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RACCONTI: Il Fuoco di Vesta - cap. 10

Attenzione: parte della trama potrebbe non seguire del tutto la linea temporale definitiva degli eventi, ancora da decidersi. 



297 d.C - 1050 a.U.C.


Selene si sedette comodamente sullo scranno davanti al fuoco sacro. Sorrise, divertita, rendendosi conto per la prima volta che i piedi le toccavano terra e li poteva appoggiare comodamente: tre anni prima, quando aveva fatto la sua prima veglia, le punte dei sandali non riuscivano a sfiorare il liscio pavimento in pietra.

Tredici anni. Tredici anni da quando era entrata al servizio di Vesta, tre anni da quando era entrata nel novero delle sacerdotesse adulte e aveva potuto prendere parte ai doveri effettivi di una celebrante: prima di allora, dieci anni di insegnamenti, lezioni, prove e controprove. E di scoperte incredibili, in un mondo che da fuori pareva delimitato alle mura del tempio.
Sembrava ieri quando aveva scoperto che il Palladio, il più sacro dei tesori di Roma, era solo un falso, messo lì per nascondere la perdita di quello vero; sembrava ieri quando aveva visto Giulia, la più vecchia amica di suo padre e sua madre, crollare al suolo piangente, facendo riconoscere come il vero Palladio una statua vecchissima e anche onestamente più bruttina dell'altra. Ma la sacralità di quell'oggetto era reale e palpabile, come il fumo o l'odore di un fiore...fino a quella volta non era riuscita a capire che il mondo non era esattamente come lo vedevano lei o i suoi genitori.
Lei aveva sempre saputo che la statua era nascosta sotto le radici dell'albero, o almeno, sapeva che c'era qualcosa lì sotto, qualcosa che la faceva sentire al sicuro: per questo andava sempre a dormire lì, ogni volta che poteva. Ora che la statua era tornata al posto che le spettava, sentiva il suo potere irradiarsi su Roma come l'acqua quando la si versa sulla terra, come se il tempio fosse uno degli specchi che aumentavano la luce delle lucerne.
La donna tirò fuori dalla manica una lettera dei suoi genitori e la rilesse per l'ennesima volta al chiarore delle fiamme. Potendo disporre dei corrieri diplomatici tra la corte di Costantino e quelle di Alexandria e Thebae, e anche dei corrieri della Specula, Selene, sua madre, suo padre e suo fratello erano rimasti costantemente in contatto per tutti quegli anni: era raro che non arrivasse almeno una lettera ogni quindicina di giorni, a parte quando Cumar era in missione. Lettere sulla vita di corte, sui problemi diplomatici, sulle missioni, sugli approvvigionamenti, sui raccolti e le piene del Nilo...anche potendo contare sui portamessaggi più affidabili dell'Impero, la maggior parte degli scritti sarebbe stata letteralmente incomprensibile per un estraneo, infarciti com'erano di riferimenti che solo lei e i suoi famigliari avrebbero potuto cogliere. Anche se Elios e Bastet stavano a Roma solo per un mese all'anno, e Cumar più spesso ma a volte solo per un giorno, Selene non si era mai sentita sola. Anche perchè quella notte di solitudine, una ogni venti, era l'unico momento in cui le sacerdotesse di Vesta non fossero in presenza delle loro compagne.
Decisamente un momento di relax, insomma. Con il raggiungimento del suo nuovo status gli impegni erano aumentati: tutto ciò che aveva imparato da allieva, ora doveva metterlo in pratica.
Il ruolo delle sacerdotesse di Vesta a prima vista sembrava sterile e recluso, almeno da fuori. Vegliare il fuoco, gestire i testamenti e i documenti ufficiali che arrivavano da tutto l'Impero, presenziare ai riti sacri. Questo dovevano fare, loro. E niente che fosse a più di un giorno di carro da Roma. Era proibito, per le vestali, stare per più di un giorno e una notte lontano dal pomerium, il confine sacro della città tracciato da Romolo. Detto così, sembrava una vita da prigioniere.
In un certo senso lo erano...come tutti coloro che dedicano la propria vita a una missione o a un dovere. Lei aveva visto sua madre e suo padre reggere le sorti di Khem per anni, viaggiare dalla capitale del Nord a quella del Sud, discutere con i sacerdoti e i mercanti, vedersi tra marito e moglie a volte solo una volta al mese perchè chiamati a risolvere contemporaneamente problemi da una parte all'altra del Nilo...lei e Cumar erano vissuti con tutto questo, ma mater e pater erano stati ferrei nel voler dedicare loro almeno una carezza o una fiaba prima di andare a dormire, quando non potevano tenerli con sè durante tutta la giornata. Selene e suo fratello avevano sentito quella stanchezza terribile che consumava il cuore e la mente, e l'amore che ci mettevano nel condividere con loro l'affetto e anche parte delle preoccupazioni. Come possibili principi ereditari, non potevano essere lasciati totalmente all'oscuro delle cose. Così attorno al loro cuore di bambini era cresciuta una fitta rete di senso del dovere, che l'aveva sostenuta più volte nel corso degli anni quando le cose si facevano pesanti. Proteggere e servire, era questo il loro compito, diceva sempre mater.
E poi la vita delle vestali non era proprio reclusa. La loro presenza era richiesta in tutti i sacrifici ufficiali delle varie feste dell'anno, in tutti i templi. 


Come dea protettrice della casa, e per estensione dello Stato, Vesta veniva invocata in tutte le cerimonie, anche in quelle che non la riguardavano per niente ed erano dedicate ad altre divinità; ogni convivio, da quello della più semplice e povera cerimonia nuziale al più fastoso dei banchetti imperiali, si apriva e si chiudeva con una libagione a Vesta sul focolare di casa. Non in tutte queste cerimonie era obbligatoria una vestale, ma ultimamente, con l'avanzare del cristianesimo e degli altri culti dall'Oriente molti si erano ritrovati a ricercare le antiche tradizioni di Roma ed ora la presenza di una vestale, ad un banchetto come per strada, veniva considerata un auspicio di buona fortuna.
Dovevano poi gestire l'immenso archivio dei testamenti e dei documenti ufficiali: tutti i cittadini dell'Impero avevano il diritto di mandare una copia dei documenti più importanti al Tempio di Vesta, ritenuto il luogo più sacro e sicuro dell'Impero...o almeno, il più accessibile di questi, visto che la gente comune non poteva accedere ne' al Telesterion di Eleusi ne' alle sedi della Specula. Il tenere in ordine e consultabili su richiesta quelle miglia di pergamene occupava gran parte del loro tempo. Era strano, e affascinante, aprire un rotolo a caso e scoprire che apparteneva a uno dei grandi nomi della storia, come quello di Publio Cornelio Tacito o delle altre vestali, le uniche donne romane a poter fare testamento fino a qualche anno prima: Celia Concordia, ad esempio, amava molto i gioielli e aveva lasciato alla Dea quasi un centinaio di collane, bracciali e ornamenti provenienti dalle più remote regioni dell'Impero.
Il momento in cui erano più in vista era quando prendevano posto sui seggi a loro riservati, ai giochi del circo, e tutte le persone sugli spalti urlavano il nome della dea; il momento più segreto era durante le cerimonie più sacre e segrete, quando una dopo l'altra si inginocchiavano davanti al fuoco per scrutare nelle fiamme per leggervi gli avvenimenti che dovevano ancora accadere. Ogni volta che Selene si inginocchiava, e quando a fatica ritornava dalla trance ricordando poco o niente di quello che aveva visto tra le fiamme, rileggeva sempre con ansia gli appunti presi dalle altre sacerdotesse sulle tavolette ricoperte di cera, preoccupata per i suoi genitori e suo fratello. Ma non era mai accaduto niente di male, anzi, un paio di volte era riuscita a vedere il livello del Nilo della stagione successiva ed era riuscita ad avvisarli in tempo per scongiurare catastrofi totali. Magari non era sempre infallibile, però qualcosa aiutava...
Era facile vedere qualcosa nelle fiamme danzanti, anche in quel momento in cui non c'erano cerimonie in corso. Selene si era talmente abituata negli anni al ritmo di quelle fiamme che si alzò di scatto quando improvvisamente esse si piegarono come un'onda, accompagnate dal suono soffice di qualcosa che colpiva il pavimento.


Non era più sola nella rotonda. Aprì la bocca per urlare, quando da dietro il fuoco comparve una figura ammantata di bianco, che si mosse rapida come un serpente. Selene si ritrovò una garrotta stretta intorno al collo, la testa china quasi a toccare il fuoco. Per quanto si divincolasse non riusciva a sciogliersi, neanche cercando di aggrapparsi al suo aggressore con le tecniche di lotta che aveva imparato da Cumar, tanto tempo prima...il fiato le bruciava in gola, il cuore le martellava dentro il petto. Non riusciva a chiamare aiuto, tutto ciò che le usciva dalla gola era un rantolo spezzato...ma l'odore, l'odore era inconfondibile: erbe e incenso khypri. Incenso egiziano.
La comprenzione arrivò gelida come l'ombra della morte.
Terrorizzata, si bloccò. L'uomo probabilmente scambiò quell'immobilità per l'attimo prima della fine, perchè appoggiò la guancia dietro al suo orecchio e mormorò, senza perdere la stretta:
«Raggiungi nell'Amenti gli dei di Khem che hai tradito, puttana. Elios Tigrane è morto, Cumar Tigrane è morto, e tua madre li raggiungerà presto. Non ci saranno mummie e sepoltura per voi, solo la polvere del deserto e le fauci dell'Ammit.»

Mater. Pater. Cumar.

Con un sospiro, Selene si lanciò di peso nel fuoco. Persino una morte bruciata viva sarebbe stato meglio del dolore che in quel momento le stava frantumando il cuore.
Dolore che rimase dentro.
Si ritrovò distesa sul fianco tra i ciocchi carbonizzati e le fiamme e una nube di cenere, una fiamma curiosa le accarezzava la punta del naso...ma era solo calda. Solo calda come un panno lasciato davanti al fuoco. Sentì un urlo e la stretta al collo si allentò di colpo, si tirò su tossendo e vide davanti a sè l'uomo, il mantello bianco e la corazza di cuoio lorde di cenere, cercare di allontanarsi dal fuoco.
Certo. A Khem gli Assassini si vestivano di lino, che si sarebbe incendiato come una fiaccola, ma lì erano a Roma ed era inverno. La lana non prendeva fuoco. E neanche lei, a quanto sembrava.
Il fuoco le entrò dentro, spezzando il gelo della paura e della morte. Le scorse lungo le braccia e le gambe, lungo i capelli intrecciati, lungo la veste. Si alzò lentamente, avvolta dalle fiamme, ed ebbe la soddisfazione di vedere l'Assassino indietreggiare di un passo, poi di due, mentre camminava verso di lui. Vide il terrore nei suoi occhi, lo sentì invocare Seth, ma si rese conto di tutto ciò con solo una minima parte della sua mente: il resto chiedeva una sola cosa.
Vendetta.
Il suo avversario pareva paralizzato dal terrore mentre Selene si avvicinava a lui e lo abbracciava stretto come l'amante che non avrebbe mai avuto. Era venuto per compiere il suo dovere e uccidere l'ultima di quella maledetta stirpe che aveva stretto Khem nella sua morsa. Mentre quelle fiamme che avvolgevano la donna si attaccavano alla sua pelle e alle sue ossa, piagando, bruciando e consumando, si rese conto che nemmeno la protezione di Seth, il suo dio, sarebbe bastato a far giungere la sua anima nell'Amenti, bruciata e corrosa da quel fuoco. Urlò, e urlò fino alla fine.


Le sacerdotesse vennero svegliate da urla atroci. Hortia, nonostante i dolori alla schiena che le rendevano quasi impossibile alzarsi dal letto, si ritrovò catapultata in una notte di anni prima. Le schiave erano venute a prenderla, terrorizzate quanto lei, e alla fine tutte le vestali si erano dirette al tempio.
La vestale maxima aprì la porta con una paura e uno sconcerto mai provati prima. Quella era la notte di Selene, la conosceva bene, non avrebbe mai infranto i voti lì dentro come aveva fatto Ofelia...avanzò reggendosi al bastone, mentre le altre la circondavano con le fiaccole.
Rimasero impietrite. Il fuoco sacro ardeva come nulla fosse. Accanto ad esso, un corpo carbonizzato che ancora si contorceva, le urla ridotte a miseri rantoli. Selene vi era distesa sopra, abbarbicata come l'edera ad una pianta, sporca di cenere, ma viva.
Quando le sacerdotesse riuscirono a staccarla dal corpo, ormai immobile, Selene cominciò a piangere e a urlare. A fatica Hortia comprese che quello era uno dei famigerati Assassini di Seth, venuto a Roma per uccidere l'egiziana, e che tutto il resto della sua famiglia era già morto o in pericolo di vita. Fece chiamare i messaggeri e mandò diversi dispacci a Costantino e alla Specula, mentre Valeria e le altre si occupavano di Selene, chiedendosi come avesse fatto a sopravvivere - lei, donna, senza nessuna esperienza di combattimento - a un attacco dei più letali pericoli dell'Impero. Selene non sarebbe stato in grado di dirlo, anche se fosse stata lucida: anche dopo essere stata lavata e accudita, per giorni rimase a letto preda della più tremenda febbre mai vista, e dovette essere legata per impedirle di alzarsi e correre alla prima nave diretta a Khem.
Finchè, una decina di giorni dopo, fu Costantino stesso a venire al Tempio e a chiedere di parlare con l'egiziana. Selene dovette essere trasportata a braccia nello studio privato di Hortia, e faticava persino a tenersi dritta sulla sedia.
L'imperator guardò Hortia con aria grave, come a chiederle qualcosa, e la vestale massima annuì.
«Mi dispiace molto, Selene...» mormorò, porgendole un rotolo chiuso da un sigillo. Il sigillo dei principi di Khem.
Selene lesse. La calligrafia era quella di sua madre, e la cosa le portò sollievo. Sua madre era viva, Cumar e la sua coorte erano sfuggiti per miracolo agli Assassini...ma suo padre era morto. Ucciso.
Dopo la morte di suo padre i seguaci di Seth avevano assaltato il palazzo reale, credendo di poter avere ragione facilmente di sua madre, colpevole secondo loro come il marito di aver asservito la sacra terra di Khem alla potenza di Roma invece di liberarla...ma in qualche modo lei si era salvata e aveva rovesciato la rivolta, dimostrando una forza e una spietatezza impensabili. Ora, a quanto diceva Costantino, sembrava che gli dei stessi fossero scesi in battaglia per aiutare la principessa di Aegyptus.
Selene riuscì a malapena a leggere le ultime righe:
"...prega Iside e Osiride per tuo padre, perchè non ci hanno neanche lasciato il suo corpo..." Niente riposo eterno per suo padre, niente benvenuto nell'Amenti dopo tutta una vita a lottare per la loro terra e la loro gente...
«Devo andare da mia madre.»
«Selene» la avvisò Costantino «tua madre non può allontanarsi da Aegyptus, non adesso che ha i focolai di rivolta a cui doversi opporre, e tu non puoi...»
«Devo andare da mia madre! Lasciatemi andare!» Selene si alzò in piedi, ma non fece in tempo a fare un passo che scivolò a terra priva di forze. Non era svenuta, era solo debole come un pulcino appena uscito dall'uovo...
Hortia chiamò le schiave affinchè la riportassero a letto. Lei riuscì solo a dibattersi debolmente, mentre continuava a ripetere di voler andare a Khem, di voler andare da sua madre...
Costernato, Costantino la prese in braccio, deponendola di nuovo sulla sedia. «Selene, conoscevo bene i tuoi genitori, ma non puoi andare...sei una vestale, non puoi andare...»
«Una vestale! Vesta si è presa tredici anni della mia vita, deve lasciarmi andare! Deve! Lasciatemi andare!» Selene ricominciò ad agitarsi, finchè non accorse Valeria che le versò a forza in gola una pozione amara. L'ultima cosa che sentì, prima di perdere i sensi, fu Hortia che le diceva, con voce affettuosa, che una vestale non poteva lasciare Roma...

Ogni volta che si svegliava, ricominciava a urlare, e dovettero tenerla drogata per parecchio tempo. Quando finalmente Selene si calmò, più per mancanza di forze che di volontà, fissò la fiamma della lucerna appesa al muro. Erano successe troppe cose tutte assieme.
La fiamma danzò gentilmente sotto al suo sguardo, poi sentì la voce della Dea nella sua mente, forte come non la sentiva da quando l'aveva svegliata per farle riaccendere il fuoco di Hortia. Aveva sempre sentito la presenza di Vesta, anche se le aveva parlato poco da quando era stato trovato il Palladio lei c'era sempre stata, finchè la paura per i suoi genitori e la rabbia non avevano cancellato tutto. Adesso la paura e la rabbia c'erano ancora, ma era troppo stanca per farle divampare.

«Qui sei al sicuro, figlia mia. Il fuoco ti proteggerà, ma se uscirai da queste mura adesso ti uccideranno...»
«Perchè non hai protetto i miei genitori? Perchè mio padre è morto?»
«Tuo padre ha sempre affrontato con onore il suo destino, e tua madre non è sola. Rimani qui, ho ancora bisogno di te...»
Selene crollò. Se anche la Dea a cui aveva consacrato la sua vita le chiedeva di restare, non poteva fare altro che arrendersi. Sperò solo che sua madre avesse la forza per andare avanti da sola, senza di lei e sopratutto senza l'uomo che aveva sempre amato.

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