RACCONTO: Fate of Eberron - 17
Il montacarichi scese a una velocità sconsolante, ma
il gruppetto non emise un fiato e i due guardiani del “Velluto” si guardarono
bene dall’attaccare bottone. Il silenzio regnò sovrano, spezzato solo dal
ronzio del globo luminoso e da qualche schiocco saltuario del montacarichi che
saltava durante la sua discesa.
Paradossalmente, Anat era particolarmente tranquilla,
in virtù del fatto che comunque erano su una struttura chiusa e ben fissata a
delle corde che ne consentivano discesa e salita tra un livello e l’altro di
Sharn. Lorian sogghignò di nascosto, chiedendosi se fosse il caso di farle
notare che se le corde si spezzavano si sarebbero sfracellati al suolo dopo una
lunga, lunghissima caduta in una specie di gabbia per topi. Meglio di no, si disse poi. Sarebbe capace di distruggere tutto per il
panico.
Alla fine dell’interminabile corsa, i cinque scesero e
i due guardiani rimasero ai lati del montacarichi. «Noi vi aspettiamo qui. Se
entro un’ora non sarete qua noi risaliremo.»
«Cazzo, e noi?»
Iago, per la prima volta, sorrise e fu una crudeltà
contro natura lasciarglielo fare. «Sarete fottuti. La cosa non è che mi tocca,
sapete?»
Con un esemplare gesto di un solo dito di Anat e
Sylvion, il medio alzato a rispondere a quella provocazione, il gruppo si
inoltrò nel sottobosco rumoroso e assordante del livello più infimo di Sharn.
Nel suo cuore pulsante.
Enormi ruote dentate, pistoni, valvole e sistemi a tre
vie regolavano nei due livelli soprastanti temperatura delle case,
illuminazione, diramazione del sistema idrico. Passando accanto a una tubatura
enorme, il cui diametro sarebbe stato coperto da tutti loro messi in piedi uno
sopra l’altro, un fetore di fogna li avvolse.
«Merda… che puzza.» L’olfatto finissimo della morfica
quasi la costrinse a fermarsi per vomitare.
Fu Lorian a dare le spiegazioni del caso: «Questo è il
condotto fognario principale, tutto quanto viene buttato nelle fogne di Sharn
confluisce qui, passa dalla forgia fondamentale là sotto e viene trasformato in
vapore per muovere i meccanismi principali che assicurano un costante
approvvigionamento di acqua ai livelli superiori, specialmente al primo.»
Tutti avevano seguito il dito di Lorian, che indicava
il percorso. «La temperatura viene invece regolata da una fonte geotermica
scoperta quando la città fu fondata.»
«Stai dicendo che Sharn non è su una montagna, ma su
un vulcano?»
«Esattamente.»
«Con il rischio di farla esplodere?»
«La magia Cannith ha generato questo livello
appositamente per tenere sotto controllo le frequenti eruzioni. Sono proprio
queste a fornire l’energia utile per il sistema di illuminazione del primo
livello e per quello termico di entrambi. Addirittura, al primo livello
l’intera pavimentazione della città è un sottobosco di tubature che convogliano
il vapore ad alta pressione qui generato, per tenerla calda e creare una
corrente ascensionale di modo che i venti freddi non spazzino mai la città.»
«Ecco perché mi sembrava che la strada fosse calda
sotto!» Esclamò Anat.
«Infatti.»
Le spiegazioni erano state urlate, mentre proseguivano
guardandosi intorno, attirando l’attenzione di molti se non tutti i presenti:
uomini, gnomi, mezz’elfi e forgiati che erano ricoperti da una velatura scura e
nera della fuliggine.
«Cosa facciamo, adesso?» Chiese, sempre urlando,
Jekis. «Non sappiamo affatto cosa e dove cercare e poi chiunque di questi qua
potrebbero essere quelli del progetto M. AR. CU. S.»
«Non sono changeling.»
«Come fai a dirlo, pellegrigia?»
«Perché io sono un changeling e so riconoscere la
differenza. E mi chiamo Sylvion, anche se il mio nome detto da te mi fa venire
il voltastomaco.»
«Allora continuo a chiamarti pellegrigia. Almeno così
non sei troppo delicato di stomaco.»
«Fottiti.»
«Naaa… preferisco che a farlo sia una di quelle elfe
di sopra.»
«Smettetela, cazzo. Sembrate due ragazzini!» Li
rimproverò il forgiato con voce roboante per superare il frastuono imperituro
di quel livello.
Gli rispose un silenzio offeso, per quanto potesse
esserci silenzio. Anat si guardava intorno smarrita e il forgiato le sfiorò una
spalla, prendendola poi per il gomito e sorreggendola nel camminare quando si
accorse che faticava a mantenere l’equilibrio. La morfica non era quasi in
grado di pensare in tutto quel frastuono e Fender immaginò che per i suoi sensi
più sviluppati tutto quel rumore e quell’odore dovevano essere un tormento.
La vide mormorare qualcosa a fior di labbra, suono
inudibile in quella cacofonia di ingranaggi stridenti, comandi urlati e tonfi,
gli piacque pensare che lo stesse ringraziando. Dopotutto gli amici servivano a
questo: aiutarsi nel momento del bisogno.
Lorian seguì un tragitto che sembrava conoscere agli
occhi degli altri, quindi a un certo punto, a una serie di deviazioni attigue
si strinse la radice del naso tra due dita cercando di pensare. Non era facile
in tutto quel casino e per un attimo rimpianse di non essere dentro la sua
piccola forgia, nascosta proprio in quel livello. Sapeva che ce n’era almeno
un’altra, ma non era mai riuscito a scoprire altro né tantomeno sapeva quale
dei Cannith che risiedevano a Sharn la detenesse, sebbene fosse propenso a
credere che fosse proprio del Sommo Lord Cannith di Sharn.
Doveva trovare suo padre.
Doveva trovare la fonte di potere di una forgia
clandestina così ben occultata da non sembrare esserci.
Doveva trovare… un nucleo di energia allo stato puro,
quindi un punto di accesso al vulcano e alla potenza geotermica che esso
sviluppava. Si concentrò, ignorando lo sguardo di tutti puntato su di lui, era
certo che almeno la metà dei lavoratori presenti lì e che passavano veloce con
fare indaffarato fossero changeling di quel fantomatico progetto.
Invocò il potere magico, lasciò che gli scorresse
nelle vene ubriacandogli il sangue, rendendolo ebbro di forza, lo plasmò e lo
incanalò in un’invisibile rete di ricerca che partì da lui in tutte le
direzioni come fili di ragnatela brillanti di rugiada nell’oscurità del primo
mattino, rischiarata poco e male dalle luci artificiali di quel livello
sotterraneo.
I fili di ragnatela magica si dissolsero mano a mano
che mancavano il loro obiettivo, spegnendosi con uno sfarfallio commovente per
la bellezza e la sensazione di benessere e forza che gli avevano donato e
altri, che avevano trovato la sua preda, assunsero ai suoi occhi dorate
sfumature cremisi. «Andiamo.»
Nessuno era riuscito a percepire il sussurro, ma tutti
avevano avvertito il potere mistico nell’aria, quel pizzicore sulla pelle che
fa rizzare i peli come una gelida carezza del vento invernale. Quando Lorian si
mosse sicuro in una direzione che li allontanava dal condotto principale, il
resto del gruppo lo seguì con tutti i sensi all’erta.
Arrivarono a uno spiazzo vuoto, malamente illuminato.
Lì finivano le ragnatele di magia e lì Lorian trovò il
niente.
«Dove, adesso?» Gli chiese Jekis, una luce
indecifrabile negli occhi grigi contornati da quella pelle rugosa come il cuoio
invecchiato.
«Qui!» Rispose l’artefice.
Se non altro, in quella zona non era necessario
gridare per sovrastare il rumore, che giungeva loro abbastanza attutito dai
vari macchinari, pannelli e colonne che avevano passato.
«Non c’è niente qua!»
«Eppure è qui. Non ho sbagliato.»
«Usa la magia, artefice. O sei buono solo per creare
onde di roccia e volare via quando i casini si fanno grossi?»
Lorian guardò Jekis con aria di rimprovero e
sospettosa, ma si limitò a replicare: «Se non avessi usato la magia di ricerca
non saremmo arrivati qui.»
Anat, che aveva atteso le si snebbiasse la mente da
tutto quel frastuono, prese atto dell’ennesima stranezza.
Se due coincidenze fanno un indizio, tre indizi fanno una prova. Cazzo. Il pensiero fuggì via, mentre arpionava Jekis per il collo e lo voltava
verso di sé, sorridendo truce: «Dì un po’ capitano… perché invece di sbraitare
tanto non ci indichi tu la via?»
L’ambiguità della domanda fu voluta e come da
previsione quell’uomo colse il significato sbagliato. Un forte odore di metallo
mischiato al rancido del sudore e ai rimasugli della fogna che avevano attraversato
per fuggire da Punta di Spada le investì le narici, facendogliele arricciare. Ecco il terzo indizio. Beccato, stronzo,
pensò trionfante, lasciando che quel senso di trionfo trapelasse fugace dallo
sguardo.
Jekis si guardò intorno, poi vide quello che sembrava
cercare e casualmente buttò là: «Quel coso… che roba è?»
Stava indicando un cilindro che emergeva dal pavimento
a una quindicina di metri da loro, coperto da macerie di varia natura.
Lorian lanciò un’analisi magica e trovò infine la vera
fonte della sua ricerca precedente. «è
quello!»
«Cos’è?» Gli chiese Fender.
«Sembra un attivatore.» rispose frenetico l’artefice,
mentre lo liberava.
«Attivatore? Di cosa?» Chiese Anat, guardandosi
intorno. E sgranando gli occhi quando ai quattro lati, come animati di vita
propria, si alzarono dal terreno quattro pannelli enormi racchiudendoli in una
prigione.
Il tonfo dei pannelli che cozzavano tra di loro e del
quinto che tappò la struttura facendoli piombare nel buio più assoluto sovrastò
ogni singola bestemmia uscita dalle labbra di ciascuno.
Nell’oscurità assoluta gli occhi di Anat iniziarono a
baluginare rossi e grondanti come sangue. Una ventata improvvisa li investì,
costringendoli ad arretrare fino a quando non si trovarono con le spalle al
muro, nemmeno la struttura massiccia del forgiato riuscì a contrastare quella
potenza, quindi si levò dal nulla una risata, grondante trionfo e potere.
«Ma benvenuti, figlioli.» Disse la voce.
Nel buio che pervadeva quel cubo si accesero segni
mistici sul metallo, archi e onde e incroci magici, disegni alchemici e rune di
potere. Poco a poco, nello scarso lucore, i compagni videro altre pareti
sorgere con tempi diversi e con posizioni all’apparenza insensate a costruire
un dedalo all’interno di quella loro prigione.
«CHI SEI!?» Sbraitò Anat, livida di furore per essersi
lasciata prendere di sorpresa a quel modo.
Jekis accanto a lei sorrise, quasi rise, nascosto
dalle pieghe di una luce grigiastra non bastevole, ancora, a delineare tutti i
dettagli.
Lorian, visibilmente pallido agli occhi di Sylvion,
sentì tremare il labbro inferiore, mentre quello superiore gli si imperlava di
sudore. «Lorian?»
«è… oh,
per Siberys! È lui!»
«Lui chi?»
«Lui… lui… mio padre!»
La luce si accese forte e bianca all’improvviso e in
tutto quel bianco il silenzio sembrava irreale.

E dalle quali uscirono una cinquantina di changeling
vestiti come Marcus, il Trovatutto, scatenando le reazioni immediate di tutti:
Anat e Sylvion sfoderarono le loro lame, Fender cominciò a stringere
ritmicamente le dita, Lorian estrasse da una tasca una specie di mazza che
iniziò a illuminarsi in reazione al bagliore che giungeva da sotto il suo
vestito, in corrispondenza del marchio del drago, tutti e quattro spalla a
spalla, a chiudere un cerchio come un sol uomo contro un intero esercito nemico.
Jekis, con calma flemma, si infilò tra i changeling e
si inoltrò in quella luce. «Mio Creatore, eccomi.»
«Ottimo lavoro, Jekis. Vieni, sii pronto.»
Quelle parole lasciarono attoniti i quattro amici.
Creatore? Lavoro?
«Che cazzo vuol dire, tutto questo, Jekis?!»
L’uomo rise di una risata senza allegria, i changeling
si spostarono per lasciargli spazio mentre si spogliava della casacca mettendo
in mostra il torace. O, quanto meno, quello che doveva esserlo.
«Come immaginavo.» Sussurrò Sylvion e Anat annuì
freddamente.
Dal gomito destro il braccio era un insieme di cannule
e tubi di legno e fibre e si innestavano nella spalla di metallo lucido che
ricopriva metà del petto e scendeva con punte a diverse altezze fino
all’addome.
La voce parlò di nuovo, riverberando il silenzio di
sogni e dolore: «è tempo di dare
inizio al nuovo corso della storia, a un nuovo mondo. Alla rinascita di Khiber,
al risveglio di Siberys e al sacrificio di un nuovo Eberron.»
Il cubo in cui erano imprigionati iniziò a scendere e
Jekis si trovò su una piattaforma che lentamente si innalzava.
A braccia spalancate, un sorriso soddisfatto e felice
in volto, Jekis sollevò la testa a guardare la luce accecante verso cui saliva
lentamente. «Sono pronto, mio Creatore!»
Ellenshan stava recuperando velocemente le carte,
aiutato da Sharmaxdrar. Preparavano i bagagli.
«Sarò saggio abbandonarli al loro destino?»
«Umpf.»
«Capo, non pensi che potrebbero volersi vendicare?»
«A Valenar abbiamo un’altra sede, è tempo di andare a
vedere come girano gli affari laggiù.»
«Capo, sta cosa ha tutto il sapore di una fuga.»
Ellenshan sorrise, chiudendo un cassetto. «Non ancora,
Sharmaxdrar. Non ancora.»
«Non capisco.»
«Senti?»
«No, cosa?»
L’elfo, un drow se non nell’aspetto certamente negli
atteggiamenti, sorrise. «Fai trasferire le ragazze, non voglio corrano rischi
inutili.»
«A Valenar la loro presenza potrebbe essere un
problema.»
«Pagheranno bene per farsele più che da altre parti.
Sai come sono gli elfi…»
«Ma capo…»
«Sharmaxdrar… smettila di contraddirmi. Mi sto
infastidendo. Tutto procede come concordato. Va bene così.»
La voce melliflua dell’elfo fece tremare il suo
servitore. Ellenshan si sedette alla scrivania, posando la testa contro l’alto
schienale imbottito della sua scranna sospirando.
Agognava ancora quella sensazione di unione.
Agognava a tornare un tutt’uno con il mondo, con le
aspirazioni e con le emozioni del gruppo. Entrare in quella rete gli aveva
permesso di radunare tutti, ma ora ne pagava le conseguenze. Rabbrividì,
stringendosi non visto nella solitudine del suo studio in un abbraccio
solitario, mentre la magia lo raggiungeva a sprazzi dal sottosuolo.
Aveva preparato tutto, ora doveva andarsene e, poi, attendere.
«Che cazzo vuol dire tutto questo?» L’esplosione di
rabbia della morfica fece da contralto alla reazioni di Sylvion e quattro teste
caddero rotolando sul pavimento, mentre i corpi venivano raccolti dai compagni.
Fu chiaro però che la decapitazione aveva procurato un qualche tipo di dolore
anche a tutti gli altri, lo comprese Sylvion vedendone le smorfie.
Cominciarono a parlargli, tutti insiemi, componendo le
frasi con voci diverse, ma seguendo tutti lo stesso pensiero.
«Unisciti a noi»
«Sylvion»
«Vedrai che non te ne pentirai»
«Finalmente parte di qualcosa»
«Non più solo»
«Compreso»
«Non abbandonato»
«Un’unica mente per sopravvivere e vivere appieno»
«La tua vita e quella»
«Dei tuoi compagni.»
Sylvion si prese la testa tra le mani, sopraffatto da
quel coro che, in definitiva, sentiva solo lui, solo nella sua testa. Gli
altri, se non altro, erano al sicuro. Si rannicchiò gemendo, incapace di
contrastare quei pensieri che sembravano scavargli nell’anima alla ricerca di
quello che aveva sempre desiderato e mai davvero trovato.
Anat ringhiò alla volta di Jekis in lenta ascesa e
dietro di lui un brillio sconcertante.
Lorian riprese presenza di sé: «Padre!! Padre dove
sei? Cosa fai?»
Lo scintillio alle spalle di Jekis sembrò accentuarsi.
«Lorian figliolo… sapevo che mi cercavi. Ma sarai pronto ad accettarmi?»
«Padre… ti ho cercato per tanti anni…»
«Lo so. E ora era il momento di farmi di nuovo
avanti.»
Lorian riconobbe allora i segni che aveva visto
formarsi sulle pareti di quel cubo quando si era appena chiuso. I segni magici
della forgia. Erano all’interno di una forgia di creazione… lì aveva preso vita
il forgiato che avevano bloccato dopo l’esplosione della torre Cannith. «Padre…
cosa vuoi fare?»
«Rimodellare il mondo, figliolo.»
«Come?»
«Qui siamo al sicuro, sprofondando al centro del
vulcano su cui posa Sharn daremo via al nuovo corso di questo mondo e
scenderemo fin nel profondo, nelle viscere più nascoste e il sacrificio di
Jekis cancellerà la superficie così come noi andremo a cancellare il
sottosuolo. Khiber sarà il nuovo Eberron e il mondo muterà di nuovo aspetto.»
Anat digrignò i denti. «Vuoi fare del Breeland ciò che
ha fatto del Cyre?»
«Generale… come in tutte le guerre alle volte ci sono
delle perdite necessarie. Vi ho riunito qui proprio perché ritengo che, come
tutti gli esemplari di M. AR. CU. S., siate gli unici degni di risorgere con me
come nuove divinità in terra.»
«In una terrà ridotta a una Landa Gemente?»
«La cosa non vi interesserà… Quando Khiber risalirà a
sostituire Eberron tutto il Khorvaire, tutto il mondo sarà un’eterna Landa
Gemente! È così che potremo vivere in eterno, unici padroni di questo mondo!»
Sylvion stava ancora lottando contro la mente che gli
stava trapanando il cervello cercando di forzare le sue resistenze. A un certo
punto esplose: «Andate all’inferno tutti quanti!»
Per un po’ le voci si zittirono e in quello Lorian
comprese. «Incantesimo animato.»
Gli altri lo guardarono interrogativamente e
l’artefice spiegò, con una vena di tristezza nella voce: «Non è più umano. Non
è più nulla.»
«Io sono il padrone incontrastato dei Forgiati.»
Fender rise. «No, direi di no.»
«Come osi? Inchinati al tuo creatore!»
Fender guardò il baluginio luminoso, argento su
bianco, rimpiangendo di non avere la possibilità di espressione. Sarebbe stata
di scherno puro. «Ma fammi il piacere. Ragazzi, che dite se ce ne andiamo da
qui?»
«Approvo, lattina. Prima però mi sa che dobbiamo
fermare qualcosa.»
Sopra al piedistallo che stava sollevando Jekis verso
l’alto soffitto si stava aprendo una botola. «Che cazzo vogliono fare?»
«Ragiona, lupo. Qual è il centro di potere vero e
proprio di Sharn?»
Fu Sylvion a rispondere: «Palazzo Cannith.»
«Ma se ha appena detto…»
«Sì ragazza, e lo farà facendo saltare Palazzo
Cannith, perché lo userà come cassa di risonanza.»
«Cioè?»
«Come spiegarlo… fai conto che abbia reso tutta Sharn
un’immensa forgia. Come quella volta a Lepiska. E palazzo Cannith sarà il
centro del collasso che trascinerà non solo il Breeland, ma tutto il Khorvaire
in un vortice magico che lo ridurrà come Cyre dopo l’esplosione di Lepiska.»
«Oh, cazzo.»
«Dici bene, rossa.»
«Come lo fermiamo?»
«Non ne ho idea.»
«Io proporrei di cominciare da Jekis. Ha parlato di
usarlo come sacrificio.» Si inserì Sylvion, guardando tutto l’insieme. Per far
tacere di nuovo la voce dei changeling aveva tagliato un’altra testa. Sembrava
avessero capito l’antifona.
Lorian strinse le labbra. «Già… come fece con suo
figlio quella volta. Un uomo senza scrupoli.»
«Come lo fermiamo?» Chiese Fender.
Fu Anat, la stratega del gruppo, a organizzare
l’offensiva: «Lorian, Jekis è fatto di metallo, legno e carne. È un cazzo di
meta forgiato: inchiodalo a quel piedistallo e tiralo giù. Fender, coprici le
spalle contro quegli invasati insieme a Sylvion: non fateli avvicinare a noi.»
«Posso eliminare Jekis senza problemi anche da qui.»
«No Lorian… Jekis… lo voglio eliminare personalmente. Ho un conto in sospeso con lui da lungo, lunghissimo tempo.»
Artefice, changeling e forgiato guardarono la morfica
cambiare aspetto estraendo il peggio di sé come stirpe mannara. «Lorian… che
successe a Lepiska?»
«Artimagius imbottì suo figlio di esplosivo ad alto
potenziale e lo immerse nella forgia a risonanza. L’esplosione avrebbe
mescolato il sangue umano ai resti di olio e materiale forgiato in un’alchimia
potente che avrebbe reso la forgia indipendente da qualunque fonte di energia.
Anche a Lepiska la forgia comunicava con un vulcano sotterraneo.»
«Perché non si è stupito della tua presenza?»
«La trasformazione in incantesimo animato cancella
parte dei ricordi, solitamente quelli più recenti, e molti altri vengono
completamente distorti.»
«Capisco. Dunque, è ragionevole credere che Jekis sia
imbottito di esplosivo?»
«Sì, ma non credo sia l’unica bomba. Questa volta è
tutto molto più grande di Lepiska.»
«Potrebbe essere che hanno piazzato quell’esplosivo
anche a Palazzo Cannith?» Chiese Fender, con un tono vagamente preoccupato.
«Nel palazzo ci sono vari laboratori e di conseguenza
una dose massiccia di ingredienti utili alla riparazione e alla creazione. In
più si trova al centro esatto di Sharn, per cui sì, è molto, ma molto probabile
che l’abbiano piazzata là.»
«Ce ne preoccuperemo dopo. Adesso abbiamo del lavoro
da fare. Come quella volta con il Signore delle Lame.» Ruggì roca e rabbiosa la
morfica in stirpe mannara.
Annuirono e si girarono a guardare i loro obiettivi. E
quando scattarono, per quanto potente fosse il creatore, nulla poté contro la
furia dei quattro amici.
Fender fece largo, chinandosi per dare ad Anat un
punto d’appoggio su cui saltare per spiccare il lungo balzo che la portò sulla
colonna che ormai aveva quasi raggiunto il soffitto di quel cubo che li imprigionava,
apertosi nel frattempo.
Lorian, coperto dalle lame danzanti di Sylvion in una
letale danza di morte, si concentrò facendo balenare la magia della creazione,
recuperandone dallo stesso cubo che altro non era se non un bozzolo di forgia,
modellandolo e sfondando tutte le resistenze che quell’incantesimo animato
stava mettendo a protezione del suo prezioso sacrificio.
«Non mi fermerai Lorian!! E se anche dovessi morire
qui… vaporizzarmi nell’esplosione… tutto ormai ha avuto inizio! Tutto cambierà e
il mondo sarà migliore!»
Le farneticanti parole di ciò che un tempo era stato
uno dei più grandi Cannith della storia, mastro Artimagius erede del drago e
portatore del sacro marchio di Siberys, non trovarono orecchie disposte ad
ascoltarlo.
La colonna smise di salire, intrappolata come da mani
invisibili che la riportarono verso il basso, Jekis si guardò attorno e vide
Anat saltargli letteralmente alla gola. «Che diavolo…?»
Essere su un piedistallo a parecchi metri dal suolo lo
dissuase da fare mosse azzardate, ma guardando in basso si rese conto che non
avrebbe comunque potuto farlo. Parte della colonna su cui stava era diventata
parte di lui, fondendosi se non con la sua carne con quel braccio e quel petto
metallico. «Noooo!!!»
Anat gli ghignò in faccia: «Sssììì…» sibilò e penetrò
con le unghie sotto le lastre, nella carne. «Scommetto che non ti ricordi di
me, Jekis, non è vero?»
«Io… io… so… chi sei!»
«Ricordi anche quella ragazzina spaventata nel
laboratorio che ti rallegrava le serate quando i dottori non guardavano?!»
Lui la guardò spalancando la bocca in un urlo muto,
mentre la mano della morfica entrava sotto le viscere, scavando con unghie
all’interno. «Ecco… questo era quello che provavo quando mi violentavi.»
Jekis morì fissando due stupefacenti occhi violetti
che grondavano lacrime di terrore, nelle orecchie il pianto di una bambina che
lui non badava, troppo preso dal soddisfare le sue voglie.
Anat estrasse dallo stomaco sfondato il cuore che
aveva strappato dalla sua sede con lenta crudeltà, assaporando l’odore acre del
sangue, il sapore dolce della vendetta ottenuta.
«Anche se è morto non riuscirete a fermarmi!! Ormai è
tutto pronto!»
Lorian si avvicinò, mentre Sylvion e Fender lo
proteggevano dai changeling dell’unica mente i quali però non sembravano molto
inclini ad attaccarli, osservavano per lo più spaventati e preoccupati il corpo
del capitano ridiscendere verso il fondo.
Lorian guardò la morfica ghignante, il cuore che lei
stringeva ancora in mano e il corpo senza vita del capitano cui avevano
sconvolto la mente dopo averlo ritrovato in seguito a una caccia durata anni.
Lo sfiorò, sulla spalla. «Ecco l’innesco.»
«Usiamo le sue stesse armi.»
Anat non comprese appieno cosa volesse dire
l’artefice, se lo avesse fatto probabilmente in quel momento invece di inveire
come una forsennata alla sua volta si sarebbe trovata con due cuori tra le
mani.
Lorian toccò una sequenza di rune che iniziarono a
illuminarsi. Seguivano una sequenza precisa, al termine della quale si
spegnevano tutte e poi una rimaneva accesa fissa.
Poi due.
Tre.
Ne rimanevano sette. Sei.
Fender comprese all’istante e si lanciò contro il
piedistallo urlando un «Ci penso io!!» e usando tutta la sua forza saltò verso
l’alto.
«I COME TO SMAAAAASH!»
E quel foro che sta richiudendosi fu divelto verso
l’alto. Appena sopra estrasse una corda da uno dei tanti vani che aveva addosso
e la lanciò giù agli amici, mentre i changeling, resisi finalmente conto di
cosa stava per succedere si accalcarono l’uno sull’altro cercando di
raggiungere quella via di fuga. Non appena tutti e tre gli amici toccarono la corda Fender tirò con uno scatto
secco verso l’alto, facendoli volare in su, fuori dal foro.
Sylvion e Anat ricaddero sulle proprie gambe, Lorian ruzzolò
protestando vivacemente contro il mondo.
Rapidi, sul tetto di quel cubo che scendeva
inesorabile nelle viscere della madre terra alla ricerca di Khiber, si mossero
per fuggire.
Poi il mondo si illuminò di un flash, uscito dal buco
che Fender aveva creato, l’aria li risucchiò indietro. Gli occhi si dilatarono,
riconoscendo il momento critico.
Alla fine l’esplosione.
E il mondo scomparve per cinque secondi.
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