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OPINIONI: Case editrici Vs. Self-publishing

Seguendo l’onda di una bella discussione in forum su dragonisland.it, eccoci ad affrontare anche qui la tematica della pubblicazione e dell’editoria a cui, spero, voi che ci seguite e leggete vorrete partecipare vivamente alla discussione che vado a mettere in tavola.

Italiani popolo di santi, poeti e navigatori, dice una famosa canzone, anche se dalle illustre penne degli antenati ben poco – ultimamente – siamo stati in grado di ereditare. Una volta chi voleva cimentarsi nella difficile arte della scrittura metteva insieme tutte le pagine del suo manoscritto, le rilegava e le spediva a una casa editrice rimanendo con le dita incrociate fino a quando non riceveva un responso. Il che, il più delle volte, era negativo e l’iter si ripeteva con un’altra casa editrice e via via perseverando.

Alcuni casi, anche famosi e anche in tutto il mondo, furono rifiutati decine di volte prima di “sfondare”.

Quando infine giungeva il fatidico sì dell’editore erano salti di gioia e l’inizio di un altrettanto lungo iter: leggere, revisionare, editare il testo un sacco di volte prima di poterlo finalmente vedere, toccare e odorare. E sentirsi dannatamente orgogliosi del risultato ottenuto, specialmente quando arrivava l’assegno trimestrale dei diritti d’autore o quando passando davanti a una libreria si vedeva il proprio libro in vetrina.

Con l’avvento delle nuove tecnologie e, soprattutto, di internet e della condivisione dei dati a livello mondiale, anche l’editoria ha cambiato forma negli anni, avvicinandosi sempre di più al digitale. Certo, come in tutte le cose, l’Italia al solito rimane indietro e solo negli ultimi due-tre anni si è “svegliata” in merito alla distribuzione digitale dei libri. I famosi eBook.

Con questo è cominciato a fiorire anche un mercato del fai-da-te non indifferente che ha visto negli ultimi cinque anni la crescita esponenziale di siti web dedicati al print-on-demand e al self-publishing – l’autopubblicazione – che è diventata risorsa quest’ultima sempre più usata e sfruttata da questo popolo di santi, poeti e marinai, sempre meno santi, sempre meno poeti e sempre più marinai del web.

Pubblicare con il self-publishing è tutta un’altra cosa rispetto all’esperienza con la casa editrice vista poc’anzi: prepari il tuo manoscritto, lo impagini, invii il file al sito web prescelto (ilmiolibro.it, youcanprint.it, narcissus.me, kdp.amazon.com solo per citare i più famosi d’Italia) e il gioco è fatto. Tempo qualche giorno e il tuo libro è pubblicato e se ne acquisti tu direttamente qualche copia te lo consegna il postino direttamente a casa.

Addirittura è possibile acquistare un codice ISBN (che in realtà è proprietà della casa editrice titolare del servizio di self-publishing erogato) da apporre alla propria opera ed essere così inserito nel catalogo internazionale dei libri.

A ben guardare, quindi, il self-publishing sembra essere la soluzione editoriale del futuro, eppure ci sono cose che ancora oggi solo una casa editrice ti può garantire: la buona qualità del lavoro finito, una distribuzione nazionale capillare dell’opera, diritti d’autore sempre riconosciuti giusto per citare alcuni esempi banali. Tutt’oggi, noi come lettori, abbiamo ancora un’atavica convinzione istintiva o viscerale che una casa editrice specialmente se grossa sia garanzia di qualità di prodotto, ma questo perché fino a poco tempo fa le cose stavano effettivamente così.

Un autore edito da una Mondadori piuttosto che Einaudi, Longanesi, Curcio, Fanucci o Garzanti era uno Scrittore.

Con l’andar del tempo, ahimè, le cose sono andate a perdersi e basta vedere i principali nomi editi da Mondandori per vedere il vario panorama calcistico e di veline in primo piano, tanto per dirne una. Ora, non so voi, ma se uno è bravo a giocare a calcio e quando lo intervistano sembra far fatica anche solo a mettere insieme tre parole in una frase di senso compiuto, mi chiedo come possa pubblicare un best-seller. Ma tant’è.

Quelle che erano, sono o dovrebbero essere le garanzie della casa editrice sono invece totalmente disattese dal self-publishing, che però mostra una validità di distribuzione per certi versi ancora maggiore. Sempre più spesso i siti di autopubblicazione sono stringono accordi commerciali con i principali gruppi di vendita ottenendo di mettere in vendita il libro dell’autopubblicato nelle loro vetrine virtuali.

Il mondo del libro, dunque, con l’autopubblicazione si è spostato principalmente da una vetrina vera (che sempre più spesso chiude a causa di una crisi non solo economica ma anche proprio culturale) a una vetrina virtuale. Da poche centinaia di visitatori al mese di una libreria alle centinaia di migliaia di visitatori virtuali dei maggiori store on-line. Maggiore visibilità = maggiori vendite = maggiori profitti. Se poi, visti i costi abbattuti o praticamente inesistenti di produzione del libro, mettiamo pure che gli autori che scelgono questa strada certamente rimangono anche ben ben folgorati dalla percentuale dei diritti d’autore che viene loro data. Dal 20% in su del prezzo di copertina, a fronte di un 8-12% risicato dato solitamente dalle case editrici (poi, ovviamente, le cose sono diverse da caso a caso).

Ancora però non riusciamo a dirimere la questione quale delle due possa essere migliore. Di certo, visto e considerato come l’editoria negli ultimi anni sia diventato un fiorente mercato di polli da spennare, se tanto mi da tanto preferisco autopubblicarmi. È la voce di molti che si unisce in un unico coro di dissenso – più o meno forte – nei confronti di tutte quelle case editrice di piccola o media grandezza (certi grandi marchi non sono comunque esenti da questo) che chiedono un contributo in denaro all’autore per poter pubblicare il suo libro.

Gli apripista di questo malcostume imprenditoriale sono i famigerati responsabili del gruppo Il Filo, divenuto in pochi anni una holding finanziaria e una società SpA quotata in borsa. Con i soldi degli autori che credendo in se stessi (talvolta troppo, talvolta troppo poco) decidono di provarci. E su questa scia tutta una serie di case editrici che sembravano destinate a chiuder battenti si sono ritrovate nuovamente a respirare economicamente.

La cosa, in Italia, ha preso così tanto piede che alla fine la gente ha imparato a farsi quattro conti in tasca e ripiega, nella maggior parte dei casi, sul self-publishing semplicemente perché costa meno. Non perché dia loro qualcosa in più. Perché, effettivamente, l’industria dell’editoria a pagamento, offre niente di più che un servizio tipografico di impaginazione e stampa: buona parte delle volte le copertine vengono a loro volta autoprodotte dagli autori oppure realizzate da amici illustratori comunque dietro compenso.

Ma il vero self-publishing è ben altra cosa.

Non è nemmeno rivolgersi a siti come narcissus.me o youcaprint.it che, per quanto ben distribuiti e per quanto bene lavorino, comunque sono editori che traggono il massimo profitto da ogni singola fase elaborativa del testo da pubblicare.

Quando si guarda in questi siti web, si guarda come prima cosa quanto costa pubblicare il libro e quella è, in pratica, l’unica vera informazione che interessa all’autore medio. Ma se si scorressero con maggior attenzione tutte le voci di menù si noterebbero anche tutti i servizi aggiuntivi: editig professionale, impaginazione, illustrazione della copertina, book trailer, web marketing e via discorrendo. Perché in definitiva, chi sceglie di auto pubblicarsi sono persone di due macro categorie: coloro che hanno soldi da spendere, ma pochi, e si credono (per la maggior parte, non per tutti) novelli Joyce o Follett oppure chi sceglie l’autopubblicazione come proprio stile a tutto tondo.

Come si fa quindi del buon self-publishing? Investendo oltre misura un quantitativo enorme di tempo e di denaro per massimizzare i propri profitti saltando tutti gli intermediari e rivolgendosi per ogni singola fase progettuale del libro a professionisti esperti del settore. Professionisti che si fanno pagare anche profumatamente. In pratica, l’autore che si autopubblica si inventa editore di se stesso e si assume tutti i rischi di impresa che questa cosa comporta.

Purtroppo l’esperienza insegna che il buon self-publishing, fatto con metodo e ragionato dalla scrittura dell’opera alla sua pubblicizzazione e alla rendicontazione di quanto frutta la sua vendita, è scarsamente noto specialmente in Italia e viene usato principalmente – almeno questa è la sensazione che emerge dalle opere che si trovano nei grandi store on-line – come alternativa economica all’editoria a pagamento e come via di fuga da una serie infinita di porte chiuse in faccia senza nemmeno avere l’umiltà di mettersi in questione e di domandarsi se e cosa ci sia che non va nelle proprie opere per essere rifiutate numerose volte.

1 commento:

  1. Umiltà è la parola chiave, io nel mio piccolo ho pubblicato un piccolo libro con una piccola casa editrice, in realtà neanche una casa editrice ma una tipografia online. Il risultato è stato decisamente superiore alle aspettative, se può servire a qualcuno qui c'è il link al sito ---> http://www.tecnograficarossi.it/

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