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RACCONTO: The Fate of Eberron - 9

Sylvion e Anat corsero a perdifiato tagliando tutta la città dalle pendici della montagna fino al mare, là dove sorgeva il porto. Non vi arrivarono mai, trovandosi faccia a faccia con due cumuli di polvere ambulante.
Lorian, che respirava ancora affannosamente per la troppa polvere inspirata, fece loro segno di seguirlo e raggiunto un Telepass Portal indicò al direttore di macchina la destinazione, pagò con tre piastre d’oro per tutti e quattro, compresa la cassa e la valigia degli attrezzi e si addentrò tossendo.
Anat sospirò di sollievo, l’idea di dover salire di nuovo al terzo livello di Sharn con una di quelle gondole le aveva attorcigliato le budella, e quella di prendere di nuovo una di quelle pillole, visto l’effetto deleterio che avevano su di lei, era esclusa a priori. Per fortuna gli Orien avevano inventato anche quel sistema di trasporto a corto raggio, anche se estremamente costoso: le pietre verdi usate come ponte magico si usuravano in fretta e mantenerle sempre al giusto livello di magia per consentirne il corretto funzionamento ed evitarne crepe pericolose era assai dispendioso: ecco giustificato quindi il prezzo così esoso.
Sbucarono al terzo livello, a due strade – ormai deserte vista l’ora – di distanza dal palazzo dei Cannith, loro meta. Là salirono le scale fino al secondo piano, evitando l’ascensore aereo al ringhio della morfica ed entrarono negli appartamenti di Lorian.

L’artefice si inoltrò negli ambienti dopo aver abbandonato al loro destino gli altri nel sontuoso salotto scarlatto, ben sapendo che avrebbero saccheggiato a dovere il piccolo bar e tiranneggiato il maggiordomo a dovere. Non se ne curò, anche se quel maggiordomo era una spia degli altri della famiglia del casato Cannith, sapeva bene che Sylvion, Anat e Fender sapevano tenere la bocca chiusa. Fender aveva depositato la cassa con i rottami del forgiato coperti dalle sue attrezzature nello studio, da cui si poteva accedere al suo laboratorio, quindi per ora il casato non era a conoscenza di cosa lui aveva in casa. Non fosse successo quel casino a Punta di Spada, avrebbe potuto portarlo alla sua fucina segreta al secondo livello, al riparo da occhi indiscreti.
Sospirò di piacere immergendosi nell’acqua bollente della vasca, ragionando su tutto questo e molto altro. I vapori gli ammorbidirono la gola e sputò catarro misto a polvere liberandosela: c’era stato un momento in cui, in quel magazzino, aveva temuto di non farcela, tanta era la polvere che aveva ingerito e respirato.
Maledetti, me la pagherete cara, promise a sé stesso, immergendosi con tutta la testa sott’acqua.
Forse portare i rottami del forgiato lì non era stata una buona idea, ma dopo che avevano incrociato Sylvion e Anat l’idea di portarli alla sua forgia spenta era fuori questione. Non con Anat alle calcagna. «Per tutti gli dèi, che casino… Ma porca puttana, Anat, non potevi essere come tutti i reduci di guerra?»
La domanda riverberò nella stanza silenziosa e l’eco si spense sul gorgoglio dell’acqua mentre l’artefice si lavava. E la risposta la conosceva fin troppo bene: «ovviamente no», disse poi.
Difatti, il suo problema con questo diventava duplice: da un lato doveva proteggersi dai suoi familiari spioni, dall’altro doveva proteggersi dalla morfica. Per quanto la notizia non fosse stata diffusa dai principali quotidiani del Khorvaire pubblicati dai Sivis, lui era riuscito a scoprire grazie ai suoi agganci con i Tharashk che Anat era stata formalmente incaricata dai consiglieri di Forte Trono, appartenenti a tutte e cinque le nazioni, di scovare e distruggere in loco tutte le forge clandestine che avesse trovato.
Questo spiegava come mai negli ultimi cinque anni il nome del generale di Cyre fosse circolato così spesso nel suo ambiente e fosse comparso almeno tre volte sulla Gazzette.
«Dannata donna, sempre a impicciarti.» Borbottò risciacquandosi la testa e uscendo poi dall’acqua.

Li ritrovò tutti lì, nel lussuoso salotto scarlatto. Fender era rimasto vicino alla porta, ancora impolverato. Lo squadrò da testa e piedi e mentre si dirigeva a sua volta al mobile bar lo riprese: «Non potevi levarti quella polvere di dosso?»
«Non ne vedevo l’utilità.»
«Quella di non imbrattarmi tutta casa, per esempio?»
Fender lo guardò impassibile dall’alto dei suoi due metri, impassibilità aumentata dal non poter assumere espressioni di sorta: «Non è un problema mio e hai personale a sufficienza.»
Lorian strinse gli occhi in direzione del forgiato versandosi una dose generosa di brandy. «Cos’è, una ritorsione la tua?»
«Una lucidatina come si deve da parte di un tuo cameriere una volta ogni tanto non mi farebbe schifo.»
Il silenzio calò greve nella stanza.
Si sentì il ghiaccio tintinnare in un bicchiere.
Poco dopo risate fragorose e sinceramente divertite inondarono il salotto, spezzando la tensione e la stanchezza che i fatti succedutesi nelle ultime ore avevano portato.
«Dai, analizziamo questo forgiato, lucidiamo Fender e andiamocene a dormire tutti quanti. Al resto penseremo domani mattina, giusto?» Propose Sylvion ancora ridacchiando.
Si diressero tutti, tra battute e scherzi, allo studio privato di Lorian.

Solo nel proprio ufficio semibuio, Jekis beveva un bicchiere di brandy dopo l’altro. Fissava senza vederla la bottiglia mezza vuota, i gomiti appoggiati al piano ingombro di scartoffie inutili, la mente persa in ricordi che sperava di non dover più richiamare alla memoria.
Eppure, non poteva farne a meno.
Le parole di Arlenne, legavano a doppio filo le Lame di Tenebra a Marcus il Trovatutto e quest’ultimo era salito agli onori della cronoca negli ultimi otto anni, dacchè era finita quella guerra maledetta. Borbottò qualcosa di inintelligibile, trangugiò un sorso di liquore e lasciò che la scia bruciante gli scottasse lo stomaco.
Tornò ai suoi pensieri. Anat gli aveva lasciato detto dove trovarla, se avesse avuto bisogno di aiuto.
Il punto era che, stando così le cose, forse era lei ad avere bisogno di aiuto. Il suo. Sorrise di sghimbescio al buio a quell’idea. Il grande generale non sembrava tipo da chiedere nulla a nessuno, anche se forse il nero di quegli occhi nascondeva una solitudine che pochi sarebbero stati in grado di sopportare. Lui stesso faticava a conviverci, ma ancora portava addosso i segni, invisibili agli occhi della gente normale,di quella guerra, ma che dentro di lui erano solchi profondi difficili da richiudere.
Odiava la notte, odiava il buio.
Saltava, anche se meno a distanza di tanti anni, a rumori forti e a strida violente, sebbene lui stesso non disdegnasse di alzare la voce con certi sottoposti. Scosse la testa, pensando e rivivendo ricordi che sperava di aver cancellato di un esperimento che doveva esser chiuso da più di dieci anni.
Finì il liquore e rimase immobile a guardare quei ricordi, lasciando che la fiammella della candela si spegnesse. Per quanto utile la luce magica che aveva invaso ogni angolo e ogni casa e ufficio di Sharn, non ultimo il suo, preferiva ancora il dorato chiarore di una fiamma. Lo faceva sentire in pace, gli ricordava che tutto aveva una fine, se non era debitamente alimentato e curato. Gli ricordava quando loro fossero semplicemente mortali, il cui soffio vitale era durevole nelle ere del mondo quanto la fiammella di una candela e quando caduca fosse la vita, che poteva spegnersi in un qualunque momento, al pari di quella fiammella.
Sospirò, nel buio, sentendo i muscoli sciogliersi nella tensione, trovando una pace interiore e un’eccitazione che da tanto non provava. La vita era breve e valeva la pena godersela appieno, tanto più che lui era meno vecchio di quel che dimostrava, insomma aveva solo quarantasei anni! Eppoi, ammise infine a sé stesso, gli mancava l’azione.
Anat.
Quella morfica gli era entrata in testa e sentiva il sangue ribollire ogni volta che ci pensava. E quella stronza se n’era accorta, giocando e flirtando con lui, vestendosi in quel modo… stronza, inveì mentalmente.
«Proprio una gran bella stronza.» Mormorò, sollevandosi da quella posa ignominiosa sulla scrivania e distendendosi sulla poltrona, poggiando i piedi sul tavolo.
Prese il resto del sigaro di Q’Barra che lei gli aveva offerto e l’accese, fumando in solitudine e ragionando più freddamente su quanto successo. Molte cose non tornavano e non riusciva a staccarsi da quei pensieri, sapeva che non sarebbe riuscito a farlo fintanto che anche solo un misero dubbio gli fosse rimasto in testa.
Protezione.
L’aveva garantita ad Arlenne, ma non era sicuro che tenerla in prigione sarebbe bastato. Le Lame di Tenebra erano assassini mirabili, quando avevano un obiettivo difficilmente mollavano la presa. Forse avrebbe dovuto provare a parlare con Ellenshan, il loro capo. Forse no. Forse non era Anat ad aver bisogno di lui, dei suoi ricordi e delle sue informazioni, forse era lui ad aver bisogno di lei e dei suoi “ragazzi”.
«Che razza di stronza.»

La parete a scaffali dello studio di Lorian si aprì non appena lui si avvicinò, quasi che ci fosse stato un qualche sensore magico – niente di più facile in effetti in casa di un artefice Cannith – atto a quella funzione.
«Vedete di tenere le mani in tasca, voi due!» Li redarguì Lorian non appena entrati, come si accorse e si premurò di togliere dalle mani del changeling un attrezzo.
«Come sei cattivo, Lorian: guardala, Anat ha la stessa espressione di un cane bastonato.»
Per contro la donna guardò il forgiato stringendo gli occhi: «Se non fossi di metallo non mi dispiacerebbe farti assaggiare le mie zanne. Cane! Ah!»
«Sentila… rosicchia bulloni!»
«Vedi di piantarla, ferraglia!»
«VOLETE FARLA FINITA VOI DUE?!»
L’urlo esasperato dell’artefice, intento a spolverare e a collegare a un sistema di alimentazione quanto restava della testa del forgiato che li aveva attaccati, fece calare il silenzio.
Anat e Fender si guardarono sopra la schiena di Lorian, chino sul banco da lavoro e i loro occhi brillarono di divertimento.
Sylvion li osservava dall’angolino più lontano, giocherellando a far roteare in aria un attrezzo di Lorian, una specie di asta che finiva da entrambe le estremità in una falce di luna di grandezza differente. Anat si mise invece a giocherellare con un dado, facendolo girare sulla punta del mignolo, annoiata, mentre Lorian e Fender erano indaffarati a collegare quanto restava del forgiato a una specie di generatore. Alla fine di tutto quel lungo trafficare, gli occhi si accesero debolmente e il forgiato riprese vita.
«Come ti chiami?» Fu la domanda immediata di Lorian.
«Alpha 1.» La voce metallica gracchiò debole in risposta. «Non sono stata disattivata?»
«No. Hai un’identità sessuale?»
«No. I forgiati non hanno identità, i forgiati sono identità uniche e complesse.»
Una risposta da manuale, che entusiasmò l’artefice, soddisfò Fender e fece sbuffare sonoramente gli altri due.
«Datti ‘na mossa, ho sonno ed è stata una pessima serata.» La voce di Anat redarguì dura l’artefice, che la ignorò, mentre gli occhi rossi di Fender brillarono di fastidio.
Sylvion sogghignò sotto i baffi, ingoiando un altro paio di pillole. Già non sentiva più tirare i punti, ora dell’indomani sarebbe guarito quasi completamente. Tutto sommato non erano stati soldi buttati, quelli all’ospedale.
«Perché hai attaccato la piazza?»
«Non c’è ragione.»
«Come sarebbe a dire? Spiegati!»
«Non sono stata io ad attaccare.»
«Ah no? E quel bel fuoco d’artificio che ha ammazzato un mucchio di gente come lo chiami? Trattato di pace?»
«Anat! Per favore!» Interloquì duro Sylvion, al commento sarcastico della morfica.
«Alpha 1 aveva l’ordine di proteggere, non di uccidere. Alpha 1 doveva distruggere la torre.»
«Ci sei riuscito.»
«Alpha 1 ha fallito, torre esplosa.»
«Quindi sei fuggita?»
«I protetti erano vivi. Alpha 1 doveva andare e riferire.»
«Andare dove?»
«A riferire al sommo signore.»
«E chi sarebbero questi “protetti”?» Questa volta a intromettersi nella sequenza di domande e risposte tra Lorian e il forgiato fu Sylvion.
«Fender Astocarrier, Lorian Artimagius, Antoreika Kun, Sylvion dei Reietti.»
«Balle!! Se eravamo quelli che dovevi proteggere, perché allora ci hai attaccato?»
«Missione primaria: salvaguardare Alpha 1.»
Le risposte erano fredde e concise, puntuali. Troppo. Ma era anche vero che era un forgiato, ed era senziente, anche se parlava di sé in terza persona.
«Chi ti ha mandato?»
«Il nostro sommo signore.»
«Chi è?»
«Egli è il mio forgiatore, che è cresciuto e dona la vita secondo gli ideali del Creatore.»
I quattro amici si guardano negli occhi, un dubbio comune che filtrava dai loro sguardi. Solo Sylvion ebbe il coraggio di dar voce a quel dubbio: «Il tuo forgiatore… il Signore delle Lame?»
«Così gli esseri di carne e sangue lo chiamano.»
Lorian ebbe un tremito, tutti loro lo ebbero, ma Lorian ebbe una specie di premonizione. Domandò, ora quasi timoroso di ottenere risposta: «E il Creatore?»
«Artimagius egli era, potente, infondeva la vita e donava la libertà.»
«èè morto?»
«Il Creatore è dove deve essere.»
«Dove?» La incalzò Lorian, sentendo la pelle accapponarsi sulle braccia. Artimagius! Suo padre! Lo sapeva, suo padre era ancora vivo!!
«A noi non è dato sapere dove…»
«Fammi capire una cosa: il Signore delle Lame, quel coso infame ti ha mandato a proteggerci?»
Il pensate e incredulo scherno nella voce di Anat riscosse tutti, riportandoli alla questione principale. Ma non Lorian, che la riprese bruscamente: «Non ora, Anat!»
«Non ora? Non… ora?!»
«Sta fornendomi informazioni su mio padre!»
«Sta dicendoti quello che vuoi sentirti dire! Porca troia, Lorian, apri gli occhi!»
«Anat!»
«No! Vaffanculo, artefice del cazzo, quell’ammasso di latta un casino puntuto l’abbiamo fatto fuori cinque anni fa con tutta la sua cazzo di forgia in quella maledetta torre! Così è andata e così dev’essere!»
Lo sbraito inferocito della morfica colse nel segno in tutti loro, ma lo diedero a vedere: non amavano farsi cogliere in fallo. L’ira offuscò la capacità di ragionamento del generale di Cyre che avanzò verso la testa del forgiato che aveva divelto con le sue stesse mani e unghie e ringhiante pose una domanda: «Vuoi forse farci credere che il Signore delle Lame non è stato distrutto?»
L’impassibilità dei forgiati era, per Anat, uno dei tanti motivi del suo odio viscerale per loro.
«Il mio sommo signore non può essere così facilmente ucciso.»
«Ucciso un cazzo. Tu ora mi dici dov’è!»
«Egli è dove è sempre stato, nel cuore di quel territorio che, arido quanto i sentimenti umani, ci è stato implicitamente destinato.»
«Cazzo no! Non può essere!» Sbottò la donna, tirando un possente pugno sul bancone.
«Anat, datti una calmata!»
«Voglio sapere tutto quello che c’è in quella testa.»
Lorian fece di no con la testa, rispondendo pacato: «Le farò le domande giuste, abbi pazienza.»
«Pazienza un corno! Se non lo fai tu la porto dalla guardia di Sharn e lo faccio fare a loro. Entra in quella cazzo di testa e tira fuori ogni singolo fottutissimo dato!»
Fender ebbe un rigurgito di rabbia, se quel senso di oppressione che provava poteva indicare quel tipo di sentimento: «Tu non farai niente del genere, cane.»
«Vuoi scommettere?»
«Diamoci tutti una calmata. Anat, sei stanca, non ragioni lucidamente… non posso violare la mente di un forgiato così, su due piedi.» Si intromise Lorian, cercando di calmare la donna.
«Balle! Tu non vuoi farlo!» Lo rimbeccò acida lei.
«Vero, non lo voglio fare.»
«Stronzo!»
Senza badare ad altro la morfica voltò loro le spalle avviandosi alla porta scorrevole da cui erano entrati e Sylvion lasciò andare un basso fischio solo dopo che l’artefice la fece aprire, prima che lei la sfondasse a calci e pugni.
«Caratterino, eh?»
«Spero solo non mi distrugga il salotto.»
«Naaa. Però forse ha ragione.»
«Non mi piace.»
«Ci penseremo domani a come risolvere. Non volevi fare altre domande all’amico qui?»
Lorian annuì mesto e si avvicinò di nuovo al banco, mentre dietro alla testa Fender si era posto con fare belligerante, pronto a intervenire anche contro l’amica se fosse stato necessario. «Non la violerai, vero?»
«No, amico mio. Non lo farò. I forgiati sono miei fratelli, lo sai.»

Anat passeggiò nervosa per il salottino, attendendo che anche gli altri tre uscissero da quel laboratorio segreto. Le sue cupe elucubrazioni vennero interrotte dall’arrivo del maggiordomo che, senza degnarla di uno sguardo, introdusse una visita inaspettata proprio nell’esatto momento in cui la porta nascosta tra i pannelli della biblioteca si chiudeva alle spalle di Fender, Lorian e Sylvion.
Anat non si curò di loro, restando sprofondata nella poltrona da lettura accanto al caminetto spento, nascosta dal grande schienale in pelle. Rizzò le orecchie al sentire la voce del nuovo venuto.
«Grazie per avermi ricevuto.»
Jekis.
«Non c’è di che. Cosa la porta da me, capitano?»
«Uh… credevo di trovare qui anche il generale…»
«In effetti era qui…»
«Lo sono ancora, idioti.» Berciò roca lei, fissando il liquido ambrato nel fine bicchiere di cristallo.
«Ecco a lei la risposta, capitano. Cognac?»
«Sì, grazie.»
Il militare era palesemente a disagio. «Beh, ecco, essendo voi amici del generale… penso possiate sapere anche voi questa cosa.»
«Cosa?»
La voce di Anat era una pantomima di noia e divertimento.
«Riguarda Marcus, Anat. Quel Marcus che dicevi di voler contattare.»
«Ah.»
«Quanto entusiasmo.» Commentò acido Sylvion, per poi riprendere, mentre si sedeva sul bordo della scrivania e prendeva dalle mani di Lorian un bicchiere di cognac. «Io invece sono molto interessato a quello che hai da dirci, visto il poco piacevole faccia a faccia che ho avuto con lui.»
«Capisco. Beh, paradossalmente tu e quelli della tua razza siete quelli che più dovete stare attenti a lui, se Marcus è ciò che… credo sia.»
«Ossia?»
«Marcus non è uno solo.» Il capitano della guardia di Sharn si grattò la testa, con aria evidentemente incerta, trovando sotto le dita un ammasso di stoppie più che dei capelli veri e propri. Sospirò pesantemente e sollevò la testa curioso al sentire una mano sulla spalla stringere appena.
Anat si era alzata tenendo il suo bicchiere pieno il doppio rispetto agli altri di cognac e andò ad appoggiarsi alla scrivania accanto al changeling.
«Anni fa… durante la guerra, non furono solo i Cannith a sperimentare nuove forme di armi. Lo fecero anche i Thuranni, quei maledetti orecchie-a-punta, con il finanziamento dei Deneith e la complicità dei Jorasko: mentre i Cannith sviluppavano le forge e le tecnologie magiche che poi hanno dato vita ai forgiati e la svolta decisiva alla guerra dei cent’anni, i Thuranni e i Jorasko sperimentavano su quelli con la pelle grigia come lui.»
«Sui changeling?»
«Già. Entravano in un laboratorio, ma non so cosa ci facessero. Ma quelli che entravano non uscivano se non piedi in avanti per finire in una fossa comune.»
Sylvion ebbe un brivido gelido, Anat socchiuse gli occhi dura, Fender non fece nulla e non esternò lo sconcerto, Lorian scosse mesto il capo.
«Come fai a sapere queste cose, Jekis?»
«Prima di andare al fronte orientale ero a capo della guardia di quel settore. Li vedevo entrare, capite, ma non li vedevo uscire. E in entrambi i casi non era comunque mai con le proprie gambe. Non so se mi spiego.»
«Vuoi dire che li rapivano?» Chiese sconvolto Sylvion.
«Erano drogati, altro non voglio sapere.»
«Perché ci dici questo?» Volle sapere Lorian.
«Perché il progetto, quello che definivano dell’unica mente, era chiamato in codice M.AR.C.US.»
Un silenzio attonito calò nella stanza. E tutti seppero che non era, che non poteva essere, una mera coincidenza.


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