RACCONTO: The Fate of Eberron - 12
Ma poi le lame si allontanarono e Lorian era corso
alla nave che Anat aveva appena distrutto. Da sola. Ora capiva come avesse
fatto, lei, a diventare generale così in fretta, ora capiva meglio il suo modo
di ragionare in battaglia e quello che una volta, una fredda notte di cinque
anni prima, poco dopo la distruzione della torre del Signore delle Lame, lei
gli aveva detto: in battaglia o vinci o
sei morto.
Guardandosi attorno richiamò l’attenzione dei tre
sulle navi superstiti. «Li stanno rallentando, ma non ci vorrà molto. Suggerirei
di andarcene e alla svelta, anche.»
«Ottimo suggerimento, lattina. Sfondi il muro che il
nostro genio ha costruito? Dovremmo avere anche un metro o due di spazio per
infilarci dentro un palazzo.» Replicò sarcastica Anat, lasciando andare la
furia animale necessaria a diventare stirpe mannara e palesandosi ai tre in
tutta la sua gloriosa nudità. «I miei vestiti, per favore.»
Fender sghignazzò alle occhiate in tralice degli altri
due uomini. «Anche no. Sarai un ottimo diversivo così conciata.»
«Fender!»
«Invece di stare a litigare, muovetevi voi! I
forgiati, non so perché, li stanno rallentando, ma non riusciranno a fermarli!»
L’intervento di Lorian li riportò con i piedi per terra, ciononostante anche lo
stesso artefice faticò non poco a staccare lo sguardo dal corpo nudo di Anat.
Era uno spettacolo dannatamente bello e macabro, e sarebbe stato decisamente
migliore se non fosse stata ricoperta di sangue dalla testa ai piedi.
Anat li gratificò tutti e tre di un’occhiataccia
omnicomprensiva e voltò loro le spalle tornando in forma mannara e ringhiando
bassa allo studiare la situazione. La voce di Lorian che diceva di salire sulla
nave che lei aveva appena abbattuto la ridestò. Li seguì, sempre tenendo
d’occhio la situazione: le navi erano molto rallentate dai forgiati, ma si
stavano avvicinando inesorabilmente. Molte di quelle lattine cadevano a terra
con contrazioni strazianti quasi come esseri viventi veri quando venivano
colpiti dalle folgori dei bastoni elettrici.
I colpi dei cannoni montati a prua si aprivano dei
varchi nella moltitudine dei forgiati che sembravano essere accorsi da tutta
Sharn per aiutarli, riversandosi dalle varie strade che confluivano nella
piazza ovale del quartiere Cannith e tra le prime e uniche laterali del Volo
del Picchio. Oltre la grande muraglia alta cinque metri che aveva immortalato
la plastica ricaduta di un’onda nella pietra alle sue spalle, si apriva il
vuoto e le case dei gondolieri, a ridosso proprio di quel salto infinito.
Saliti a bordo della nave, Lorian cominciò a
trafficare con i meccanismi, guardando con il potere della magia innesti,
ingranaggi, funzionamento. Davanti ai suoi occhi fissi nel baratro del suo
potere del drago, si dipanarono assi spezzate, condotte bucate, ingranaggi
saltati fuori sede. Incanalò altra magia, cercando di riparare al meglio la bellezza
strutturale che Anat aveva – al solito suo – distrutto. Seguendo un condotto
canalizzatore, all’improvviso si trovò a sprofondare in due occhi tempestosi
che promettevano morte, che pretendevano vendetta.
L’elementale del fulmine che alimentava la nave.
Il core della magia Lyrandar.
Che lui avrebbe dovuto far funzionare. Facile. A
parole.
Fender andò al cannoncino di prua, che trovò ancora
intatto. Accanto vi era la cassa dei proiettili e in breve ricaricò l’arma.
Quello era un cannoncino standard che, alla bisogna, poteva essere convertito
in un blazercannon. Non raffinato come quello che aveva avuto in dotazione lui
ai tempi della guerra, quando da forgiato da carico era stato modificato dal
padre di Lorian in un forgiato da guerra con la scusa di dover proteggere il
suo creatore.
Controllò il condotto dell’energia che andava ad
alimentarsi nel cuore della nave, probabilmente dalla sfera di mantenimento
dell’elementale, e lo trovò rotto. Sbuffando lasciò cadere il condotto e andò a
sistemarsi sulla postazione di controllo, sul grande sedile adattivo che poteva
ospitare dal corpo mingherlino di una donna al suo. Agganciatosi, provò a
muovere il sistema rotante controllandolo con i pedali e trovando che
funzionava a dovere: i cerchi di acciaio scorrevano nelle bobine di aggancio
ruotando a dovere verso l’alto e verso il basso la struttura portante del
sedile e del cannone. «Beh, un minimo funziona.»
Assordante, un boato fece tremare la terra vicino allo
scafo della nave. Una delle tre navi si era sganciata dal cordame che la
ancorava a terra e si stava avvicinando minacciosa.
Fender impugnò i due manici ai lati del sistema di
puntamento e tirò quello a destra. Dopo un attimo in cui non successe nulla, la
pedana rotante girò a destra con un fruscio inquietante.
Un secondo colpo esplose ancora più vicino. Fender
prese la mira e sparò a sua volta.
Il colpo sembrò quasi essere un nuovo segnale di via.
La nave ricominciò a sollevarsi lentamente.
Sylvion fece il giro della nave, trovando balestre
senza dardi, inutili fucili a vapore, era da solo non avrebbe fatto nulla senza
qualcuno che caricasse le armi e tenesse sotto controllo la scorta del vapore,
e dei bastoni elettrici. Trovò anche le sedi e vedendo dei cristalli brillare
di verde li innestò per ricaricarli. Uno lo impugnò per verificarne il
funzionamento e ne studiò la forma. Ne aveva solo sentito parlare, di quel tipo
di arma così tipica delle milizie di Sharn, frutto dell’ingegno umano e della
magia Lyrandar, che comandava il fulmine grazie al marchio del drago delle
tempeste.
Era un comunissimo bastone, pur essendo una dotazione
militare era decorato con incisioni mistiche e la linea dritta era mascherata
da curve e rientranze del materiale, rendendo comoda la presa alle due
estremità. Da come era segnato al centro era stato usato dal precedente
possessore per ripararsi da una delle sue lame e aveva resistito bene, visto e
considerato che erano in grado di tagliare quasi tutto. Vedendo le navi
avanzare e sentendo quella su cui stava sollevarsi ondeggiante, premette un
pulsante puntando l’arma verso la nave. L’energia si accumulò velocemente tra
le tre punte che convergevano al centro da un’estremità del bastone. Sylvion
sorrise biecamente, mirando accuratamente un marinaio che stava facendo la
stessa cosa verso di loro.
«Vediamo un po’ che effetto vi fa, stronzi…»
E lo folgore saettò nell’aria.
Lorian deglutì amaro e riuscì a fatica a contrastare
la magia dell’elementale piegandolo ai propri voleri, la nave riprese vita e
ondeggiando pericolosamente iniziò a sollevarsi. Accanto a lui Anat sbiancò
sotto la pelliccia, rendendosi conto appieno di cosa stava succedendo.
Un colpo sparato da un bastone elettrico balenò
nell’aria rendendola frizzante e li mancò di poco.
Sollevando lo sguardo, artefice e morfica videro la
prima delle tre navi pericolosamente vicino. Non servì pensare, specialmente se
la cosa l’avrebbe portata lontana da una nave volante malmessa che solcava il
cielo a centinaia e di metri dal suolo. Fece un sorriso distorto, Anat, e batté
una mano sulla spalla di Lorian: «Serve tempo e non ce n’è. Ci vediamo dabbasso
e se non ci vediamo… spero che sia per colpa tua.»
«NO! FERMA ANAT!» La riprese Lorian, urlando per
sovrastare il trambusto, ma già sapeva che sarebbe stato inutile. La guardò
andare, chiedendosi se non fosse un sacrificio inutile.
Sylvion osservò la scena meditabondo, quindi prese un
secondo bastone elettrico e sparò con mira infallibile a uno degli uomini che
stava puntando proprio la morfica.
Anat aveva spiccato una breve corsa, passando accanto
al forgiato che girava il cannone di prua verso gli attaccanti e con appena un
cenno saltò giù dalla nave, a meno di un metro dalla cresta dell’onda e lanciò
un ululato e l’attenzione del capitano della marina si focalizzò su quella
figura in cima a quell’onda di pietra. La riconobbe e comprese perché
l’ammiraglia fosse caduta a terra a quel modo, lo comprese sentendola ululare e
vedendola fare un gesto di insulto a loro rivolto, ricoperta del sangue dei
suoi commilitoni e ufficiali. Vide rosso dalla rabbia, spinto anche dagli
strepiti dei suoi marinai: «è
quella puttana! È leì che ha fatto fuori i nostri compagni! Assassina
maledetta!»
Quelle stesse voci raggiunsero anche i tre fuggitivi e
Lorian, stringendo le labbra incattivito e inondando di energia mistica i
condotti, diede nuovo sprint alla nave che si sollevò librandosi nel vuoto, tra
i colpi dei blazercannon delle due navi rimaste indietro e che, ora, si stavano
avvicinando più velocemente dopo essersi liberate dell’impiccio dei forgiati.
Avrebbe fatto in modo che il sacrificio di Anat non
fosse proprio inutile. In cuor suo sperava di rivederla e no, non aveva alcuna
intenzione di essere lui il colpevole di un mancato ritrovo. «Mi spiace,
piccola, ma se non ci rivedremo sarà per colpa tua, non mia.» Disse a voce
bassa e ringhiante, concentrato a tenere insieme i pezzi della nave, a guidarla
e a tenere a bada l’elementale che, intravista una crepa nella bolla che lo
imprigionava, stava scatenandosi in cerca di ritrovare la sua libertà.
Sylvion non risparmiò i colpi, dando una copertura al
fianco della nave, centrando uno a uno i militari che osavano levarsi in piedi
in modo così stupido per mirarlo, lui che se ne stava riparato dietro l’angolo
della torretta di comando. Stupidi
indottrinamenti di cavalleria… come se stare a prendersi un colpo del genere
servisse a qualcosa! Bah!, fu il suo pensiero mentre cambiava bastone e
puntava il finale a tre punte verso un altro uomo sulla nave che ora, invece di
continuare a seguirli, cambiava repentinamente la rotta, inseguendo le
invettive dei marinai e dei soldati di bordo che da prua bersagliavano la
cresta dell’onda da cui loro si stavano allontanando, abbandonando Anat al
proprio destino.
«Umpf, che cretina.» Borbottò, cambiando bersaglio e
riprendendo a lanciare folgori nei confronti della nave subito dopo, cogliendo
con la coda dell’occhio un balenio sinistro e azzurro come quelli che stava
lanciando.
Il cannone a prua ruggì la sua furia sotto le spinte
di Fender, che sparò contro la seconda nave, danneggiandola gravemente. Fumo
nero e denso si alzò in volute minacciose al cielo sopra di loro e l’andamento
del vascello rallentò vistosamente lasciandosi raggiungere facilmente dal
terzo, rimasto più indietro e che solo ora, sopra la grande piazza ovale
antistante il palazzo Cannith poté affiancarsi. Fender fece la cosa più umana
che conosceva, mentre ricaricava il cannone: bestemmiò vivacemente vedendo il
blazercannon caricarsi di energia prima di sparare. Non avrebbe fatto in tempo
e se andavano a segno erano spacciati, visto che ormai erano nel cielo aperto.
Sylvion colse la situazione con un colpo d’occhio e
comprese la stessa cosa. Preparando il bastone elettrico alla carica lo puntò
con braccia sicure verso il blazercannon pronto a sparare. Mormorò a fior di
labbra una preghiera, preghiera in cui non credeva, un mantra che lo aiutava a
concentrarsi, le gambe si adeguarono al rollio e al beccheggio della nave,
bloccando il busto che divenne saldo e fermo.
«Ode a te o Khiber,
rossa signora dell’oscuro mondo
dama che governa le mie notti,
i miei intenti,
il tuo respiro non mi abbandoni
Tu sai che la luce tocca la mia pelle,
non il mio cuore…»
Il colpo partì e con precisione chirurgica andò a
segno un secondo prima che il cannoniere sparasse. Sylvion ghignò soddisfatto
all’esplosione, mentre il cannoniere precipitava con buona parte della prua
della nave più distante a terra, avvolto dalle fiamme, urlando dolore e terrore
che terminarono con il suo urlo nello schianto al suolo. A bordo, si scatenò il
caos.
Anat ululò al cielo la sua furia di stirpe mannara,
esultò di pura energia assassina quando vide di aver attirato l’attenzione e
cominciò a correre lungo la cresta dell’onda da un lato all’altro del Volo del
Picchio, obbligandosi a non guardare alla sua sinistra, dove si librava
allontanandosi con la sua ultima speranza di salvezza la nave che aveva quasi
distrutto prima.
Crea un diversivo, raccatta i cocci e poi fuggi. Al resto pensi dopo, si impose.
Schivò di stretta misura alcuni colpi, e sogghignò
quando vide la nave virare nella grande piazza inseguendo lei e ostruendo alla
nave che la seguiva il tiro utile, tiro che divenne inutile dopo il magistrale
colpo di Sylvion. «Bravo ragazzo… sempre infallibile quando si tratta di
ammazzare.»
Invertendo il senso di marcia della sua corsa con un
salto acrobatico sul muro del palazzo contro cui si era schiantato e frantumato
il bordo dell’onda e tornando indietro scombinò i piani al cannoniere che sparò
contro il palazzo, aprendovi una voragine tra urla terrorizzate di donne in
panico e quelle di dolore di uomini in fiamme.
Lo sguardo terrorizzato del mezz’elfo fu panacea per
la morfica che balzò su di lui ringhiante come un lupo idrofobo, le unghie
lunghe e affilate penetrarono nella carne delle spalle, s’incunearono sotto le
clavicole impedendogli di muovere le braccia, i piedi sulla struttura metallica
ben saldi Anat sollevò il cannoniere di peso, incurante delle sue urla di
dolore o, forse, galvanizzata proprio da esse.
Le folgori saettarono letali, impattando sul corpo
inerme e innocente del suo prigioniero che poi lei si premurò di lanciare con
tutte le sue forze oltre la murata del vascello, non prima di essersi accertata
che gli avversari avessero finito i colpi. A quel punto con un ulutato sinistro
scese al posto del cannoniere, sentì il sedile adattivo modificarsi sulle sue
forme, ribassandosi per consentirle di arrivare ai pedali e non le fu difficile
manovrare il tutto per portare il cannone verso l’interno della nave.
Le unghie lunghe le impedivano di maneggiare al meglio
la plancia e la vista in bianco e nero le toglieva il gusto dello spettacolo.
Tornò umana e innescò il blazercannon puntandolo verso la torretta e quindi
verso il basso, addosso ai marinai e ai soldati che, con i bastoni elettrici
ormai scarichi o quasi, realizzavano con orrore i suoi intenti.
Una salva di tiri disperati circondarono l’aria tutto
intorno a lei, incontrollati e decisamente non preoccupanti per lei, che stava
con tutta calma caricando a sua volta il colpo. Ma uno, uno solo, fortunato, la
centrò alla spalla destra, perforandola da parte a parte.
Anat urlò di dolore e di furia, per aver abbassato la guardia
a quel modo. Voltò la testa, digrignando i denti e colse con la coda
dell’occhio la nave malridotta schivare di stretta misura altri due natanti
aerei e librarsi infine nell’area più aperta e sgombra di cielo, dove prese
velocità.
Stupida io o stronzi loro? Si chiese. Quaranta-sessanta, si rispose,
riportando l’attenzione sui suoi avversari. Attese, certa che ormai colpi di
bastoni folgoranti ce ne fossero sempre meno, quasi nulla.
Attese, che la nave dietro di loro, con la prua
assente grazie al mirabolante colpo di Sylvion, fosse sopra di loro, pronta a
lanciarsi – nonostante le misere condizioni – all’inseguimento.
Il blazercannon era pronto.
Anat ghignò, sganciando i piedi nudi dalle pedaliere.
Gli uomini cominciarono a buttarsi a terra, sull’onda
di pietra che ora la nave sorvolava bassa.
«Quando una donna con un cannone incontra due uomini
con il bastone elettrico, gli uomini con il bastone elettrico sono uomini
morti.»
E sparò.
Dalla nave l’esplosione fu ben visibile nonostante la
notevole distanza accumulata. I tre amici guardarono alle alte fiamme, alle
folgori che si alzavano verso il cielo terso avvolgendo volute di fumo nero e
denso.
«Porca troia. Ma che ha combinato quella stronza?»
Chiese Lorian, non aspettandosi risposte.
Fender attivò lo zoom ottico e vide le due navi
precipitare una sull’altra, il potere degli elementali che le costringeva a
vincere la forza di gravità improvvisamente libero a balenare nel fumo scuro
verso l’alto, verso il cielo infinito di cui erano i padroni e da cui erano
stati strappati per essere asserviti alle volontà dei Lyrandar. Se avesse
potuto sorridere lo avrebbe fatto. «Un gran bel casino.»
Sylvion storse la bocca in una smorfia. «Tipico suo,
totalmente incapace di agire in silenzio.»
Gli altri due lo guardarono straniti e Sylvion riprese
le fattezze di un elfo, spazzandosi il pastrano nero con indolenza, conscio
alla perfezione degli sguardi dei due amici. Cominciò Lorian, con una risatina,
continuò lui, ridendo un po’ più forte, si unì infine Fender, con la sua risata
roca e forte, metallica, e tutti e tre risero alla vita.
Ce l’avevano fatta, erano vivi, sani e salvi e per
quanto riguardava Anat… per essere un lupo era peggio di un gatto: rispuntava
sempre.
«Andiamo verso i docks a sud, Lorian. Anat ci
raggiungerà tra qualche ora e noi potremo riposare.» Disse Sylvion e i tre,
ancora sghignazzando e ridacchiando di tanto in tanto, navigarono nell’aria
andando incontro al sole. Sapevano che c’erano troppe cose che non tornavano,
troppe coincidenze che li vedevano coinvolti più di quanto piacesse loro,
troppe stonature e troppi pericoli. Ma ci avrebbero pensato poi.
Ora erano vivi e solo questo contava.
Ad Anat piacque pensare che l’elementale del fulmine
l’avesse vista, avesse compreso e avesse atteso che lei saltasse sulla cresta
dell’onda prima di lasciar esplodere tutto il suo potere nel salto che lo
avrebbe portato nel suo piano di appartenenza, in alto verso il cielo. Fu un’esplosione
di energia tale che spezzò in due la nave e quella che la stava sorpassando
sopra, investendola e liberando l’elementale che vi era dentro, raddoppiando la
deflagrazione e la forza d’urto che si generò e spazzò via tutto, lungo il Volo
del Picchio e nella piazza ovale, strappando la pelle, tagliando la carne,
pulendo le ossa e, infine, polverizzandole. Dei presenti nella piazza non si
salvò nessuno.
Tranne Anat, che crollò dall’altro lato della grande
onda di pietra che si sgretolò sotto l’impatto dell’esplosione, rubandole
l’aria nel risucchio violento che l’onda d’urto creò nel suo originarsi per poi
propagarsi all’intorno.
Anat che rotolò fin troppo vicino al bordo del Volo
del Picchio, si rannicchiò per interminabili istanti riparandosi la testa dal
pietrisco che pioveva dalla cresta dell’onda che veniva infine infranta, urlò
di dolore quando massi le crollarono addosso spezzandole un braccio,
contundendole e tagliandole le gambe e la schiena, la voce sovrastata dal rombo
di tuono dell’esplosivo ritorno alla libertà degli elementali.
Poi scese un innaturale silenzio.
La vista si offuscò, puntata sul cielo azzurro davanti
a lei, prima di oscurarsi calando pietosa anche sulla sua ultima bestemmia.
L’uomo uscì da una porta laterale di una casa di gondolieri,
il grande cappello piumato stonava nel suo rosso vivo in tutto quel grigiore e
in quella mestizia. Guardò la donna nuda, svenuta e sanguinante a terra,
chiedendosi quanto di quel sangue fosse suo e quanto dei nemici. Scosse la
testa, la prese tra le braccia e si inoltrò nel vicolo antistante, un attimo
prima che dal basso si levassero minacciose altri due navi da guerra del
Breeland, con sugli stendardi l’azzurro e oro vessillo di Sharn.
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