RACCONTO: Fate of Eberron - 16
VIII – Un
Meccanismo Quasi Perfetto
Fu solo quando arrivarono al nascondiglio di Sylvion
che Jekis si guardò intorno e li vide tutti e tre osservarlo con un sorrisetto
saputo, come di chi è pienamente consapevole di aver fatto una gran sorpresa e
di essere riuscito a tenere il segreto fino all’ultimo istante. Cosa, nel suo
caso, decisamente indubbia.
«Razza di fottuti bastardi figli di puttana. Siete
venuti… a prendermi. Perché?»
Anat sorrise, ricevendo da Sylvion il nuovo accendino
– il suo lo doveva aver perso durante la fuga dalla locanda di Pia – e
accendendosi un mozzicone di sigaro fece cenno con la testa bagnata a Lorian di
versare da bere.
Non sapeva quando Sylvion era riuscito a fare scorte,
ma non le interessava, specialmente ora che era riuscita a riemergere dalla
vasca da bagno finalmente profumata dalla testa ai piedi, cosa questa che non
si poteva dire di tutti i compagni visto l’acre odore di fogna che qualcuno si
portava ancora addosso.
«Dispiaciuto?»
«Per niente. Quegli stronzi non mi hanno nemmeno
interrogato: mi hanno prelevato a casa, mi hanno riempito di bastone e mi hanno
gettato in quel buco di culo.»
«Consolati, a me volevano mandarmi nell’acquario,
qualsiasi cosa sia.»
«Fortunata a non esserci entrata: di certo da sola non
ne saresti potuta uscire: i Kundarak di questa città hanno fatto un lavoro
esemplare con la loro magia creando una bolla d’aria sott’acqua.»
«Bah, tanto so nuotare.»
Il changeling rise, scuotendo la testa. «Non sai che
appena oltre Punta di Spada il mare del Breeland sprofonda all’improvviso di
parecchie centinaia di metri? Da quello che ho capito l’acquario è una bolla
umida, gelida e completamente buia là in fondo.»
«Lo è», insistette Jekis, versandosi a sua volta da
bere e omaggiando ironicamente il generale di Cyre. «Inoltre si è così in basso
che se risali troppo in fretta quando esci dall’acqua respiri schiuma e sangue,
e se risali troppo lento beh… risali morto.»
«Che palle.» Fu l’unico commento seccato della donna.
«Cosa pensate di fare? Ormai con questa evasione siamo
segnati dal primo all’ultimo.»
«Parla per te, nonnetto.» Lo rimbeccò divertito il
changeling. «Per quanto mi riguarda io ho solo qualche problema con una fuga da
una cattura, non sono coinvolto in alcuna evasione.»
«Vallo a raccontare a mio nonno, Sylvion.» Interloquì
acido Lorian. «Con tutto quello che è successo sarà già tanto se riusciamo ad
arrivare agli Ingranaggi tutti interi.»
«Qualcuno può far pulire Fender?!»
La domanda seccata di Anat venne ignorata, tutta
l’attenzione ora rivolta all’artefice. Fu Jekis, infine, a parlare: «Che cazzo
ci vuoi andare a fare laggiù? Il livello è interdetto a chi non è del mestiere
o più semplicemente non è un forgiato.»
Sylvion e Anat annuirono, ma già sapevano perché
Lorian volesse andare lì. Difatti, non restarono delusi quando rispose
all’ormai ex-capitano della guardia: «Forse laggiù c’è mio padre e forse dopo
più di un decennio potremmo trovare le risposte che cerchiamo su Cyre e sui
forgiati. Su cosa è successo laggiù. Visto che ormai qui a Sharn non posso più
restare, tanto vale che mi tolga la curiosità. Specialmente perché quella merda
di forgiato che abbiamo distrutto prima del tuo arresto ha parlato di lui come
del Creatore.» Lorian lanciò uno sguardo torvo al capitano, per concludere: «E
poi c’è sempre quel discorso del progetto M. AR. CU. S. Ci sono un bel po’ di
cose che ci devi spiegare.»
Anat si intromise, mettendo una mano sulla spalla
sinistra del capitano e stringendo piano. «Non ha importanza, ora. Capisco che
sarebbe interessante svelare segreti come quelli di M. AR. CU. S. o di tuo
padre, Lorian, ma dobbiamo scegliere. Ora…» e strinse più forte senza che
l’uomo facesse una piega quando le unghie da stirpe mannara si incunearono
nella spalla «…abbiamo altre priorità. Tipo salvarci la pelle.»
«Concordo con Anat questa volta. Lorian, mi dispiace.
Brucio dall’idea di sapere cosa sta succedendo con questo fantomatico progetto
sui changeling, ma credo che per ora sia il caso di mantenere un profilo basso
e dileguarci il prima possibile.»
«Prendiamo il treno proiettile?»
La domanda metallica di Fender sortì una risata di
scherno da parte del nuovo arrivato, Jekis. «Sì, come no! Idea geniale uscire
con il treno proiettile, chi vuoi che controlli la stazione?»
Calò un silenzio pesante e guardandoli tutti a uno a
uno Jekis sentenziò ciò che nessuno voleva sentire: «Finché non si calmano le
acque siamo tutti inchiodati qui. Basta che anche solo uno di noi metta il naso
fuori da questo buco e siamo fottuti.»
«Basta conoscere le persone giuste per prendere il
volo.»
«Per te, changeling, per te. Ma noialtri?»
«Cazzi vostri?»
«Appunto. E quindi anche tuoi. Pensi che ti lascerei
andare mentre io torno a marcire in prigione?»
Anat scosse piano la testa, interrompendo il
battibecco con tono imperioso. «Basta così!»
Raramente usava quel tono con gli amici, ma era
contenta che sortisse sempre lo stesso effetto di timore sufficiente a zittire
quei casinisti. «Sylvion, tu sei quello più libero di movimento di tutti noi.»
«Puoi sempre trasformarti in cane.» La frecciatina di
Fender andò a segno, lo capirono tutti, ma capirono anche quanto stesse
ragionando Anat sul modo di trovare una via di fuga dal momento che non reagì
in alcun modo se non mostrando un certo livore nell’espressione già tesa.
«Procuraci dei vestiti e dei mantelli scuri, scarpe
morbide che non facciano rumore. Stasera si va al Focolare.»
«Cosa? Ma sei pazza?»
«Le Lame di Tenebra mi hanno agganciato mentre vi
raggiungevo a Punta di Spada, penso saranno doppiamente interessati quando ci
rivedranno in giro tutti insieme. E comunque, a questo punto, il nostro unico
modo per uscire da Sharn è passare per gli Ingranaggi, il livello del
sottosuolo, no? E allora tanto vale che andiamo a dare un’occhiata a quello che
tormenta Lorian, Fender e me da dieci anni.»
Lorian annuì con espressione saggia e piccata, Fender
fece baluginare gli occhi luminosi in segno di approvazione, Sylvion sospirò
pesantemente tenendosi la fronte con una mano e scuotendo la testa mentre Jekis
apriva la bocca lasciando cadere a terra il mozzicone di sigaro. Non riusciva a
credere alla sua fortuna e alla loro pazzia.
Poi la sua roca e roboante risata riecheggiò per quel
rifugio sotterraneo. «Voi vi siete fatti di roba davvero pesante, gente!»
Si mossero tre ore dopo il tramonto, quando la gente
era tutta rinchiusa in casa o nei locali notturni del Focolare di Bolderyn.
Vestiti di nero si divisero in due gruppi: Lorian e Fender seguivano di dieci
passi Anat, Sylvion e Jekis.
«Verranno, verranno… fidati.»
«L’ultima volta che l’hai detto per poco non mi
strappavano la giugulare a morsi, quei lupi.»
«Non è successo, però. Di che ti lamenti?»
«Che Khiber ti porti.»
«Naaa… sarei una pessima compagnia.»
«Lo so.»
Anat sorrise da dietro il cappuccio e ammiccò con la
testa. Sylvion annuì e continuò a lamentarsi come se nulla fosse. Fu alla
quarta svolta che finalmente un’ombra decise a manifestarsi davanti a loro.
Jekis arretrò prontamente, tirando ancora di più il cappuccio sulla testa. Anat
ridacchiò roca e dannatamente sensuale alle sue orecchie, prima di celiare:
«Era ora, mi chiedevo quando avreste deciso di farvi avanti.»
«Volevamo essere sicuri che nessuno vi seguisse,
lupa.»
«Attento con le parole, cucciolo.»
Da sotto il nero mantello davanti a lei balenò
bianchissimo un sorriso, come uno strappo su una tela nera che cela dietro di
sé una candela. «Quando vuoi non sei facile da rintracciare, ragazza. Torno a
farti la stessa offerta: do ut des.»
«Non sono sola.»
«Il capo vi aspetta tutti. Avete anche l’altro?»
Anat fece un cenno a una delle figure incappucciate
dietro di lei: «è qui.»
«Ottimo, il capo sarà felice di rivederlo.»
«Ma te pensa.»
«Il mondo è piccolo.»
«Davvero. Dove?»
«Al “Velluto”.»
Gli rispose il silenzio, ma non si scompose. Fece un
cenno con la mano per congedarsi e concluse: «Vi guarderemo le spalle.»
I tre fecero un solo cenno con il capo, giusto il
tempo di veder svanire nel buio del vicolo l’ombra che aveva parlato con loro.
«Che facciamo?»
«Dai il segnale, Sylvion, aspettiamo gli altri due.»
Jekis non disse nulla, tenendosi in disparte in modo
assai sospetto per il changeling, ma ricordava cosa era successo e non capiva
ancora perfettamente il motivo per cui Anat lo proteggeva, mettendosi sempre
tra loro due. Per quanto lo riguardava, non appena avesse ottenuto tutte le
informazioni su quel terribile progetto M. AR. CU. S. la gola di Jekis sarebbe
stata perfetta per alimentare la sete di sangue delle sue lame.
«Capo, li abbiamo trovati.»
«Uhm.»
«Stanno venendo qui.»
«Uhm. Marcus?»
«Informato.»
«Eccellente, Sharmaxdrar… Eccellente.»
«Altro, capo?» Chiese l’elfo con voce tremante
all’espressione terrorizzante del suo capo mentre tamburellava tra loro le dita
davanti al viso.
«Sssììì… Sharmaxdrar, libera i cani.»
L’elfo tremò di terrore all’idea, ma l’espressione
compiaciuta, carica di crudele aspettativa di Ellenshan lo terrorizzò ancora di
più. «Subito, signore.»

Qualunque forma di perdizione uno cercasse, in quel
locale poteva trovarla. Con il rischio concreto di perdersi definitivamente se
non poteva permettersi la cifra esosa richiesta in cambio da Ellenshan, uno dei
più temuti boss mafiosi, tanto temuto che lo stesso Sommo Lord Cannith e
l’intera corporazione dei trasportatori del marchio Orien – detentori dei
passaggi magici e della gestione del treno folgore – gli erano in qualche modo debitori.
Davanti alla porta stazionavano due energumeni che più
diversi non si poteva. Un mezzo troll e un mezz’orco: l’uno alto e massiccio,
il muso rincagnato e i capelli stopposi di un malaticcio marrone chiaro
tagliati cortissimi a spazzola e il suo degno compare, alto la metà e grosso il
doppio con un muso porcino da cui spuntavano zanne orchesche difficilmente
dissimulabili nonostante il vestito elegante e la treccia unta che teneva
insieme dei capelli sulla schiena il cui ultimo lavaggio doveva risalire ad
almeno un decennio prima.
Davanti all’ingresso stazionava una lunga fila di
gente delle più svariate razze ed estrazioni sociali, ad Anat parve di
riconoscere una biondona statuaria che aveva avuto la sfortuna di incrociare
alla sua prima ascesa al livello più alto di Sharn. Quella dalle tette
antigravità, come l’aveva definita durante le chiacchiere amene di quel
pomeriggio che sembrava di una vita passata.
E invece era solo ieri… si corresse amaramente, mentre
si piazzava davanti al tipo più basso e scostava il cappuccio per farsi
riconoscere. «Siamo attesi.»
«Generale.» Il mezz’orco scostò il nastro, sollevando
vari mormorii di protesta dalla fila in attesa quando si accorsero dei tre
figuri ammantati che entravano superando tutti. «Non siete tutti. Iago, avvisa
che gli ospiti del capo sono arrivati.»
Il mezzo troll guardò dall’alto in basso le figurette
per lui esili. La più piccola alzò verso di lui uno sguardo nero e duro da
sotto il cappuccio, ma non si lasciò intimorire. Nemmeno Ellenshan ci riusciva,
figuriamoci quella formichina.
«Perquisiscili Tago, niente sorprese.»
«Come vuoi. Generale…»
Anat allargò le braccia, storcendo disgustata le
labbra quando sentì le mani avide del mezz’orco posarsi sui fianchi. Non
resistette: «Attento a dove metti le mani, Tago, se ci tieni ad averle ancora
attaccate al polso.»
La guardia sogghignò e si permise una brutale
strizzata al sodo fondoschiena della donna, gratificandola di un sibilo: «Adoro
le gatte selvatiche, non vedo l’ora di vedere di cosa sei capace.»
«Attento a quel che desideri. Potrei esaudirti.»
Visto la qualità dell’armamento che la ragazza si
portava addosso Tago non sottovalutò le sue parole, ma sapeva di essere in
vantaggio e non avrebbe ceduto per nulla al mondo quella sua momentanea superiorità.
Velocemente perquisì anche gli altri due, ma quando
sfiorò le lame del changeling il verso gutturale che lui fece costrinse Tago ad
alzare lo sguardo su Sylvion. «Non ti rubo niente, stronzetto. Solo che qui
dentro non si entra armati.»
Il changeling fece buon viso a cattivo gioco ed
estrasse lui stesso le lame ereditate dal padre. «Fa attenzione. Se vedo anche
un solo granello di polvere fuori posto ti faccio capire perché mi chiamano la
Lama Danzante.»
«Come siamo suscett…» la replica acida scivolò fuori
dalle labbra del mezz’orco quando vide chi era il terzo del gruppo. «Mi avevano
detto che eri in prigione, Jekis.»
«Alle volte ritornano.»
«Bah. Che ci fai con loro?»
«Che dire? Sono della partita, ormai.»
«Ah.» Un richiamo da parte di Iago non concesso al
guardiano dell’ingresso di replicare come avrebbe voluto, ma una volta
accertato che anche l’ex-capitano della guardia di Sharn fosse disarmato si
volse verso il compare: «Ne mancano due.»
Anat, dalla soglia scoccò loro un’occhiata in tralice:
«Mi sembra ovvio. Arriveranno.»
Il mezzo troll annuì mantenendo l’imperturbabile
espressione di sempre, mentre faceva accomodare i tre dopo aver richiamato una
delle innumerevoli discinte cameriere che giravano per la sala servendo gli
avventori al tavolo e quelli che si assiepavano sotto i palcoscenici dove
alcune elfe stavano dando mostra di sé in un modo tale che tutti gli Aerenal le
avrebbero rinnegate.
Sylvion le osservò attentamente e Jekis fischiò basso,
commentando poi: «Avevo sentito dire che le elfe non facevano queste cose.»
«Si vede che alcune lo fanno.»
«Anche da Spurius ce n’è una, ma in realtà è una della
tua razza.»
«Lo so. Loro non lo sono. Quelle sono vere elfe.»
«Porca troia, mai che abbia tempo e quattrini quando
mi servono.» Concluse il capitano con palese rammarico e il changeling ghignò
di soddisfazione recondita.
Seguirono la cameriera umana che sfoggiava un perizoma
trasparente che nulla lasciava all’immaginazione e tacchi vertiginosi ai
sandali che le si abbarbicavano su per i polpacci mentre le innumerevoli
catenelle facevano giochi di vedo-non-vedo sui seni sodi. Giunti davanti a una
scala lei li salutò con un sorrisino invitante rivolto al capitano. «Il capo vi
sta aspettando, salite la scala prego. A breve vi raggiungerò con quanto vorrete
ordinare.»
«Qol.» rispose asciutta Anat, Sylvion chiede della
semplice dulice, e Jekis si accodò ai gusti del generale.
«Dulice? Mi aspettavo di meglio.» Lo rimbeccò subito
il capitano.
«Dipende da come è preparata. Per te quella vera
sarebbe peggio del calcio di un mulo.»
«Mah. Roba da sciacquette.»
«Meglio essere lucidi e pronti a scattare. Se vuoi
ammazzarti di seghe guardando le elfe e tracannando qol libero di fartisi.»
Jekis rise di una risata grassa e priva di allegria,
mentre saliva dietro ad Anat le scale che li avrebbe portati allo studio del
più famigerato, temuto e rispettato boss mafioso di Sharn, secondo del casato
Phiarlan della città.
Lorian e Fender videro i tre compagni entrare dopo
essere stati perquisiti, attesero un tempo congruo come da accordi e solo dopo
mezz’ora si fecero avanti, ormai certi che nessuno della guardia cittadina
fosse stato nelle vicinanze per organizzare un’irruzione; non avevano nemmeno visto
alcuna figura sospetta uscire per andarsene di corsa a fare una qualche
soffiata.
Dopotutto, chissà come nessuno che doveva andare a
tradire qualcun altro riusciva a mantenere un’espressione impassibile e
normale, tutti tradivano un senso di urgenza difficilmente fraintendibile.
Come i due di guardia alla porta li videro avvicinarsi
si premurarono di bloccare nuovamente la fila. Altra gente protestò
rumorosamente vedendosi nuovamente negare l’accesso per far passare – questa
volta – addirittura un forgiato.
Durante l’attesa avevano avuto modo di vedere,
forgiato e artefice, come i due guardiani fossero irreprensibili nel far
entrare solo chi poteva permettersi di pagare l’esoso ingresso o chi sventolava
un invito di qualcuno che doveva rientrare nella lista che il più grosso, un
mezzo troll, sfogliava più spesso.
Molti giovinastri avevano provato a farla franca, ma
sempre il mezz’orco li aveva sbattuti in mezzo alla strada senza troppi
complimenti e il suo ringhio aveva dissuaso i più a lanciarsi in una rissa.
Solo un gruppetto di ragazzi del secondo livello, con un elevato tasso alcolico
nelle vene, aveva provato a forzare il blocco e l’intervento del mezzo troll
aveva “pacificato” la cosa. Il fatto che uno si stesse tenendo il moncone di un
braccio mentre gli altri lo portavano di corsa a un punto di soccorso Jorasko era
solo un effetto collaterale prevedibile e decisamente fortunato per uno che osa
puntare un coltello sotto al naso di una montagna di muscoli alta tre volte
lui.
«Iago, la compagnia è al completo.»
«Ottimo. Informo il capo. Prego signori, seguitemi.
Niente armi.»
«Il tuo amico qui ci ha già perquisito.» Ribatté
piccato Lorian, con espressione rabbuiata.
Iago annuì compunto, senza mostrare alcun sentimento o
pensiero e aprì la porta, facendo largo tra la folla ai due fino alle scale che
portavano all’ufficio del capo. Aprì la porta senza bussare e si mise di lato,
facendoli entrare per poi ritirarsi al cenno di Ellenshan.
Il lusso sfrenato di quell’ufficio aveva fatto colpo,
quanto meno su Jekis che lo espresse con un prolungato fischio di ammirazione,
ricevendo in risposta il trillo dell’uccello multicolore sul trespolo dietro la
scrivania vuota.
Il grande boss si faceva attendere e attesero una
mezz’ora abbondante prima che entrassero Fender e Lorian e, poco dopo, lo
stesso Ellenshan che congedò con un secco cenno del capo il mezzo troll che era
di guardia alla porta principale del locale.
«Bene, bene, bene. Alla fine siete sopravvissuti
tutti.»
«Bando alle ciance, che vuoi?» Replicò dura Anat.
«Uhm. Sempre la solita. Offrirvi un riparo sicuro?»
Lei fece un verso sprezzante, per replicare: «Ah. In cambio
di cosa? Nessuno ti dà niente per niente.»
L’elfo sorrise subdolo, sedendosi dietro la scrivania
e accomodandosi nella larga e comoda poltrona dallo schienale alto e
intarsiato. Persino nella vaga luce cremosa delle candele che profumavano
l’aria di cera e miele si potevano notare i dettagli precisi dell’intaglio e la
doratura a diversi toni che ne dava una maggiore profondità.
«In effetti è come dici, generale, ma vedi, in questa
storia anche solo fornirvi passaggi diretti e un punto di appoggio tranquillo
mi fornirebbe un lavoro che pochi potrebbero fare.»
«Cioè?» Chiese svogliato il changeling, abbassando
finalmente il cappuccio a rivelare quel vago volto grigiastro.
«M. AR. CU. S..»
Ellenshan sorrise di trionfo vedendo come con una
semplice parola aveva attirato su di sé le attenzioni di tutti i presenti.
«Spiegati.» Ingiunse perentorio l’artefice, rabbuiato
in volto.
«è una
lunga storia, ma sappiate che non ero estraneo al progetto.»
«Ecco dove ti avevo già visto…»
«Eh, già. Un ottimo guardiano, Jekis, sapevi sempre
girare la testa dall’altra parte al momento opportuno. Obbedienza e nessuna
domanda. Peccato te la sia squagliata prima del tempo.»
«Ci tengo alla pelle io. E non mi andava di squagliarmela
con quel botto.»
«Dettagli.»
«Insomma, basta!» Esplose il changeling. «Sputa il
rospo. Cosa sai di quel progetto infame?»
Ellenshan resse lo sguardo di Sylvion senza batter
ciglio, si immersero occhi negli occhi in uno scontro di volontà da cui nessuno
dei due uscì vincitore, ma che disse molto l’uno dell’altro a entrambi.
«Senti, elfo dei miei stivali, non abbiamo molto tempo
da perdere. C’è qualcosa giù negli ingranaggi che riguarda Lorian e adesso
salti fuori tu con questi discorsi su M. AR. CU. S. Cazzo vuoi da noi?»
Fu quando Anat parlò che Ellenshan si mosse, dopo
essersi aperto in un sorriso di scherno. «Il punto è, mia cara, cosa volete
voi. Uscire indenni da Sharn o scoprire la verità? Perché, vedete, entrambe le
cose sono in mio potere, ma mentre la prima opzione vi costerebbe più di quanto
possiate attualmente guadagnare in un anno – sempre ammesso che troviate lavoro
e che io sia disposto a darvene – la seconda porterebbe voi a far luce su
quanto successo durante la Caduta dei Cristalli, trovare il colpevole e
scagionarvi liberando in contemporanea me da una cinquantina di seccature.»
Li guardò freddamente tutti, dal primo all’ultimo, e
soggiunse alla volta di Jekis: «E tu, amico mio, potrai tornare a quella palla
di esistenza che chiami vita.»
«Bah, non credo di poter tornare al mio ruolo.»
«Io ho sempre bisogno di gente in gamba.»
«E libero accesso alle elfe?»
«Te lo decurto dalla paga.»
«Razza di tirchio stronzuto.»
«Paga sufficiente a permetterti una loro prestazione
ogni tanto.»
«Andata.»
Ellenshan si trattenne dal ridere dalla facilità con
cui quell’ometto insignificante era circuibile. Ma lo sguardo del generale del
Cyre era insondabile e pensoso quando sorvolava su quell’uomo, diventando solo
insondabile quando incrociava il suo. Che donna.
«E voi?»
Lorian sbuffò. «Ho sentito delle voci, a proposito
degli ingranaggi. Potrebbe essere che… qualcuno di mia conoscenza si sia
rifugiato lì negli ultimi anni. E che abbia una forgia clandestina.»
«Potrebbe non essere esattamente come te lo
ricordavi.»
«Correrò il rischio.»
Anat sbuffò, ma nessuno badò a lei. Sylvion invece
sibilò e schioccò la lingua sprezzante. «Vado anche io. Se e solo se so
qualcosa di più di quel progetto.»
«Cosa?»
«Tutto quello che sai, elfo. Dalla A alla Z.»
«Dovresti farmi qualche altro lavoro, Reietto.»
«Guarda che non te ne faccia uno direttamente sulla
gola.»
Ellenshan rise e volse lo sguardo al forgiato che si
strinse nelle spalle: «Dove va Lorian, vado io. Soprattutto perché sono curioso
di reincontrare quella stessa persona.»
«Anat?» Chiese infine.
«Per me è tutta una gran stronzata. Ma se li lascio
andare da soli faranno solo disastri.»
Rise, l’elfo, alzandosi dalla scranna e andando dietro
una tenda alle sue spalle da cui tornò poco dopo con un plico di carte tenute
insieme da un nastro di velluto. Velluto, velluto ovunque sia lì nello studio
che nel salone da cui provenivano attutite le note della musica che
accompagnava lo spogliarello di elfe, mezz’elfe e umane. Prostitute di alto
bordo per tutti i gusti, in pratica.
Sciolto il nastro Ellenshan dipanò le carte del
progetto M. AR. CU. S. sulla scrivania, versando poi da bere del sidro dolce
per tutti e andando a illustrare la cosa.

Se le cose fossero andate diversamente, la guerra
avrebbe avuto un finale molto diverso, purtroppo come tutti i progetti che
includono menti senzienti si rischia di perderne il controllo.»
«In cosa consisteva questo progetto?»
La domanda pacata di Lorian trovò risposta nel dito di
Ellenshan che indicava un esplicito paragrafo su uno dei tanti fogli che a
turno avevano raccolto e scrutato ascoltando l’elfo: «I Jorasko avevano
scoperto che alcuni changeling avevano sviluppato il marchio aberrante.»
Sylvion fece una risata strozzata. «Sai che novità.»
Ellenshan lo fulminò con lo sguardo, continuando
imperterrito: «sviluppato nel senso che si era trasformato in un marchio vero,
un primario. Con tutte le indicazioni del caso.»
«Ma è impossibile! Lo sanno tutti che i marchi del
drago appartengono solo alle razze pure!»
Lo sbotto di Jekis attirò un paio di sguardi di
riprovazione e quello li sostenne sicuro: «Mbè?»
«I Lyrandar e i Medani sono mezz’elfi, i Tharashk sono
anche mezz’orchi. E fino a prova contraria… non sono propriamente una razza
pura.»
L’elfo si intromise nel discorso, onde evitare inutili
divagazioni: «Poco importa questa cosa, i Jorasko determinarono le cause di
questo: quei changeling erano sangue misto di prima discendenza. Come te,
Sylvion, per intenderci: tuo padre era un elfo, tua madre una doppleganger.
Tutti e sei i casi di changeling primigeni avevano questa caratteristica: la
madre era una doppleganger.»
Lorian ragionò sulla cosa, introducendo l’ovvia
conclusione: «Fammi capire: ci stai dicendo che se il padre è un portatore del
marchio, il potere magico del drago può passare ai figli di una doppleganger?»
«Con una percentuale dello 0,003%.»
«Cazzo. Quanti changeling ci sono con questa
possibilità?»
«Le stime del progetto contemplavano trenta esemplari
su diecimila.»
«Praticamente nullo. Finita la guerra i doppleganger
si sono ritirati dal Khorvaire e nessuno sa più che fine hanno fatto.»
«Si pensa si siano trasferiti su Xen’drik, ma non ci
sono prove. E gli elfi di Xen’drik non sono molto collaborativi. Tornando al
progetto: Thuranni e Deneith hanno pensato bene di soggiogare questo potere e
con i Jorasko hanno pensato bene di raccogliere altri campioni.»
Lo sguardo dell’elfo si alzò per puntarsi su Sylvion.
«Non prenderla sul personale, ti racconto solo quello che abbiamo fatto. Si
trattava di affari.»
«Vai avanti.» Ringhiò il changeling, fumante d’ira.
«Prendevamo dei changeling e li portavamo ai
laboratori che lo stesso Jekis qui presente sorvegliava. I Jorasko li
sottoponevano a terapie ed esperimenti con il sangue di quei sei changeling che
avevano sviluppato il marchio aberrante in marchio primario. Durante una di
queste sedute uno di loro riuscì a evolvere il marchio in inferiore e quanto
successo dopo ha dell’incredibile.»
Scartabellando tra le carte portò alla loro attenzione
un grafo poco comprensibile a una prima occhiata. Ma sotto la sua guida disvelò
tutto il suo orrore: «La potenza magica di quel sangue trasmutò il siero che
veniva inoculato in altri changeling e sviluppò la loro capacità di comunicare
tra di loro. Senza bisogno di parlare.»
«Telepatia?»
«Per dirla semplicemente, sì. In realtà era come se
tutti condividessero tutto. Come un’unica mente.»
«Caspita.»
«La finalità del progetto era di creare microgruppi da
infiltrare oltre le linee nemiche, tenendo un contatto dalla nostra parte per
coordinare le azioni. Non è andata esattamente come volevamo.»
«Il botto, eh? Vi hanno fregato alla grande.»
Ellenshan guardò duro l’ex-capitano della guardia,
ribattendo piccato: «E tu hai fatto un lavoro magistrale fuggendo a gambe
levate più veloce di tutti invece di impedirlo.»
Jekis sorrise subdolo, precisando ironico: «mi
pagavate per tener lontani i curiosi, non per tener dentro changeling contro la
loro volontà.»
«Poche chiacchiere. Che è successo?» Chiese infine
Anat.
«Quello che non pensavamo possibile: quello stesso
potere lo avevano sviluppato anche gli esemplari primigeni. E all’interno della
struttura erano riusciti a prendere il controllo di tutti gli altri
esperimenti. Quelli sopravvissuti, s’intende e guarda caso proprio quando
avevamo deciso di chiudere tutto.»
«Sei duro di comprendonio, pellegrigia. Lo avrebbero
chiuso con quello stesso botto, solo che loro sarebbero fuggiti e i changeling
no. Il problema è stato che invece le parti si sono invertite, non è vero,
elfo?» Disse brutale Jekis.
Ellenshan ammiccò con grazia tutta elfica e stringendosi
nelle spalle spiegò ai basiti compagni: «Non erano controllabili come pensavamo
e per di più l’inoculazione causava più morti di quanto preventivato, molti
esemplari morivano anche dopo giorni dall’esposizione all’esperimento, nel
migliore dei casi non succedeva nulla, nessuna mutazione, e quelli erano un
peso da… smaltire. Non potevamo semplicemente lasciarli liberi. Non conveniva più
su nessun fronte e noi, pur essendo casati potenti, non avevamo i fondi dei
Kundarak.»
«Che schifo.»
«Se la cosa può consolarti quegli esperimenti si sono
sostituiti ai medici Jorasko, alle guardie Tharashk, Thuranni e ai Deneith,
riuscendo a fuggire e lasciando a morire i loro carcerieri.»
«Non tutti.»
«Questione di fortuna.»
«Tu sei ancora vivo, infatti.»
«E intendo rimanerlo a lungo, pellegrigia.»
«Dovrai guardarti costantemente le spalle, elfo.»
Il ringhio basso e carico di furia omicida di Sylvion
sortì solo una lieve risata nell’antagonista. Ellenshan scosse la testa: «Non
saresti in grado di avvicinarmi nemmeno se fossi fatto d’aria senza che io lo
sappia prima. Ma non è per questo che vi sto ospitando e se la cosa ti dà
fastidio, puoi sempre uscire dal mio locale e vivere come hai sempre vissuto:
da reietto. Ma ti assicuro che qui a Sharn faresti una vita veramente grama.»
«Non ne sarei certo.»
«Illuditi pure.»
Calò un silenzio pesante nello studio di velluto
bordeaux e ricami d’oro, mentre tutti i presenti sorseggiavano le loro bibite
rimuginando su quanto appreso dall’elfo Thuranni, che stava rimettendo insieme
il faldone di carte.
«Perché ci hai raccontato tutto questo, Ellenshan? E
non offendere la mia intelligenza con la fandonia che hai ceduto alle minacce
di Sylvion, per cortesia.»
L’elfo scomparve senza una parola dietro i drappi di
velluto riccamente raccolti come un sipario e tornò immediatamente con un
bicchiere a sua volta pieno di sidro che sorseggiò. «Ci sono alcuni di quegli
esperimenti in giro per Sharn. Sulle mie tracce. Intendo liberarmene e le mie
Lame di Tenebra possono assolvere alla cosa, ma c’è un problema.»
Sylvion sghignazzò divertito, avendo capito qual era
il problema del mafioso. «Siccome sono changeling non avete la più pallida idea
di che faccia abbiano.»
«Per l’appunto.»
«E magari temi che si siano infiltrati anche tra i
tuoi assassini prezzolati.»
«Potrebbe essere.»
«E quindi?»
«E quindi ho fatto sapere che fra non molto potrei
ritrovarmi con un simpatico gruppetto di fuggitivi ricercati in giro per gli
ingranaggi.»
«Grazie tante, stronzo, ce li hai buttati addosso.»
«Eh, lo so. Sono amabile.» Chiosò divertito l’altro,
per nulla toccato dall’offesa. Ne aveva ricevute di peggiori nella sua lunga
vita.
Anat si rabbuiò. «Non mi dire. Non c’era nessuno a
controllare l’ingresso… ma scommetto che se adesso uscissimo troveremmo un
comitato di accoglienza per un viaggio diretto a Punta di Spada e all’acquario,
eh?»
L’elfo rise trionfante, stringendosi nelle spalle con
aria fintamente innocente. «Che ci vuoi fare, generale… volevo farvi una
proposta che non avreste potuto rifiutare.»
Tentò, Lorian, di attaccarlo incanalando la magia del
suo marchio. Fu Fender ad arrivare più vicino, però. Ma in entrambi i casi,
l’elfo fu straordinariamente agile a schivare i colpi e a farsi trovare alle
spalle dell’artefice minacciandogli la gola con una lama affilata come un rasoio
estratta da chissà dove, sibilò letale: «Ora, se avete finito di fare i
capricci, c’è un montacarichi che vi aspetta per portarvi giù. Quando avrete
finito e mi avrete liberato di quei changeling, potrete tornare. Tago e Iago vi
scorteranno e presidieranno il montacarichi. Se nella vostra permanenza negli
ingranaggi troverete risposte ad altri vostri quesiti, buon per voi. A me non
frega un cazzo se l’Artimagius padre ha fatto collassare il Cyre, se ha creato
i forgiati o se è ancora vivo.»
Anat si mosse con lentezza esasperante, finendo di
bere il sidro e posando il fine calice sulla scrivania, avendo cura che le
gocce colate lungo lo stelo di cristallo scendessero a macchiare il legno
pregiato e antico. Una piccola vendetta che l’elfo colse. «Basta così, ragazzi,
a quanto pare Ellenshan è all’altezza della fama che lo circonda e ci ha
incastrato per bene. Inutile tentare ora, come hai visto Lorian anche il tuo attacco
con la magia dei Cannith non è servito a molto.»
Si alzò lentamente, si stiracchiò e porse la mano
all’elfo, che finalmente mollò la presa, lanciando Lorian contro il forgiato
che sembrava sul punto di attaccarlo e che con questa mossa si bloccò per
parare la caduta dell’amico.
Ellenshan prese nella sua gelida presa la mano
bollente della morfica. «Eccellente. Tu sì che sai ragionare, generale.»
Anat sorrise soave, stritolandogli la mano trasformando
parte del viso, il braccio e la mano destra in stirpe mannara. «Guarda che non
ho dimenticato il tuo benvenuto a Sharn a base di qol, cantaride e semi di oppio.»
Ellenshan non fece una piega, ma il labbro superiore
si imperlò di sudore alla presa della morfica. «Lo terrò a mente per il
prossimo futuro.»
«Bene. Ti conviene non farti trovare una volta che
avremo finito.» Si volse verso i compagni dopo aver mollato la presa, e la
bella Anat li guardò sconsolata, per poi chiosare: «Lo sapevo che a riunirmi
con voi sarei finita nei casini.»
Fender gracchiò metallico: «Sorridi, rossa. Potevano
essere più grossi di così.»
«Tipo?»
«Conoscendoci, saremmo stati capaci di far saltare
l’intero Khorvaire.»
«Non dispererei troppo, se continua così ci riusciremo
molto presto.» Fu la risposta divertita di Sylvion.
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