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RACCONTI: Il fuoco di Vesta - Capitolo I

284 d.C - 1037 a.U.C.

Ceionio entrò nel suo studio sbattendo la porta.
Quattro giorni. Erano passati quattro giorni da quando aveva dato l'ultimatum alla vestale maxima, e ancora nessuna risposta.
Prima di partire verso la Moesia1, dove lo attendeva lo scontro con l'ennesimo generale proclamato imperatore dalle sue truppe – un illirico stavolta, un certo Diocle – l'imperatore Carino gli aveva spiegato perché non lo aveva voluto portare con sé.
Aveva una missione duplice da affidargli.
Primo, controllare il Senato per farsi dare i finanziamenti necessari. Secondo...l'imperator gli aveva raccontato un sogno. Il padre Numeriano gli aveva garantito la vittoria su Diocle se durante la battaglia avesse avuto con sé “il tesoro più sacro di Roma”. E aveva affidato a lui il compito di acquisirlo e mandarglielo. Ad ogni costo.
Il problema era appunto quello. Aveva interpellato il Rex Sacrorum2 in segreto, ma Fabio si era dimostrato decisamente recalcitrante. Dopotutto, aveva spiegato con tutta l'alterigia di un appartenente a una delle famiglie più antiche di Roma, nessun mortale poteva disporre a suo piacimento del sacro talismano che da sempre accordava la protezione degli dei alla città. Perché era di quello che si trattava: Carino gli aveva ordinato di portargli la statua di Pallade Atena che si raccontava essere stata portata da Enea nella sua fuga da Troia, il palladio. C'era stato il precedente dell'imperatore Elagabalo, che aveva raccolto intorno a sé non solo il palladio ma altre reliquie sacre, come gli scudi sacri dei Salii; ma ogni pio romano si era ritratto inorridito di fronte ad un simile gesto, e la fine che aveva fatto poi Elagabalo....lui non voleva certo augurarla al proprio imperator, vero?

Non riusciva a capire perché l'imperator fosse così superstizioso. Ceionio aveva combattuto in lungo e in largo per tutto l'Impero, seguendo sia Caro che i suoi figli. Ma l'unica cosa che ti portava fortuna in battaglia era un gladio ben affilato.
Andò alla finestra e fissò la cupola del tempietto rotondo, uno dei luoghi più sacri di Roma. Là dentro c'erano una ventina di donne che si votavano alla dea delle fiamme, onorate come regine, talmente sacre da essere le uniche a venire sepolte all'interno del pomerium3...persino i loro resti mortali non erano come quelli delle altre persone, impuri e indegni di stare all'interno dei confini sacri della città. Pensava che sarebbe stato facile impaurirle, costringerle a consegnare il palladio...e invece, Celia Concordia si era dimostrata un osso duro. L'aveva implorata, l'aveva minacciata, l'aveva accusata di tradimento nei confronti dell'Impero, e quella vecchia non aveva battuto ciglio. Quarant'anni passati tra quelle sante vergini l'avevano dotata di un carattere di ferro. Non si era spaventata persino quando aveva minacciato di uccidere lei e le altre vestali. Si era eretta in tutta la sua altezza, avvolta nelle rigide pieghe di lino, e aveva sibilato «Non avrai il palladio. Non finché sarò viva.»
Ucciderla in quel momento sarebbe stata una soddisfazione, ma era un personaggio troppo in vista. Occorreva agire d'astuzia.

Poco dopo, per tutta la città corse la notizia che era scoppiata un'epidemia all'interno del santuario delle Vestali. Il tempio della fiamma sacra venne chiuso, e il praefectus urbi Ceionio Varo diede ordine alle guardie pretoriane di circondare l'edificio e di provvedere personalmente alla sicurezza delle vestali, fornendo loro il cibo e assicurando che i migliori medici della città si sarebbero occupati della salute delle sacerdotesse nei luoghi del santuario consentiti agli estranei.
Ma nessuno notò che la quantità di cibo nei cesti era ridicolmente poca per nutrire le sacerdotesse, le schiave e gli eunuchi, né che nessun medico effettivamente aveva attraversato il confine presidiato dalle guardie. Sarebbe bastato qualche giorno per vedere Celia Concordia arrendersi di fronte ai morsi della fame.
Passarono dieci giorni e dal tempio nessuna risposta. Quelle maledette zitelle vivono d'aria? Si chiese Ceionio, fissando con aria truce le porte dell'atrium Vestae4.
Era ora di forzare la mano. Scelse una ventina dei suoi uomini, quelli di cui si fidava di più, quelli che avrebbero eseguito qualsiasi ordine. Persino quello di irrompere in un edificio sacro per prelevare una vecchia statua.
Era notte fonda quando finalmente riuscirono a rompere il pesante chiavistello della porta secondaria. Questa si aprì con uno scricchiolio sinistro, come a ricordare loro quello che stavano facendo.
Nonostante fossero tutti veterani abituati a guardare la morte in faccia, si sentivano stranamente a disagio. A parte i sacerdoti, erano i primi uomini ad entrare in quell'edificio da quando Numa aveva istituito quel sacro collegio. I loro passi sembrarono una carica di cavalleria nei corridoi deserti.
Uno dei soldati entrò in una stanza e ne uscì con un'aria allarmata. «É un cubiculum5, ma non c'è nessuno!»
«Dirigiamoci al santuario. Non possono lasciare il fuoco incustodito.» rispose Ceionio tradendo una certa ansia.
Non esistevano mappe conosciute dell'edificio. Il drappello si mosse a memoria, orientandosi con quello che avevano visto dai tetti. Scesero nei giardini e raggiunsero il piccolo tempio circolare. Tutti c'erano stati almeno una volta nella vita: era un tempio decisamente inusuale, senza cella e senza statue...solo il grande braciere con il fuoco sacro che era l'immagine e la presenza stessa della dea. E la vestale di turno, preposta alla sua veglia.
La porta si aprì. Prima ancora di entrare, li colpì l'odore. Odore di sangue. Odore di morte.
Quando la luce delle torce illuminò l'ampia volta, gli uomini si trovarono circondati da donne vestite di bianco, distese composte a terra come le figure di un mosaico. Le mani erano congiunte sotto al seno in una posa pudica, le vesti di lino candido bagnate di sangue. Ceionio deglutì. Non pensava che sarebbero giunte a tanto.
«Te l'avevo detto, praefectus. Non avrai il palladio.»
Celia Concordia era accanto al grande braciere, zuppa come se avesse corso sotto la pioggia battente. Mortalmente pallida e magra, ma gli occhi carichi di odio erano inconfondibili.
«A quanto pare le nostre schiave non sono riuscite a consegnare il messaggio al rex sacrorum, ma non preoccuparti, tutto l'Impero saprà della tua infamia.»
«Dov'è? DOV'É IL PALLADIO?» Urlò Ceionio inferocito, avventandosi su di lei. Potevano averlo nascosto ovunque!
«Gli uomini hanno dimenticato la pietas6. Vesta ha distolto lo sguardo da Roma, e la città su cui ha vegliato fin dalla sua fondazione non gode più del suo favore. Fino a che gli uomini non avranno di nuovo fede, il palladio non ricomparirà.»
«Maledetta, dimmi dov'è!» Ceionio la afferrò per il bordo della tunica, ma Celia allungò un braccio verso il braciere e le fiamme la avvolsero all'istante. Con orrore, l'uomo si rese conto che era olio per lampade quello che la infradiciava.
Celia ebbe la soddisfazione di vedere il viso del praefectus diventare paonazzo dalla rabbia prima di cedere al dolore. Ma questo non venne. La Dea ora la stava abbracciando, la cullava come una madre, portandola lontano dal dolore e dalla follia di un mondo in cui il suo coraggio era diventato cenere sotto l'avidità degli uomini.


Continua....

Note
1 - Moesia: provincia romana corrispondente a parte del corso del basso Danubio, comprendeva parti della Serbia, della Bulgaria e della Macedonia.
2 - Rex Sacrorum: la carica religiosa più importante a Roma dopo quella del Pontifex Maximus. Quest'ultima in epoca imperiale era attributo dell'imperatore; ho pensato che il rex sacrorum potesse sostituire il pontifex maximus in caso l'imperatore non fosse presente o impossibilitato a svolgere i doveri rituali.
3 - Pomerium: il sacro confine della città, tracciato da Romolo.
4 - Atrium Vestae: il complesso di edifici che comprendeva la Casa delle Vestali e il Tempio di Vesta
5 - Cubiculum: stanza da letto
6 - Pietas: il legame di rispetto e onore che legava i figli ai genitori e gli uomini agli dei.

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