RACCONTO: Fate of Eberron - 18
Il vento fischiò forte, lanciandoli tutti e quattro
come foglie secche in autunno, sparpagliandogli dopo averli risucchiati con la
deflagrazione.
Caddero ruzzolando sul piano di calpestio tra polvere
e olio, chi sbatté contro delle casse, frantumandole, chi finì dritto contro un
muro, chi travolse forgiati e uomini che in quel budello meccanico lavoravano e
furono travolti dall’esplosione insieme a chi l’aveva provocata. Chi finì
contro le grosse tubatura, ammaccandole.
A parte Fender, tutti e tre persero i sensi e si
riebbero alcuni minuti dopo. Di contro, il forgiato era incastrato tra tubature
e muratura e stava sforzando tutte le giunture per liberarsi. L’esplosione era
stata poderosa e per evitare che fosse fatale ai compagni l’aveva subita in
pieno più di tutti gli altri. Un’altra volta.
Lorian si risvegliò tossendo, quando i polmoni
decisero di tornare a collaborare, così come anche Sylvion e Anat poco più in
là.
«Ci siamo tutti?» Chiese l’artefice, guardando Anat
raggiungerlo carponi accanto a Sylvion che stava faticosamente sollevandosi a
sedere e lo guardava stranito con i suoi bianchi occhi. Tirò quasi un sospiro
di sollievo quando lo sentì bestemmiare vigorosamente mentre a tentoni
recuperava le proprie lame. Se non altro non aveva perso la memoria con la
botta.
«Penso di sì… cazzo che botta.»
Sorrise tirato, il Cannith, all’uscita sboccata di
Anat. «Già. E temo ce ne sarà un’altra anche più forte.»
«Figata.» Il tono di Anat non era affatto entusiasta
e, a ben vedere, non c’era nulla di “figo” in quanto stava succedendo.
«Cosa facciamo?» Chiese l’artefice, sedendosi a gambe
incrociate e tastandosi la spalla dove campeggiava il marchio del drago. Faceva
male e non riusciva a muovere bene il braccio. «Mi sono lussato la spalla,
merda.»
«Ce la squagliamo?» Interrogò Fender, avvicinandosi
dopo essersi districato dai tubi divelti e dal muro mezzo sfondato. Intorno a
loro regnava il caos più completo, ricoperti di polvere e calcinacci i quattro
amici si guardarono negli occhi senza parlare.
Sospirarono.
Si alzarono a fatica, Sylvion fece una smorfia e poi
prese la bandana che Fender, dopo essersi liberato, aveva estratto da uno dei
suoi vani multiuso per legarsela attorno a una ferita profonda sulla coscia che
sanguinava copiosamente.
La tuta lacera mise in mostra il marchio aberrante che
gli percorreva il fianco destro. Si rimise dritto, guardò gli altri e poi voltò
loro le spalle, avviandosi zoppicando al montacarichi.
«Siamo delle emerite teste di cazzo.»
Nessuno lo contraddisse, seguendolo.
La risalita del montacarichi fu altrettanto lenta e
silenziosa della discesa di un meno di un’ora prima, silenzio rotto solo dai
cigolii sinistri delle corde e degli ingranaggi che li risollevavano al secondo
livello della città, nel Focolare di Bolderyn e, più precisamente, nel retro
delle cucine del “Velluto”, il locale di Ellenshan, l’elfo.
Elfo che li guardò con scherno quando li vide entrare
con i vestiti stracciati e laceri, coperti di polvere e feriti in più punti dai
calcinacci che volando per l’esplosione avevano loro graffiato la pelle.
«Sharmaxdrar, vai a chiamare Cora. Non voglio che quel
changeling mi macchi il tappeto. Viene dagli Emirati, mi è costato una
fortuna.»
«Sempre simpatico, elfo, eh?»
Ellenshan ridacchiò alla domanda acida di Sylvion, che
si sedette senza tanti complimenti su una poltroncina in pelle dello studio del
mafioso, sbattendo poi le mani sulle braccia per liberarsi della polvere e
ghignando soddisfatto quando vide gli occhi neri del padrone di casa
lampeggiare pericolosamente infastiditi.
Si fissarono a lungo, in una sfida silenziosa e un
brivido gelido percorse la schiena di Anat.
«Cosa avete combinato, laggiù? La terra ha tremato.»
La domanda dell’elfo fu pacata, ma il tono di scherno
celava a fatica la curiosità che lo pervadeva. Anat storse le labbra,
lasciandosi cadere a sua volta su un’altra poltrona, sollevando anche lei una
nuvola di polvere che andò a velare quanto la circondava, tappeto prezioso compreso.
Un lieve bussare interruppe la discussione e subito
dopo un’elfa entrò con un vassoio con boccette varie, un bacile d’acqua e delle
bende.
«Ottimo.» Ellenshan indicò Sylvion e lei, dopo un
mezzo inchino, si mise in ginocchio davanti al changeling. Senza guardarlo in
volto prese delle forbici e iniziò a liberare la gamba del ferito per procedere
poi a pulire la ferita.
«Allora? Cosa è successo dabbasso?» Chiese infine
l’elfo e vedendo lo sguardo di Lorian puntarsi su Cora sorrise affabile.
«Tranquilli: è sorda.»
Fu Anat a rispondere, dopo essersi sporta verso il bar
per impossessarsi di una bottiglia di pregiato cognac da cui bevve una dose
generosa di prezioso liquore. «Ti abbiamo liberato di una cinquantina di
problemi. E di Jekis.»
«Oh. Splendido. Vi fornirò una via di uscita.»
«Peccato tu non abbia ascoltato il mio consiglio,
elfo.»
«Ero in procinto di farlo, cane, ma poi la terra ha
tremato ed ero curioso di sapere cosa stesse succedendo.»
«Non ora.»
L’elfo inarcò un sopracciglio all’intromissione di
Lorian su una seconda bevuta della morfica direttamente dalla bottiglia. Non
distolse lo sguardo dalla donna, disapprovando chiaramente il suo gesto, pur
restando ignorato da tutti. «Ah, ma davvero?»
L’artefice si guardò intorno, prese una sedia e si
sedette con un sospiro. «Hanno messo dell’altro esplosivo a Palazzo Cannith.»
«Oh, che peccato.»
«Soprattutto perché, se ho ben capito, ne hanno messo
a sufficienza per far saltare tutta la città.»
«Uhm. Grazie dell’informazione. Sharmaxdrar!!»
Anat rise. «Hai scoperto all’improvviso di avere fretta?»
«Non ho voglia di vedere se la teoria del tuo amico è
vera.»
«E invece dovrai farlo.»
«Pensi di ordinarmelo tu?»
«Eh, già.»
L’altro rise, Anat bevve. Lorian si pose una mano
sulla testa. Cominciava a dolergli sempre più forte, a causa del brutto colpo
ricevuto con l’esplosione.
«Dobbiamo andare su. A Palazzo Cannith.» Disse Fender
piatto.
«Siete dei pazzi, lo sapete?»
«Lo sappiamo. Ahia!» L’esplosione di Sylvion lasciò
del tutto indifferente l’elfa che lo stava curando. Con un urlo così, nelle
orecchie, avrebbe dovuto quanto meno bloccarsi per un attimo, ma lo fece solo
quando la mano del changeling fermò la sua in una stretta ferrea. «Mi – stai –
fa – cen – do – un – ma – le – del – la – ma – lo – ra!»
Scandì bene in faccia le parole e lei si limitò ad
annuire stringendosi nelle spalle. Mimò qualcosa con le mani, o almeno tentò di
farlo visto che lui ancora la bloccava, che Ellenshan interpretò per lui: «Sta
cercando di dirti che non può farci niente, il disinfettante brucia e dovrai
stringere i denti. Dice anche che ci vorrebbero dei punti.»
«Ne ho le palle piene di farmi ricucire!»
Mollata la presa sul polso della donna che lo stava
curando, Sylvion si abbandonò a un gesto di stizza, mordendosi l’interno della
guancia.
Ellenshan tornò ad appuntare i suoi occhi di ossidiana
sulla morfica, per trovarseli pericolosamente vicini. Non saltò indietro per il
ferreo autocontrollo che esercitava su se stesso in continuazione, ma non
dubitava che un movimento tanto rapido e silenzioso incutesse nei più quel
sacro timore reverenziale che da oltre dieci anni era associato al nome del
Lupo delle Lande.
«Non sei troppo vicina?»
«Direi di no. Sei a portata di artiglio e non ho né
tempo né voglia di giochietti insulsi. Portaci su e poi sparisci, altrimenti ti
cavo il cuore dallo stomaco come ho fatto con quella feccia di Jekis.»
«Non mi mancherà. Jekis. Il mio cuore, invece,
di quello sì potrei sentire la mancanza.»
«Allora sai cosa devi fare.»
Occhi negli occhi, elfo e morfica condussero uno
scontro silenzioso di volontà. Alla fine Ellenshan chinò con grazia il capo e
chiamò: «Sharmaxdrar! Prepara la gondola!»
Anat per poco non uggiolò di terrore e l’elfo sorrise
divertito. «Prendere o lasciare, generale.»

Dopo un’ultima occhiata dura e un secco cenno la
morfica voltò le spalle al malavitoso e, passato un braccio sotto le spalle di
Sylvion, lo aiutò a muoversi mentre il changeling si frugava le tasche alla
ricerca delle boccette di pillole che gli avevano dato all’hospitale Jorasko.
Fortunatamente non le aveva gettate e, senza badare troppo al numero e al
colore, se ne cacciò in bocca un bel po’ e allo sguardo quasi preoccupato
dell’artefice sorrise bieco, chiosando: «Quel che non uccide, ingrassa. E poi,
troviamo sempre modi molto più fantasiosi per farci ammazzare, noi.»
Sharmaxdrar non distolse nemmeno per un secondo lo
sguardo dalla schiena impolverata della donna, seguendo poi il gruppo fuori
dall’ufficio di Ellenshan e infine fuori dalla porta posteriore del locale.
Continuò a guardarla anche quando la sentì vomitare
una sequela fantasiosa di imprecazioni mentre la gondola si sollevava alla
volta del terzo livello di Sharn e Fender la teneva bloccata sul fondo
dell’imbarcazione volante.
«Tutto pronto per la partenza?»
«Sì, capo. Tutto pronto. Posso prendere licenza?»
«No. Adesso sarebbe decisamente la peggiore
stupidaggine che tu possa fare.»
«Ma… ma lei è…»
«Io lo so chi è, Sharmaxdrar. Ma sembra che sia tu ad
averlo dimenticato.»
Con un sospiro l’elfo si voltò a guardare con occhi
tristi il datore di lavoro. «No, capo. Non l’ho dimenticato. Come non l’hai
dimenticato tu.»
L’altro annuì e dopo un’ultima occhiata alla notte
stellata e aver contato sei lune in cielo, scrollando le spalle si avviò per il
vicolo mentre si chiudeva l’impermeabile nero addosso. Dopo pochi passi
Sharmaxdrar lo seguì, mettendosi in spalla uno zaino, al pari di Ellenshan che ne
aveva raccolto uno uguale da dietro un cumulo di macerie sistemate ad arte per
poi, semplicemente, andarsene.
Il gondoliere, abituato alle stranesse del Phiarlan e
a trasportarlo ovunque nel Breeland alle ore più insolite, fu abile a manovrare
la nave volante evitando tutti i controlli e la fece scendere nella piazza
antistante il Palazzo dei Cannith.
Come i viaggiatori inzaccherati furono scesi fece
ripartire velocemente la nave e scomparve nel cielo, puntino luminoso mescolato
alle stelle di sfondo.
Si avviarono a passo rapido al portone e quando si
resero conto che alla magia di Lorian questo non si apriva, si aprirono ad ala
per lasciar passare il forgiato. Fender, con tutta la possanza dei modelli
astrocarrier, lo sfondò con un colpo solo ed entrò per primo.
Lorian si intrufolò subito dopo e si avviò a un
cristallo verde di comunicazione posto sulla parete accanto all’uscio. Subito
sotto ve n’era uno rosato che reagì al suo tocco e si accese di vari puntini
luminosi che cambiavano disposizione ogni volta che toccava il cristallo.
Soddisfatto della conta e della posizione, sfiorò con sicurezza l’adiacente
cristallo latteo e iniziarono a sentire le chiavi girare nelle toppe in uno
strano concerto.
«Che hai fatto?»
«Ho attivato il sistema di sicurezza Kundarak
sigillando tutte le porte. Ho imprigionato dentro tutti i Cannith, così saremo
liberi di agire indisturbati.»
«Ma così moriranno tutti se falliamo.»
Lorian Artimagius si strinse nelle spalle. «Se
falliremo non avrò modo di rimpiangere questa mossa, non credi?»
Scrollando le spalle Anat cominciò a guardarsi intorno
alla ricerca della bomba piazzata da quel mostro che si era presentato come
padre di Lorian. «Serve più luce, Lorian.»
Prontamente l’artefice piazzò il palmo della mano su
un cristallo e la luce scese dall’alto inondando la vertiginosa volta a cupola
che saliva in un mirabile vuoto fino in alto. Tutto intorno alla struttura
della torre centrale correvano scale e corridoi sui quali si aprivano le porte
dei vari appartamenti, cinque o sei per piano.
«Dove possono averla piazzata?»
Lorian rimase a pensare un attimo, poi la sua testa si
alzò verso la volta, oscurata dall’enorme pendolo oscillante che scendeva dal
soffitto e che era agganciato in alto da delle corde di acciaio ai parapetti
del sessantesimo piano.
«Tu dove la metteresti, Anat?»
«Se il mio intento fosse quello di aprire una voragine
per la risalita di Khiber nel punto nevralgico della struttura in modo da farla
collassare su se stessa e con il peso e la magia aprire un varco verso il
sottosuolo, altrettanto minato.»
Lorian annuì. «Allora è lassù.»
Si lanciarono tutti e quattro verso l’ascensore che in
pochissimo tempo li portò verso la vetta, fino al sessantesimo piano.
«Considerando l’altezza e la tempistica, secondo il programma la bomba di Jekis
sarebbe dovuta scoppiare tra…» Lorian guardò in alto, verso una finestra alta e
stretta che lasciava lo sguardo libero di accedere al cielo dal piano a cui
erano giunti e concluse: «Non più di un minuto o due. E stando ai miei calcoli
quella forgia che abbiamo distrutto era piazzata proprio sotto le fondamenta di
questa torre.»
Indicò ai compagni la sfera sospesa e tutti videro le
cariche. «Se quelle esplodono, la sfera cade e la struttura imploderà,
crollando a seconda di dove tira il vento. A queste altezze il vento è molto
forte e il palazzo oscillerebbe incrinando la roccia e il cristallo con cui è
stato costruito. Quella sfera funge da contrappeso, oscillando internamente e
bilanciando in questo modo le pressioni esterne sulla struttura, impedendole di
frantumarsi.»
Mentre l’artefice parlava, avevano fatto il giro e
contato le cariche. Erano tre e tutte piazzate sul sistema di aggancio al
tetto.
Anat le studiò, tenendosi come aveva fatto per tutto
il percorso a distanza di sicurezza dal parapetto. Ancora sudava freddo per
l’esperienza in gondola prima e in ascensore poi, dove aveva dovuto chiudere
gli occhi per non cedere alla tentazione tipica di tutti quelli che soffrivano
di vertigine di guardare giù per il condotto trasparente in cui l’ascensore si
muoveva.
Purtroppo non aveva idea di come fare a liberare le
cariche e per disinnescarle di tempo non ce n’era. «Lorian, non c’è modo di
intervenire in tempo. Non ce la possiamo fare… Anche se Sylvion riuscisse a
recidere i supporti…»
«Non posso farlo, Anat! La gamba non mi regge, cazzo,
finirei per tentare un volo che non mi va di fare!»
La rossa morfica scosse sconsolata la testa e
concentrata com’era a rimirare la desolante sconfitta fu presa alla sprovvista
dal forgiato che, sollevatala per i fianchi, letteralmente la lanciò nel vuoto.
L’urlo della donna fu disumano e le unghie della
stirpe mannara graffiarono il metallo dolce e pesante di cui era composta la
sfera stabilizzatrice.
«Lorian, apri il finestrone! Anat sgancia quegli
affari e lanciameli!»
Fender, graziato dall’assenza di emozioni che
bloccavano i più di quegli esseri mortali, aveva preso in mano la situazione.
Lorian, confidando nel forgiato per istinto, racimolò fino all’ultima stilla di
forza per incanalare il potere della creazione Cannith, accolse con una
benedizione il bruciore alla spalla lussata risistemata alla meglio
nell’ufficio di Ellenshan e poi lasciò uscire il potere lungo la parete, su per
la grande finestra che si sciolse liquida verso il cielo.
Bloccata dal terrore di scivolare, Anat impiegò un
secondo di più a reagire, quindi sentendo il metallo più duttile di quanto si
potesse immaginare, piantò salda le unghie da stirpe mannara e si trascinò fino
al sistema di aggancio che teneva sospesa la sfera.
«Fa in fretta, rossa!» La esortò Sylvion, che aveva
compreso il piano del forgiato. «Muovi quel tuo culo peloso, per Khiber!»
Anat non replicò, concentrando tutti i suoi sforzi a
non pensare al vuoto cosmico che l’avrebbe inghiottita in una caduta
all’apparenza senza fine e che invece sarebbe terminata con il suo corpo
schiantato in un lago di sangue sessanta piani più in basso.
Il lampeggiare delle rune diventava sempre più
frenetico man mano che vi si avvicinava, strappò con le unghie con i denti, in
un ringhio rabbioso, le corde che fissavano le tre potenti cariche e le lanciò
al forgiato che, presele al volo, con un possente urlo che riecheggiò nella
torre, le lanciò fuori dall’apertura praticata da Lorian nella finestra.
Le cariche esplosero fuori dalla torre, facendo
schizzare i vetri delle finestre all’interno in una pioggia tagliente che
investi in pieno i quattro. Lorian e Sylvion si ripararono per tempo dietro al
possente forgiato, mentre Anat si appiattì sulla sfera scivolando
pericolosamente in basso, verso un punto di non ritorno.
Assordata e disorientata da una seconda esplosione che
martellò i suoi sensi in modo altrettanto devastante della prima, la morfica
perse la presa sul metallo duttile, le unghie lo scalfirono mentre il suo
corpo, per l’incontrastabile legge di gravità che voleva tutti gli oggetti e i
corpi ancorati saldamente al terreno, scivolava inesorabilmente verso un salto
nel vuoto che male si accordava con il suo spirito.
«Oh merdaaa!!»
Passato il fragore, quando finalmente l’udito riprese
a funzionare, Lorian e Sylvion guardarono alla volta della sfera, ma non
trovarono Anat.
«Oh, cazzo, stavolta ce la siamo giocata sul serio.»
Si mossero rapidi lungo il corridoio che correva in
tondo attorno alla sfera e tirarono un sospiro di sollievo al vederla appesa a
una delle corde di ancoraggio per evitare che le oscillazioni della sfera
diventassero troppo grandi e producessero più danni che benefici.
Era appesa per le mani, la testa buttata all’indietro
e gli occhi serrati forte, mentre le labbra mormoravano silenziose quella che
sembrava una reiterata preghiera e che, una volta recuperata con una serie di
corde la compagna, scoprirono invece essere una litania di imprecazioni e
maledizioni una più fantasiosa dell’altra.
Poi Anat, semplicemente svenne dopo aver vomitato sul
pavimento ricoperto di frammenti e si riprese solo in seguito, tra le braccia
del forgiato che la stava trasportando verso l’appartamento di Lorian.
Crollarono, artefice, morfica e changeling, seduti
sulle poltrone di pelle, sfiniti e provati come non mai. Lorian quasi non si
reggeva in piedi per lo sfruttamento di tutte le sue energie a convogliare il
potere magico, Sylvion aveva ripreso a sanguinare copiosamente dalla ferita
alla coscia e Anat era pallida e ancora tremante per quella che, avrebbe
ricordato in futuro, come l’esperienza più terrificante della sua vita.
«Beh, ce l’abbiamo fatta. Sharn e il Khorvaire sono
salvi.» Biascicò lei.
«Tutto il mondo lo è.» Rispose Sylvion. «Vuoi vedere
che adesso siamo anche dei fottuti eroi?»
«Ne dubito. Domani, appena si riprenderanno un poco,
le guardie riprenderanno a darci la caccia.»
«Lorian, ma chi se ne frega! Lasciali pure dare la
caccia, tanto inseguiranno solo dei fantasmi… con l’esplosione che c’è stata e il
quantitativo industriale di sangue presente laggiù, faranno presto a
considerarci belli che morti.»
L’artefice annuì all’ipotesi verosimile del
changeling. Ipotesi che avrebbe potuto avvalorare in fretta con qualche piccolo
pettegolezzo che in capo a un paio di giorni si sarebbe ingigantito a dovere.
«Beh, tanto quello che dovevamo fare qui, lo abbiamo fatto. Non so voi, ma io
mi fare volentieri un bagno e un gran sonno.»
«Approvo, mastro Cannith.» Borbottò la morfica, ancora
pallida come un cencio. «Se ci fosse anche qualcosa da mangiare te ne sarei
grata, visto che non ricordo più quando ho fatto un pasto decente da quando sono
arrivata in questa schifosa città.»
Gli altri annuirono, troppo stanchi per stuzzicare o
prendere in giro chicchessia. Alla fine, con gemiti di dolore e stanchezza,
Lorian si alzò. «Bene, io vado. I Cannith sono prigionieri qui dentro e non
daranno fastidio, il sigillo kundarak che è stato fatto installare in questo
palazzo sigilla anche le finestre. Ecco perché ho fatto così fatica prima… per
non parlare di tutto il resto. Domani rinnoverò il blocco e poi quando sarà il
momento ce ne andremo.»
Anat lo imitò, al pari di Sylvion, ed entrambi si
lamentarono delle ferite e delle ammaccatture, ingigantite dalla stanchezza che
stava prendendo velocemente il sopravvento.
«Le guardie di Sharn non entreranno con il portone
sfondato?»
«Con il sigillo attivo? Non entra e non esce nessuno
dal palazzo per quindici ore. Siamo al sicuro.» Li rassicurò Lorian, poi tutti
si avviarono alle camere assegnate dall’artefice il giorno del loro arrivo in
quella casa.
«Abbiamo un’ultima cosa da fare…» Disse Sylvion,
fermandosi sulla porta della stanza.
Anat e Lorian lo guardarono, voltandosi verso di lui.
Annuirono contemporaneamente, quindi Anat sospirò, proponendo: «Domani?»
«No, tra tre giorni.» replicò il Cannith sfinito. Vedendo
gli sguardi opachi spiegò: «Quando si saprà della nostra “dipartita” e della
mia in particolare, molti Cannith si riuniranno qui per le esequie funebri. Tra
tre giorni, il tempo tecnico perché arrivino i Magi più potenti da tutto il
Khorvaire.»
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