dormire nel pagliaio sarebbe generoso? Fammi il piacere! Resta un altro giorno, così potremmo darti provviste a sufficienza”
“Ve ne prego, avete fatto già abbastanza” ribatté il Nano. Detto questo caricò in spalla il grosso zaino con l’armatura ancora legata.
Allungò una mano verso il mandriano per salutarlo, ma udì la voce di Mantya: “Buongiorno Ivar!
Ivar sorrise radiosamente alla donna: “Buongiorno a voi fanciulla!”
“Te ne vai così presto senza nemmeno salutarmi?”
“Sì, stavo mettendomi in cammino. vi ringrazio della compagnia e Vi auguro ogni bene. Addio Mantya”.
Ma invece di salutarlo, Mantya lo richiamò vicino alla finestra dov’era affacciata. Quando fu abbastanza vicino, gli sussurrò: “Non partire così presto. Questa povera gente ha sofferto molto ieri, hanno perduto così tante persone care. Sai perché Angus ha insistito tanto?.”
“Non capisco dove vogliate arrivare”
“In un solo colpo molte braccia sono state sottratte al lavoro nei campi. Hanno bisogno di affrettarsi, altrimenti la terra non sarà pronta per la semina, e così poche persone non riusciranno a terminare il lavoro in tempo” Gli occhi verdi di Mantya si incupirono. La sua espressione fu una stilettata al petto del Nano.
“Questa gente rischia di morire di fame. Ti prego, resta. Aiutali.”
Ivar non riuscì a trattenere un fremito. Non era un agricoltore, né un pastore, non aveva idea di come potersi rendere utile, ma comprese il motivo dell’insistenza di Angus. L’uomo aveva mantenuto una grande dignità, seppure fosse un momento difficile e di bisogno.
Il Nano annuì con la testa. “Resterò. Li aiuterò” disse sotto voce, quindi si voltò verso Angus ripetendo che sarebbe rimasto ancora un po’ di tempo.



Il sole era allo zenit, e il sudore imperlava le fronti degli uomini al lavoro nei campi. Mantya si aggirava tra loro con un fiasco di birra leggera e un cesto di formaggi, ristorandoli con le vivande e regalando a tutti un sorriso.
Le presenza della donna risollevò il morale di quelle persone sfigurate dalla fatica. Alta e slanciata, lo sguardo fiero ed al tempo stesso compassionevole, l’andatura sicura la facevano brillare come un diamante nel fango. Seppure il suo vestiario fosse semplice, una camiciola di cotone leggero su una gonna di panno con un grembiule, camminava tra gli uomini come fosse stata una principessa tra sudditi reverenti.
La nobiltà del suo sangue trasudava da ogni poro. Persone come Angus erano abituate a quel genere di aristocratici spocchiosi e arroganti il cui pensiero era riscuotere esose quantità di beni e spassarsela con le contadine. Mantya invece era diversa.
Schietta e diretta nei modi, non rivestiva di melliflue ipocrisie le proprie parole, né possedeva atteggiamenti di superiorità. Chiunque conoscesse Angus e Berta conosceva di conseguenza Mantya e la apprezzava.
Inoltre, la bionda fanciulla era bella oltre ogni dire. In quella contrada non era mai stata vista una donna così bella. Sembrava fosse piovuta da cielo. E chiunque abitasse in quel luogo e la vedesse arrivare la paragonava ad un messaggero celeste.
Mantya giunse accanto ad Angus, che accettò di buon grado la birra e posò a terra la vanga.
“Grazie ragazza mia”
“Di nulla. Dove si trova Ivar?”
Angus indicò un punto nei campi. Mantya distinse una figura curva sotto un enorme peso, così si diresse in quella direzione. Mano a mano che si avvicinava, poté vedere che il Nano teneva sulle spalle il giogo dei buoi con il pesante aratro attaccato. Egli avanzava lentamente, ringhiando e sudando copiosamente, ma i solchi lasciati dalle lame dell’attrezzo erano profondi, sinonimo un lavoro fatto con criterio.
“Sei davvero efficiente, come cavallo da tiro!” esclamò Mantya.
Ivar si voltò di scatto. Salutò con una mano la donna trainando l’aratro, ma mise un piede in fallo ed inciampò rovinosamente. Mantya gli corse incontro ridendo e lo aiutò a risollevarsi. Il povero Nano era completamente impiastricciato di fango da capo a piedi. Entrambi risero sguaiatamente, gaudenti nel sole primaverile. Mantya diede il formaggio ad Ivar, che mangiò con gusto, e gli porse la birra. Il Nano annusò gli effluvi provenienti dall’otre assumendo un’aria dubbiosa. Si portò quindi il recipiente alle labbra e bevve generose sorsate.
Non riuscì a celare l’espressione di disgusto.
“Non ti piace la birra?” chiese Mantya, con una punta di fastidio nella voce.
“Oh no mia signora, perdonate la mia scortesia. La bevanda è di mio gradimento” ed in tutta risposta Ivar vuotò l’otre versandosi l’intero contenuto in gola. Una sfumatura verdognola attraversò le gote del guerriero, che esplose in un sonoro rutto. Un paio di cornacchie volarono via spaventate, rumoreggiando il loro disappunto.
Mantya non seppe più resistere al riso, fosse per l’espressione esageratamente forbita di Ivar o per ciò che ne era conseguito.
Quando però il Nano si apprestò a rimettersi al lavoro vide con rammarico che la lama dell’aratro, rimasta incagliata su una roccia sepolta dalla terra smossa, si era spezzata.

L’officina del fabbro era composta da due edifici, la casa dove l’artigiano viveva ed il laboratorio vero e proprio, da cui proveniva il suono ritmico del lavoro ai metalli. Fumo nero si levava dal camino, tenebrosa e pigra nube. Diversi braccianti e contadini, Angus compreso, erano accorsi per trasportare il pesante aratro e farlo riparare. Impiegarono molto tempo, poiché non vi erano mezzi di trasporto disponibili e soltanto sollevandolo tutti insieme riuscirono nell’impresa.Il gruppo entrò nell’officina. Il fabbro era all’opera con l’aiuto di un apprendista. Il luogo era cupo, l’aria pregna di fuliggine e fumo, la tenue luminescenza dei carboni ardenti a malapena scacciava le tenebre dagli angoli. L’artigiano afferrò con le tenaglie ciò a cui stava lavorando e lo infilò tra le braci. L’apprendista quindi si dedicò a forzare la combustione con il mantice. I respiri profondi del polmone di cuoio, il sibilo del carbone che avvampava, il chiarore pulsante da esso proveniente diedero a Mantya l’impressione di essere in un luogo fiabesco, nell’antro un’entità elementale del fuoco dormiente.
“Non trovi che questo posto sia quasi magico?” disse osservando Angus che discuteva con il fabbro sulla riparazione dell’attrezzo. Non ricevette risposta, seppure non si fosse rivolta ad uno specifico interlocutore.
“Si racconta che i Nani siano eccellenti artigiani. È così, Ivar? È vero quanto raccontano le storie?” aggiunse la donna.
Silenzio.
“Ivar, mi hai ascoltata?” chiese voltandosi.
Gli occhi di Ivar erano spalancati al punto che sarebbero potuti fuoriuscire dalle orbite. La sclera era chiaramente visibile, le pupille dilatate al punto da far scomparire le iridi.
Ivar era scosso da tremori, il volto del colore del latte cagliato, e i capelli biondi gli aderivano al capo per il sudore che copioso stillava.
“Ivar…?” lo chiamò la fanciulla. Il Nano crollò pesantemente a terra, scosso da violenti spasmi. Schiuma sgorgò dalle labbra, presto divenuta vermiglia: lingua e interno delle guance erano stati morsi a sangue.
Molti contadini corsero via urlando spaventati. Altri afferrarono gli attrezzi della forgia e tentarono di avventarsi sul Nano col chiaro intento di farlo a pezzi, se solo Mantya non si fosse frapposta traessi e la possibile vittima.
“Fermatevi immediatamente! Siete impazziti?”
“Il Nano è abitato dai Demoni! Uccidiamolo!”
“Dev’essere bruciato! Buttiamolo nella forgia!”
“Ammazziamolo!”
Improvvisamente un pugno calloso andò a collidere contro la mascella dell’ultimo contadino, mandandolo lungo disteso. Angus si massaggiò le nocche guardando gli astanti in cagnesco
“Idioti! Osate alzare le mani verso il mio ospite?” Sbraitò questi, “Nessuno si permetta di alzare le mani!
“La sua è una stregoneria pagana! L’ho detto, bisogna bruciarlo”.
Un altro uomo finì a terra, ed i rimanenti si arrestarono, titubanti sul da farsi. Da una parte erano intimoriti dal Nano schiumante e scosso dalle convulsioni, dall’altra non avevano alcuni intenzione di scontrarsi con Angus o Mantya.
La fanciulla fu determinante nella scelta, chiedendo loro di aiutare Ivar. Gli venne messa tra i denti una cintura, onde evitare che si staccasse del tutto la lingua con un morso, Angus gli trattenne le spalle ed il resto degli uomini ne tennero stretti gli arti, ma la violenza delle convulsioni del Nano era tale da richiedere un notevole sforzo da parte di tutti.
Occorsero alcuni minuti, ma infine gli spasmi cessarono, ed Ivar rimase incosciente, il respiro un rantolo. Gli uomini dunque lo sollevarono a fatica.
“Quanto accidenti pesa? Sembra un macigno”. Disse un contadino.
“C’è il carro del fabbro sul retro della fucina,” aggiunse Angus, “possiamo usarlo per portarlo a casa mia”. Trasportare il Nano fuori dall’edificio fu difficoltoso, la sua mole imponente in quel frangente fu un impedimento. Come da suggerimento di Angus, egli venne depositato sul carro, e, mentre il cavallo veniva aggiogato al mezzo, Mantya sedette accanto ad Ivar, accarezzandogli la fronte. Al tatto era gelida.
“Presto! Ivar ha bisogno di cure!” urlò la donna. Angus dunque afferrò le redini, si mise in cassetto e con un grido incitò il cavallo. La velocità scompigliò la lunga chioma di Mantya, ma ella non se ne curò, l’unico pensiero era raggiungere rapidamente il casolare.
Impiegarono circa mezz’ora ad arrivare alla dimora dell’alto uomo attraversando i campi a velocità folle, ma a Mantya parve un’eternità, poiché il Nano rantolava parole senza senso in un febbricitante delirio

Miskunn, engi miskunn…Dauthi…broedr, miskunn... 3

Ivar le prese una mano, stringendola con tanta forza da farle male, e Mantya udì in comune parlato

Ametista…pietà…

Fu un’ulteriore sforzo inumano trascinare il Nano in casa, e altrettanto per stenderlo sul tavolo di legno. Angus ordinò a Berta di scaldare l’acqua, Mantya corse a prendere tutte le coperte che fosse stata in grado di trasportare. I due bambini erano confusi da tutto quel vociare agitato, e quando videro Ivar in stato di delirio scapparono nella loro stanza.
Mantya adagiò delicatamente quattro coperte di lana pesante sul torso di Ivar. Quando l’acqua fu sufficientemente calda preparò un infuso d’erbe il cui odore pungente invase la casa, e usando un mestolo costrinse il Nano a berlo a piccoli sorsi. Non si curò se questo processo gli avesse scottato le labbra, la lingua o la gola, il suo interesse primario era guarirlo da quell’improvviso attacco. Più volte gli versò in gola il decotto fumante, seguita con apprensione dai due coniugi.
La bionda fanciulla non si rese conto dello scorrere del tempo. Le ombre si allungarono all’esterno, giunse il crepuscolo quando finalmente Ivar assunse un ritmo di respirazione più stabile e riprese un poco di colore, seppure continuasse a languire in uno stato di incoscienza. Mantya allora rimosse le coperte, vedendo quanto Ivar fosse ancora fradicio di sudore e inzaccherato di fango. Gli tolse il cinturone a doppia fibbia e gli stivali, ed iniziò a slacciargli le stringhe della tunica per poi poterla lavare.
La imbarazzò parecchio il farlo, dal momento che egli era un perfetto sconosciuto. E se si fosse svegliato? Cos’avrebbe pensato nel vederla spogliarlo? pensò. Quando però vide quanto la tunica occultava

Mantya inorridì. Non le venne in mente una definizione possibile per quel…no, non poteva essere considerato tale.
Il torace e le spalle del Nano erano notevolmente più ampi e sviluppati di quelli di un essere umano, così come una quercia è più possente di un giunco, e l’addome era segnato e indurito come cuoio conciato. Gli occhi della donna avrebbero potuto giudicare interessante il tutto, se non fosse stato per la terrificante devastazione a cui stavano assistendo.
Una ragnatela di scarificazioni solcava ovunque la pelle del Nano. Tagli e squarci spaventosi si accavallavano a lacerazioni orrende a creare una tetra e macabra mappa di dolore. Mantya osservò scossa come le cicatrici si avvicendassero le une sulle altre, accavallandosi… sovrapponendosi
Dall’anca desta alle costole fluttuanti sinistre la carne martoriata doveva esser stata dilaniata metodicamente così da aprire il ventre di Ivar ed estrarne il cruento contenuto, poiché evidenti erano i segni di strumenti ausiliari atti a dilatare all’inverosimile la ferita. La donna vide come muscoli e pelle erano stati ricuciti e sanati ad arte, solo per poi sadicamente devastare con nuovi supplizi quanto era stato ricostruito quasi con amore perverso.
Il petto del Nano le ferì gli occhi. oltre alla presenza costante di deformi cicatrici, intorno allo sterno sporgevano marcate linee simmetriche. Passandovi la mano, la donna percepì in prossimità di questi ultimi sfregi delle rientranze nel torace: qualche pazzo aveva provveduto con cura maniacale a spaccare e staccare dallo sterno ogni costola. Seguendo quindi gli stessi segni comprese che il torace doveva esser stato…aperto…dischiuso
Crateri oscuri catturarono l’attenzione di Mantya, dove con ferri e chiodi incandescenti il Nano era stato perforato ed infilzato. Dalla profondità di alcuni di essi, la donna non faticò ad immaginare di trovarne degli altri in precisa corrispondenza sulla schiena. Come una deviata collana una doppia linea parallela di…buchi…delineava le clavicole.
Altri chiodi? Spilloni?...Ganci?...si chiese Mantya. In altri luoghi altrettanto straziati giacevano i doppi fori, percorrendo la lunghezza delle braccia fino ai polsi. Un capezzolo era ridotto ad una misera macchia nera sul petto, bruciato, carbonizzato. L’altro mancava totalmente. Intere chiazze di pelle apparivano più chiare e delicate, come se non avessero mai ricevuto il tocco del sole. Ritenendo fosse uno sfogo di qualche malattia, Mantya le toccò con delicatezza, sentendo quanto al tatto siffatte aree fossero più delicate e sottili, quasi fossero tese come la pelle di un tamburo. Lo hanno…scuoiato?...
Sulla spalla sinistra, troneggiante e beffardo su quella devastazione, spiccava un segno. Un lembo circolare, del diametro di qualche centimetro, era stato diligentemente evitato dal tormento. La carne annerita dal fuoco recava il marchio di un’incudine spaccata in due parti sormontata da tre anelli di catena. Mantya non resistette all’impulso che le mosse la compassione e posò una mano sul marchio, come a volerlo nascondere. Sentì, sotto la cute, qualcosa di rigido. Ne seguì il contorno con le dita, esplorando nei dettagli quanto la vista le nascondeva.

No, non è un semplice marchio. Gli hanno piantato un disco di metallo sotto la pelle.
Quale perverso e crudele individuo può infliggere tanto dolore ad un’unica creatura?
Non può essere, non posso crederci. Come può Ivar…essere vivo?

Molto interrogativi baluginarono come lampi nella mente della fanciulla, allucinanti e oscuri. Ma non ebbe modo di trovare risposta, poiché il Nano aprì gli occhi.
Ivar la guardò con occhi di ghiaccio. La fanciulla si ritrasse di scatto, come se avesse tra le mani una brace incandescente. Il guerriero si coprì con le braccia, occultando il petto martoriato, e quando si accorse che il marchio sulla spalla era visibile scoccò un’altra occhiata omicida alla donna.
“Ti prego perdonami Ivar, non avevo intenzione di…”
“Tacete” disse il Nano con voce cavernosa
“Ma io non ho fatto niente di male, volevo solo aiutarti”
“State ZITTA!” ringhiò Ivar. La bionda fanciulla tacque. L’Ivar posato ed educato che aveva cantato per lei la notte precedente ora le pareva un bestia, lo stesso essere assassino che aveva ucciso e macellato degli uomini in arme.
Si alzò, infilò gli stivali e, con le coperte intorno alle spalle si incamminò fuori dalla stanza. Un istante prima di uscire disse: “Non provateci più”
Mantya rimase immobile. Era in totale subbuglio. Nonostante temesse per la propria incolumità seguì il guerriero barbuto fuori dalla porta.
Lo trovò seduto non molto distante dal casolare.
“Non avevo intenzione di violare alcunché”, gli disse, “e mi dispiace averti offeso. Ma il tuo comportamento non è giustificabile. Ripeto, desideravo aiutarti”
Non vi furono reazioni.
Ivar non era più lì. I suoi occhi fissavano un punto distante nella notte incombente, immobile come una statua. Mantya vide il pallore della pelle del Nano. Gli posò quindi una mano sulla spalla per riscuoterlo dall’apparente torpore, sentì che il guerriero tremava. E lacrime ne solcavano le gote andando a filtrare nella barba.
Mantya lesse nelle iridi di Ivar ansia, dubbio, incertezza.
Lesse…paura.


Il Nano era volato verso luoghi di terrore, in abissi di dolore e disperazione. E Mantya non riuscì a reprimere i brividi:

cosa può terrorizzare a tal punto un Nano?

Glossario

1:  Il seguente paragrafo è stato scritto utilizzando il Flusso di Coscienza di James Joyce. è stato l'unico strumento e stile che potesse rendere nel modo più reale e plausibile il susseguirsi senza criterio o schemi delle immagini in un sogno. Mi auguro che ai lettori non crei fastidi di qualche sorta
2: Io sono il Tuono e le Fiamme
3: Pietà, nessuna pietà...Morte...Fratelli, pietà...

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