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XII FULGURALIS REVIVAL: La sapiente... è umana!

Ci siamo fermati dalle pubblicazioni dei post su questo blog per le ferie (lunghe, si, sono d'accordo), ma anche per altri importanti impegni: il contatto con una grande casa editrice ci ha spinto a dare fondo a tutte le nostre energie nello sviluppare il nuovo romanzo dei Demiurghi: "Una vita, Mille vite".

Ma ogni tanto i nostri personaggi preferiti tornano a farci visita e nascono spontanee scene come questa.
Buona lettura, gente.


Egitto, casa diroccata lungo il Nilo, nei pressi di Menfi.
Azia guardava orripilata il boccale tra le sue mani, colmo della bevanda tiepida e ricoperta di una densa schiuma ambrata. Deglutì nervosa, celando il suo stato d’animo come d’abitudine dietro una maschera di vuota freddezza e gelido distacco. Come se nulla mai la toccasse.
“Avanti, domina, ti sfido.” La voce fastidiosamente mielosa di Eliogabalo si insinuò nei suoi pensieri: “Fai sempre la gran raffinata, mai che ti abbia visto bere più di due sorsi di birra. Vuoi essere della compagnia? Scolati il boccale.”
Azia si guardò intorno con occhi gelidi, in cuor suo disperata. Pendaran la studiava con un misto di curiosità e indifferenza, Elettra aveva sulle labbra un sorrisetto saputo che la incitava a raccogliere quella sfida assurda anche peggio delle parole di Eliogabalo. Domiziano e Gautighot erano uno a fianco all’altro, interrotti dalla tracotante esuberanza del solitamente silenzioso retico. Solitamente, ma non quando si trattava di punzecchiarla. O sfidarla, come in quel caso. In tutti gli altri casi lo aveva battuto, o spiazzato. Ma ora… lui la stava sfidando con un’aria veramente troppo soddisfatta e Domiziano la guardava con un misto di orgoglio e cieca fiducia e… oh, dèi, che razza di situazione idiota.
Scosse piano la testa e posò cauta il boccale a terra, accanto al fuoco. “No.”
“No? Ma come… hai paura di cosa?”
“Non ho paura, Eliogabalo, semplicemente la birra mi fa venire il voltastomaco.” Il che era in parte vero, si giustificò.
“Bah, sciocchezze! Non l’hai mai provata veramente, con solo un misero sorsetto non puoi davvero assaporarne il gusto pieno e corposo!”
Elettra rise piano, mentre Gautighot passava lo sguardo interrogativo dall’una agli altri due, sorridendo sotto i folti baffi biondi e carezzandosi pensoso le corte trecce della barba.
“Bah, secondo me la tua è fifa.” La punzecchiatura era arrivata da Elettra, ma non sortì un effetto diverso: Azia si limitò a scuotere il capo in segno di diniego e si apprestò ad alzarsi in piedi. Per ritrovarsi alle spalle un Gautighot incombente che le sussurrò all’orecchio: “Non facevo così vigliacca il comandante della VI Arcana. Pensavo che, in qualità di ideatrice della nostra copertura, tu fossi la prima a immedesimarti nella parte.”
Azia strinse le labbra e un lampo d’ira impotente le saettò nello sguardo blu-viola. Domiziano iniziò a preoccuparsi, non era da lei lasciarsi insultare a quella maniera senza replicare con estrema acidità. “Azia?”
“Lascia stare Domi.”
No, quella non sembrava affatto la sapiente piena di risorse. Elettra sbuffò, gettando un altro legno nel falò schermato che aveva acceso Eliogabalo un’ora prima, quando si erano accampati. Pendaran emise un grugnito infastidito, bofonchiando: “Sono troppo vecchio per queste stronzate. Azia, bevi e non rompere, lo sai che ti daranno il tormento anche tutta la notte se non lo fai. E io voglio dormire.”
Azia deglutì incerta, tutti sapevano che sarebbe andata come il vecchio divinator aveva appena detto. Non di meno, lei provò comunque: “Non mi lascerete respirare finchè non l’avrò fatto, vero?”
I tre annuirono divertiti e carichi di aspettativa, Domiziano invece cominciò a preoccuparsi sempre di più: i rapporti nella squadra erano cambiati enormemente in quell’ultimo mese passato a preparare la copertura, proprio su suggerimento di Azia: si erano allenati insieme, aiutati a vicenda, inventato trucchi e costruito scenette e costumi per entrare nella parte dei saltimbanchi a pieno titolo. Si era creata una strana armonia, che immaginò, tutti loro avessero desiderato anche negli anni passati, prima che Azia scappasse, prima che Gautighot finisse per diventare un vampiro.
Azia prese il boccale e lo guardò come se fosse la più viscida e schifosa delle bestie che si potesse raccogliere da un canaletto di scolo delle fogne.
Birra.
Domiziano non ricordava una sola occasione in cui lei ne avesse bevuto più di un sorso o due. Poi puntualmente la mutava in vino e di quello… per Dio, di quello era capace di bersene un barilotto senza battere ciglio, anche a stomaco vuoto. “Azia, non devi farlo per forza. Se ti fa tanto schifo…”
Domiziano alzò le mani in segno di resa allo sguardo di fuoco che i compagni gli lanciarono, lei fece una specie di sorriso tirato e, pallida e rassegnata, scosse la testa prendendo il boccale. Ora era ancora più calda. “Domi…”
“Sì, cara?”
“Tirami fuori da questa situazione assurda.” Lo implorò posando di nuovo a terra il boccale.
“Non ti ci provare nemmeno, greco!” L’esclamazione del comandante germanico fu una specie di basso ruggito. Eliogabalo faticava a trattenere le risa e cominciò a imitare il verso della gallina nei confronti di Azia che, lentamente ma inesorabilmente, diventava di volta in volta più paonazza in volto. La sua natura di guerriera non avrebbe impiegato molto a prendere il sopravvento. In ginocchio e seduta sui talloni, la sapiente guardava le fiamme cercando di estraniare la voce odiosa di Eliogabalo che la canzonava, le frecciate di scherno di Elettra e la muta attesa di Pendaran e Gautighot. Si concentrò sul proprio respiro, strinse i pugni e riacquistò il controllo un attimo prima di perderlo del tutto e prendere a pugni il poco silente retico.
“Non la berrò. Non mi piace e non lo farò.”
Gautghot sbuffò e guardò a Pendaran, per la prima volta da mesi, come in cerca di un appiglio. Il divinator sorrise, annuendo al comandante e parlò: “Azia, senti, dimmi una cosa: faremo questa recita dei saltimbanchi per praticamente tutto Aegyptus e come spiegherai che la cantante e acrobata non beve birra?”
“Dirò che sono astemia.”
“Non regge, mia cara, se dobbiamo mantenere la copertura prima o poi dovrai cedere a qualche lusinga dei clienti.” Mosse una mano rapido nei confronti del conciliator. “Ho detto qualche, Domi, non tutte. E che palle.”
Domiziano si rimise seduto a gambe incrociate, incrociando sul petto le braccia con un broncio: detestava essere rimesso al suo posto a quel modo, ma quando si trattava di Azia diventata automaticamente iperprotettivo. Azia scosse la testa, ancora, testarda.
Gautighot si accigliò. “Bevi, vicecomandante. È un ordine.”
Lei lo guardò con un misto di odio e orrore. Sì, il guerriero ne fu certo: il viso perfetto era impassibili, ma gli occhi gli mostrarono un terrore assolutamente puro. Sorrise ferino e gli occhi gli si arrossarono, i canini si allungarono minacciosi e le ingiunse: “Se la birra ti fa semplicemente schifo, puoi anche imparare a mandarla giù lo stesso, per il bene della nostra copertura. Quindi è bene che inizi a calarti nella parte anche tu e cominci ad abituarti al suo sapore. Ci siamo intesi?”
“S-sì, comandante.” Quella resa balbettata stupì tutti. La maschera di Azia crollò mentre prendeva il boccale che ora Gautighot le porgeva, ancora più caldo, ancora più imbevibile per lei.
Azia fissò con orrore la birra, quindi se la portò alle labbra. Per un attimo pensò di mutarla in vino, ma si rese conto che Pendaran aveva apposto un sigillo mistico. Niente magie. Bevve.
Un sorso. Due sorsi. Tre. Mezzo boccale.
Smise, non ce la faceva più. Con occhi lucidi guardò implorante la doppia figura del comandante, che con un severo cipiglio l’uno e divertito l’altro, le fece cenno di continuare.
Finì il boccale e riportandolo all’altezza delle ginocchia, dove andarono a crollare le sue braccia senza forze, lo fissò vacua, la testa leggera, sempre più leggera, sempre più come avvolta dalla nebbia. Le parole che si scambiavano i compagni divennero rumori confusi, ora bassi e ovattati, ora stridenti.
“Però, mica male.”
“Bah, l’avevo già vista tracannare un boccale simile di vino, senza batter ciglio.” Replicò poco stupito Eliogabalo.
“Caspita! Vino speziato come piace a lei, immagino.” Chiosò serafica Elettra.
“Ovviamente. Falerno invecchiato, della migliore qualità.”
Elettra rise, nessuno dei due badava davvero a lei.
“Allora? Visto che non era così tremendo?”
Lei annuì deglutendo vistosamente, cercò di alzarsi e il boccale le cadde di mano. Divenne cerea in volto, sapeva cosa le stava succedendo. Domiziano fu lesto a raggiungerla e aiutarla ad alzarsi. “Azia? Amore, va tutto bene?”
La domanda premurosa dell’uomo ottenne uno scrollo scomposto della testa, mentre lei barcollava vistosamente nel tentativo di fare un passo, sempre muta.
“Azia?”
La voce roca e, ora, seriamente preoccupata di Pendaran la raggiunse. I due si guardarono a lungo, occhi viola in occhi azzurro slavato. “Scii?”
Tutti sbarrarono gli occhi. Lei li guardò, perdendo ogni forma di contegno man mano che li fissava negli occhi e l’alcol faceva il suo devastante effetto. Singhiozzò e ridacchiò, cominciò a sorridere divertita dalle loro espressione, finì per ridacchiare forte, sorretta da un esterrefatto Domiziano. “Buon Dio, Azia… sei… sei…”
Lei singhiozzò di nuovo, ridacchiò barcollando nel tentativo di liberarsi della sua presa.
Guardò Gautighot, uno dei tre, non sapeva bene quale, quindi passò velocemente a Eliogabalo, anche quello multi presenza e annuì con comica serietà. “Scì, sciono ubriacah. Odio, la biiira. La odio proprio proprio, sci.”
La voce impastata della donna lasciò attoniti i presenti dal primo all’ultima, mentre Azia, ormai totalmente fuori controllo, sedeva a terra fissando tra il mesto e il divertito le fiamme danzanti del falò e cominciava a chiosare sul senso della vita e su tutti quei discorsi incredibilmente profondi che solo da ubriachi si era in grado di tirar fuori. A un certo punto la sapiente si accasciò su sé stessa, farfugliando una minaccia: “Domani matinaa… vi maledirò. Adesscio, però… devo vomitare.”
E mantenne fede alla parola.
Domiziano faticò non poco a metterla a dormire sul suo giaciglio, tentando in tutti i modi di impedirle di bere ancora: come tutti gli ubriachi, Azia non aveva più freno e voleva ancora da bere, arrivò a sedersi sopra la donna finchè, spossata, non si addormentò. Pendaran le toccò la fronte madida di sudore e scosse la testa: “è proprio partita. Accidenti, tutto mi sarei immaginato, tranne che potesse ubriacarsi con un solo boccale di birra.”
Si guardarono tutti e poi, poco alla volta, incapaci di frenare il riso sempre più crescente man mano che gli sproloqui di quella sapiente ubriaca venivano a galla, finirono per ridere a crepapelle. Domiziano si sentì un mostro, ma non riuscì a impedirselo.
“Domani mattina ci legnerà tutti di santa ragione, mi sa!” Se ne uscì il conciliator, a un certo punto, scatenando una nuova ondata di ilarità.
“Non credo. Dalla sbronza che si è presa, avrà troppo mal di testa anche solo per pensare!” Rispose a tono Gautighot e tutti risero di nuovo.
“Spero solo che non finisca per lamentarsi tutto il giorno come te, Elio!”
Risero ancora a lungo, alle spalle della sapiente beatamente addormentata, una nuova affinità ritrovata proprio grazie all’unica persona che mai nessuno di loro avrebbe immaginato potesse dare.In quel modo assurdo, oltretutto.

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