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RACCONTI: La prova - cap. 2

Racconto di Nazareno Vianello

Il gruppo deviò dal sentiero principale per iniziare l’inseguimento.
La neve smise di cadere, silenziosamente come aveva cominciato. Gli alberi rallentavano la loro discesa a valle, ma ormai la sete di vendetta spingeva gli uomini a proseguire inarrestabili come la valanga travolge tutto ciò che gli si para davanti durante la sua incontrollabile discesa.
Poi un sibilo, seguito da un urlo. La freccia centrò la giuntura di una lorica tranciando il nervo, Cassios gridò spezzando il silenzio..
«Chi ti ha colpito? Da dove è arrivata quella? Svelti! Non restate lì impalati! Tersa, individualo! T’Challa, muoviti tra gli alberi! Dario, tieni gli altri uniti!» I mastini si misero in formazione difensiva, proteggendosi con gli scudi mentre i loro occhi cercavano d’individuare in quale pertugio si nascondesse quel barbaro.«Attenti! Eccolo!» La voce di Tersa spezzò la tensione come uno schiocco di frusta. «É lassù, sul ramo di quell’albero…» Ma la neve aumentava il riflesso della luce rifrangendolo su se stessa, gli occhi dei guerrieri erano stanchi di quel continuo biancore accecante.
Il fulcro dello scontro si spostò solo tra due avversari. Tersa riuscì a tenerlo sotto tiro…socchiuse l’occhio sinistro, mentre la cicatrice si tendeva piegò lievemente la bocca trattenendo il fiato. La corda dell’arco, tesa, tremava appena, trattenuta dalla forza del suo braccio. La freccia saettò con precisione assoluta in contemporanea con quella del suo avversario. I dardi quasi si sfiorarono incontrandosi a mezz’aria nell’intento di centrare i loro obiettivi.
La violens urlò quando la freccia le lacerò la carne della spalla destra. Guardò il suo avversario che avrebbe dovuto essere stato centrato in pieno dalla sua freccia, ma che in realtà aveva subito solo un piccolo taglio al braccio destro.
«Bastardo! Questa volta non mi sfuggi…» Si strappò con decisione la freccia e non avendo nulla da mordere non riuscì a trattenere il grido che ne seguì.
L’uomo, dall’alto, saltava di albero in albero più agile di una scimmia mentre T’Challa lo inseguiva rincorrendolo dal basso, seguito a pochi passi di distanza da Tersa che non smetteva di scagliare i suoi dardi.«Qualcosa non quadra… Sta girando in tondo…Tersa, vedi di centrarlo, maledizione!»
D’un tratto l’uomo cambiò direzione tornando indietro, aveva risparmiato le frecce ed ora T’Challa cominciava a capire il perché…ma era troppo tardi.«Noo! Su gli scudi!» Il violens gridò con tutto il fiato aveva in corpo: «Testudo!!»
Gli scudi si alzarono all’unisono, ma quell’uomo fu più veloce. Sei frecce dritte alle gole spalancarono le porte dell’Averno a sei nuove anime.«Andatevene! Prima che Diana elevi il suo arco…Tornate dalle vostre famiglie! Tornate a casa!» Per la prima volta l’uomo si era fermato su uno dei rami più alti e la sua voce aveva irrotto inaspettatamente nel mezzo dello scontro.
Non ebbe il tempo di schivare il dardo che centrò la sua spalla, inchiodandolo all’albero.
«Vai Cassios, tocca a te!»
Il violens prese la rincorsa saltando sullo scudo del numida, sfruttando il suo slancio, saltò più in alto possibile. Piantando i due coltelli nella corteccia, iniziò una rapida scalata aggrappandosi ai rami più alti.
L’uomo spezzò la freccia per liberarsi, ma una seconda lo bloccò ancora, facendogli digrignare i denti.
Cassios si aggrappò ancora, sollevandosi con tutte le sue forze: solo un ultimo grosso ramo lo separava dal suo avversario. Ce l’aveva fatta, ormai il suo avversario era inchiodato al tronco e Tersa si stava divertendo finendolo poco a poco.
Issatosi estrasse la spatha per godersi l’attimo in cui gli avrebbe staccato la sua testa dal quel maledetto collo. Fissò quel barbaro negli occhi per trovare in lui anche un solo briciolo di paura, ma l’uomo aveva un sorriso beffardo stampato in faccia.
«Che diamine hai da ridere, bastardo! Ora ti…»
Ma i bulbi oculari sembrarono uscirgli dalle orbite. Le sue ultime parole diventarono un gorgoglio, il corpo s’irrigidì come un blocco di ghiaccio, lo stomaco si contrasse in uno spasmo ed un fiotto di sangue uscì dalla sua bocca spalancata.
Cassios chinò la testa verso il basso, mentre il liquido scuro colava sul suo mento. Una mano gli usciva dal petto, reggendo il suo cuore tra le dita.
Il corpo del guerriero barcollò per pochi attimi prima di cadere come un sacco di farina, schiantandosi esanime sul terreno. «Cassios!» Valerio restò senza fiato vedendo il suo compagno inerte, la pozza di sangue sembrava creare un mantello scuro sotto di lui, ma i suoi occhi erano fissi su un buco nero e vuoto dove prima si trovava il suo cuore. Le costole bianche sporgevano all’esterno spezzate ed innaturali, mentre il suo viso era una pura maschera di terrore. Solo la possente voce di Galeno lo fece riscuotere da quella scena raccapricciante. «Guardate! Sono in due! Non era il barbaro quello che Tersa ha colpito! Ma allora, santi numi, chi diamine è?»

Gautigoth liberò l’uomo dalle frecce caricandoselo sulle spalle, saltando agilmente di albero in albero iniziò la sua fuga.
I violens iniziarono l’inseguimento. T’Challa, Ganimede e Tersa guidavano la folle corsa. D’un tratto la foresta finì, questo incrementò le speranze del gruppo il quale finalmente avrebbe potuto affrontare i suoi avversari a viso aperto.
Gautigoth prese lo slancio dall’ultimo ramo e con un balzo atterrò sulla neve fresca, piegando appena le ginocchia per poi riprendere rapido lungo il pendio.
«Erano quasi venti metri! Quello o è pazzo o è maledettamente fortunato!»
«Tersa, ora!»
La violens incoccò la freccia ancora una volta e finalmente il colpo andò a segno.
«Preso! E’ fatta!»
Ma l’uomo continuava a correre e la distanza tra lui e i suoi inseguitori, invece di diminuire, andava aumentando.
«Insisti! Buttalo giù!»
Altri due dardi saettarono conficcandosi sulla spalla e sul suo braccio sinistro, ma ciò nonostante, essi non riuscirono ad arrestare la sua andatura.
«É terribilmente veloce!» Ganimede stava iniziando ad ansimare, era abituato a combattere fino allo sfinimento, ma quel dannato barbaro sembrava instancabile e soprattutto sembrava avesse le ali di Mercurio ai piedi.
«Fermi!» Con un semplice comando Galeno fece arrestare l’intero gruppo…
«Si sta dirigendo nella grotta di destra: se lo inseguiamo adesso, faremo il suo gioco. Sono feriti entrambi, e dubito che abbiano di che curarsi là dentro. Dobbiamo riprendere fiato e riorganizzarci. In nome di Marte! Siamo i migliori combattenti di tutto l’Impero, non possiamo farci fottere da due miserabili fuggiaschi! Stiamo facendo il loro gioco, quei due conoscono questa zona come le loro tasche, noi no. Non sappiamo se quelle grotte portino da qualche parte o se siano vicoli ciechi, ma sappiamo che come sono ridotti non possono andare lontano. Quindi dovranno fermarsi!»
Alcuni proponevano di seguirli e finirli subito, altri invece suggerivano di fermarsi per riorganizzarsi, mangiare e aspettare la notte per coglierli di sorpresa. Fu messa ai voti.
«Bene, è deciso. Appena sorgerà la luna, ci muoveremo silenziosi e furtivi. Li coglieremo nel sonno e riporteremo le loro teste a Roma.»

«Dormi adesso, hai bisogno di riposare»
«…dobbiamo scappare…»
«Questo è un ordine!»
Le parole di Gautigoth, dure come il granito, non ammettevano repliche, i suoi occhi azzurri fissavano il compagno inchiodandone lo sguardo. Poi la sua voce ruvida parve mutare appena ed il tono divenne quello dell’amico di sempre…
«Sei ferito Eliogabalo, sai benissimo che cosa lascia in giro un uomo ferito…»
«…Tracce…» rispose l’explorator in tono di resa.
«Appunto. Da qui in poi ci penso io». Sul volto del germanico si allargò un ghigno di puro piacere, pregustandosi la battaglia imminente.
Il barbaro si strappò i dardi che quella violens gli aveva scagliato. Dovette ammettere che quei guerrieri erano tenaci, ma l’Impero doveva lasciarlo in pace. Da quando aveva fatto la sua scelta era sempre stato lontano dalla capitale e dai suoi intrighi. Non riusciva a spiegarsi perché da qualche tempo gli stavano dando la caccia. Le cose erano state chiarite, cosa diavolo volevano da lui? Non aveva la benché minima importanza, quelli erano i suoi territori. Chiunque avesse avuto la stoltezza di entrare sarebbe stato eliminato…come sempre.
Con movimenti quasi primordiali, gettò sulle spalle il mantello di pelliccia, legò i lunghi capelli con un laccio di cuoio e fissò le spathe alla cintola, per poi muoversi quasi come un felino, silenzioso e rapido nella notte.

T’Challa era nervoso. Stavano perdendo troppo tempo, ma non osava discutere gli ordini di Ganimede. Apollo stava portando il suo carro oltre l’orlo del mondo. I suoi pensieri furono interrotti dall’ordine del violens… «É l’ora. Muoviamoci.»
Venne smontato il campo e spento il fuoco con un calcio, in pochi attimi il gruppo era pronto. T’Challa in testa, seguito da Valerio, mentre Tersa nelle retrovie chiudeva le fila. Questa sarebbe stata l’ultima notte di caccia, finalmente domani avrebbero potuto riprendere la strada verso casa.
La notte era tacita e fredda, i violens si muovevano orientandosi con le stelle, senza l’aiuto delle fiaccole. Le luci li avrebbero trasformati in facili bersagli. Dovevano affidarsi completamente all’istinto e all’esperienza. Le lame erano coperte da stracci, per evitare anche il semplice riflesso. Calmi e silenziosi, acquattati nell’erba, sinuosi come una serpe, scivolavano lenti verso l’entrata della grotta.
Erano quasi giunti a destinazione, quando una leggera nebbia si sollevò dal terreno.
«Cosa sta succedendo?»
«Smettila di lamentarti e muoviamoci, abbiamo un compito da portare a termine.»
La nebbia si sollevò facendosi più fitta e la visibilità si ridusse ulteriormente. Il gruppo si portò in cerchio, coprendo ogni angolo morto.
Un rivolo di sudore scivolò lentamente sulla tempia…Marcus era talmente teso e concentrato, che anche un minimo movimento avrebbe fatto scattare il Mastino sepolto dentro di lui.
I violens si aspettavano un attacco da un momento all’altro, più per istinto che per un motivo vero e proprio, eppure non accadeva nulla. Nell’immoto lugubre silenzio che era sceso nella foresta, l’unico rumore che si percepiva era il respiro di un gruppo di uomini.

La nebbia si tinse di rosso. Marcus non ebbe neppure il tempo di urlare, uno squarcio si era aperto sul suo addome tranciandogli i muscoli addominali e salendo fino a lacerargli il collo. La sua mandibola si mosse, scattando inutilmente senza emettere un suono per poi stramazzare a terra esanime.
«State in guardia!»
«Dove accidenti è?»
«Non vedo niente!»
«VIOLENS! BESTIE! TESTUDO!»
All’ordine di Ganimede, gli scudi si mossero contemporaneamente: la più grande macchina da guerra si stava muovendo.
Con le spade saldamente in pugno sembravano formare un’istrice, nessun attacco dall’alto o dai lati avrebbe potuto coglierli di sorpresa, nessuno di questi…ma esso venne dal basso.
Il grido che ne seguì fu solo l’inizio: Flavius sentì un dolore lancinante provenire da sotto, urlò cercando istintivamente di voltarsi per colpire il suo avversario, ma le gambe smisero di reggere il suo peso, entrambi i tendini gli erano stati recisi in un sol colpo. Roteò su se stesso mentre due mani gli afferravano la testa, pensò al viso della sua donna per l’ultima volta, poi il suono di uno schiocco secco… era il rumore del suo collo che si spezzava.
La testudo si sciolse rapidamente come si era formata. Un turbine di lame colpiva con fredda precisione, le urla di Ganimede riordinarono le fila. Finalmente gli scudi paravano i tremendi fendenti del barbaro.«Ora basta! La tua ora è giunta, bastardo!»
Il cuore di Aurelio iniziò a pompare sangue sempre più velocemente, i muscoli e la mente del guerriero risposero all’antica ira di Marte.. Per Cassios… Infame!
Gli occhi del violens divennero rossi…Come una belva si gettò sul barbaro e le loro armi s’incrociarono.
Aurelio scatenò tutta la sua forza, ma il germanico aveva una resistenza fuori dal comune, parava i tremendi colpi del romano facendolo stancare, aspettando il momento propizio.
«Dovevate andarvene quando vi era stato detto… Ora è troppo tardi.»


I passi risuonarono sinistri per il lungo corridoio in penombra. Lo schiavo addetto all’accensione delle lucerne tremò e si appiattì contro il muro, in una nicchia tra la statua che ospitava e la parete al passaggio della domina.
La veste elegante e i sandali di legno contrastavano con il passo marziale e l’espressione omicida che la donna aveva in volto.
Azia Medea Rubinia Antinea stringeva nel pugno la missiva recapitatale da Athenae giusto meno di mezz’ora prima. Gliel’avevano mandata dalla sede del magisterium di cui era responsabile, ben sapendo che tutto quel giro, quando era nota la sua presenza lì a Roma, era stato un espediente per prendere tempo. Per dar modo di compiere quella carneficina inutile.
Arrivò alla porta dell’ufficio del Magister Violentum e l’aprì senza bussare, senza nemmeno fermarsi. Avesse avuto la sua spada con sé, non l’avrebbe nemmeno aperta. Passò davanti a un basito segretario che tentava di fermarla in tutti i modi, ben sapendo che non era consigliabile toccarla. L’ultima volta che aveva visto un subalterno osare tanto con la Magistra Sapientum lo aveva visto accasciarsi a sputare denti.
«Togliti di mezzo!» Sibilò furente lei e impotente l’uomo rimase a guardare la magistra entrare dal suo superiore. Sperò vivamente che Secondo Salvideno, capo del Magisterium Violentum, si limitasse a frustarlo e non lo licenziasse per questo.

«COME OSI!!» Tuonò il vecchio magister.
«Come oso io?! Tu piuttosto! Come hai osato fare una cosa così stupida, insensata, assolutamente fuori da ogni possibile prospettiva futura!»
Con queste parole furenti, sottolineate dal tono basso e gelido della voce, la donna gettò con sgarbo e disprezzo il foglio che teneva accartocciato in mano contro il petto del Magister.
Lui nemmeno raccolse il foglio, sapeva cosa conteneva. Ne aveva fatto mandare una copia a ciascun Magister, in accordo con il Praefectus Urbis di Roma, per l’istituzione di quella nuova squadra e la selezione necessaria per la prova di quel particolare comando. Piuttosto, era stupito per la velocità con cui quella missiva era giunta nelle mani della domina, visto che le aveva fatte recapitare tutte alle sedi principali di residenza dei Magistri durante la loro presenza a Roma per la prossima Assemblea Magistralis.
«Ho solo avvallato un ordine del Praefectus Urbis. Sono d’accordo con lui.»
«Sei un idiota, Salvideno.»
«Modera i termini, ragazzina. Non mi spaventa che tu sia la figlioccia dell’imperator.»
«Dovresti esserlo, Salvideno, questa… questa ti costerà il posto!»
«Non hai il potere di licenziarmi, tu.»
«Io no, ma l’imperator e l’assemblea sì. E, fidati, la richiesta di udienza all’imperator l’ho già inviata, così come la convocazione per una riunione urgente non appena avrò sistemato la questione.»
«Non hai il diritto di intrometterti nelle faccende del mio magisterium!»
«Ne ho tutti i diritti se questo vuol dire veder mandare a morire trenta tra i migliori Mastini! Cosa ti è saltato in mente? Cosa?!»
«Bisognava testare le effettive capacità di questo Gauthigot.»
«Santi Numi, proteggetemi da tanta stupidità. Spera solo che riesca a salvare il salvabile e non arrivi troppo tardi. Posso capire i sacrifici necessari, ma questa è una carneficina bella e buona e del tutto ingiustificata.»
«Ti avverto, non ti impicciare.»
Azia si chinò in avanti e i riccioli ben modellati che le incorniciavano il viso ballonzolarono attirando gli ultimi raggi di sole che entravano dalla finestra alle spalle di Salvideno. «No, io ti avverto, Salvideno. Prega che se ne salvi anche uno solo. Prega questo, perché altrimenti sarà auspicabile trovare le tue dimissioni su questo tavolo al più presto. Hai azzardato troppo, questa volta, e nemmeno l’imperator può proteggerti dalle tue scelte scellerate. Non è la prima volta, ma stanne certo che sarà l’ultima.»
Con quel soffio minaccioso, la magistra si sollevò di scatto, soddisfatta del lampo di incertezza che aveva attraversato lo sguardo del vecchio magister. Gli voltò le spalle e se ne uscì richiudendo con cura l’uscio, rendendo quindi ancora più assordante il silenzio calato nello studio.
«Tu, dammi l’incarico del Praefectus per il comandante Gauthigot Germanicus della Coorte XII Fulguralis.»
«Ma, ecco, io, domina, dovrei chiedere a…»
Bastò lo sguardo di lei, quel vuoto ghiaccio violaceo, a farlo desistere. Le parole, austere e cariche di disprezzo: «Il tuo Magister è sollevato dal suo incarico con effetto immediato. Se non mi credi, chiedi alla cancelleria dell’imperator. Ho depositato lì la sua nota in merito. Ora dammi quel documento. Subito.»

Edmè, Blagoy e Clovis seguirono l’esempio di Aurelio, richiamarono la loro rabbia dal profondo del loro essere risvegliando il Mastino e tutta la furia di cui erano capaci andando in aiuto al loro compagno. I loro colpi andarono a segno, Gautigoth si trovo di fronte la furia di quattro mastini: era circondato.
Il sangue iniziò a bruciargli nelle vene come fuoco liquido, gli occhi divennero pece e il suo viso si deformò in una maschera terrificante. I muscoli si gonfiarono e la forza del dio della guerra si fuse con la sua maledizione: ora egli dispensava morte.
Il barbaro ora sfidava il vento. I quattro Mastini furono fatti a pezzi uno dopo l’altro, lembi di carne si staccarono dai loro corpi, come un macellaio affetta un trancio di manzo.
Tersa mantenne la calma ed iniziò a bersagliare quell’uomo che stava facendo a pezzi i suoi compagni. La fortuna per una volta era dalla sua parte. Molti furono i dardi che andarono a vuoto, ma alcuni riuscirono a centrare il bersaglio sul corpo e sulle braccia; purtroppo la cosa sembrava non sortire nessun effetto su quella belva, ma Fortuna decise di non abbandonare la sua protetta. Una freccia centrò l’occhio sinistro di Gautigoth , fermando momentaneamente la sua furia.
T’Challa scattò, colpendo l’avversario con tutta la sua forza, la lama incontrò la carne…essa però sembrava dura come il granito. Il numida lasciò uscire tutta la rabbia che aveva in corpo aumentando così la sua forza per condurre a termine il suo colpo, ed alla fine ebbe la meglio: l’avambraccio del barbaro venne troncato e cadde a terra assieme ad una delle sue spathe; trionfante, il nero riprese il controllo di sé.
Invece di fermarsi o urlare per lo shock, i lineamenti del germanico si modificarono ancor di più: la mascella si spalancò fino a deformarsi, una chiostra di denti bianchissimi brillava nella notte, ma i due canini erano sproporzionalmente lunghi.
Galeno cercò in tutti i modi di sincronizzare la battaglia, ma dovette arrendersi ed accettare il fatto che l’unica cosa che poteva fare era quella di trattenere alcuni di loro dal combattere – e riportarli a casa vivi - o ancora peggio liberare il mastino che avevano dentro, e condannarli.
Con un rapidissimo fendente Gautigoth cercò di staccare la testa ad Ashur, ma istintivamente il guerriero alzò lo scutum parandolo, digrignando i denti a causa dell’impatto. Purtroppo però il suo avversario, anche se menomato, era troppo veloce. Tornando indietro, la lama compì una rotazione circolare per poi saettare in avanti, la spatha penetrò diritta nel suo stomaco trapassandolo, per poi finire il lavoro scendendo verso l’inguine. Il guerriero non ebbe il tempo di crollare a terra, che il germanico era balzato addosso al prossimo combattente.

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