STORIA: Devastazione di Roma - 4. Pro Collezioni
Estratto dall'articolo di romanoimpero.com reperibile per
intero qui.
Rispetto all'originale mi sono presa la libertà di non
riportare qui tutto l'articolo, ma solo alcuni stralci a mio avviso più
interessanti. Nulla di quanto pubblicato qui - comprese le foto - è stato in
alcun modo alterato dai Demiurghi.
Si ringrazia lo staff di romanoimpero.com per le sue
interessantissime e approfondite pubblicazioni.
DEVASTAZIONE DI ROMA - SPOGLIAZIONE PRO COLLEZIONI 4/6
"1498 In piazza di Spagna si rinvenne la statua di
Brittannico, e sedici teste di filosofi e poeti greci, passate più tardi a
Madrid. Le erme del primo scavo furono disperse nel cinquecento tra i musei
Caipi (1 erma), Bellay (1) Massimi (1) Medici, e Papa Giulio (4): due finirono
in qualche muracelo di fondamento. Per le collezioni antiquarie si
vede che non v'era casa villa di benestante, che non contenesse iscrizioni. Fra
Giocondo ne indica cento, e i nomi di queste, uniti ai nomi di cento sette
chiese formano un eccellente indice topografico per la Roma del
quattrocento".
Questo il destino dei rinvenimenti, molti ceduti all'estero dal clero per soldi o in cambio di favori, altri distrutti nelle calcinare o fatti a pezzi e infilati nei muri. Quando a Roma c'è un vecchio muro capita quasi sempre di osservare pezzi di marmo pario lavorato e non, con sezioni di colonne e magari pezzi di basolato. Nella follia ossessiva di distruggere il pagamesimo non di rado abbattendo un muro si sono rinvenute teste di statue.
Questo il destino dei rinvenimenti, molti ceduti all'estero dal clero per soldi o in cambio di favori, altri distrutti nelle calcinare o fatti a pezzi e infilati nei muri. Quando a Roma c'è un vecchio muro capita quasi sempre di osservare pezzi di marmo pario lavorato e non, con sezioni di colonne e magari pezzi di basolato. Nella follia ossessiva di distruggere il pagamesimo non di rado abbattendo un muro si sono rinvenute teste di statue.
Sulla fine del qual secolo (il 400) gentiluomini di
vecchio casato, prelati in possesso di pingui prebende, banchieri e « mercanti
in corte di Roma » venuti di Genova, di Pisa, di Firenze mostravano avere una
sola ambizione: quella di legare il loro nome a una vigna o giardino nei quali
spiccassero sul verde delle spalliere opere d' arte antiche. I gentiluomini
romani non sempre ricchi di censo, si facevano, prima di ogni altra cosa
appaltatori delle gabelle di Ripa, delle porte, della carne, dello Studio, che
fruttavano loro dal cinque al dieci per cento dell' incasso lordo. Tra questi
appaltatori si ricordano specialmente Giacomo Boccabella, Gregorio Serlupi,
Sisto Mellini, Lelio Margani, M. A. Altieri, Alessandro e Giuliano Maddaloeni,
Andrea Giovenale, Bartolomeo della Valle, Filippo Arcioni, Tarquinio e Antonio
Santacroce, Pietro de' Fabii, Domenico Boccamazzi, Domenico Tebaldeschi, Paolo
Muziano, e i Boccacci padre e figlio, ai quali dobbiamo la prima risurrezione
del colle Quirinale.
Può darsi che il geniale epigrafista-architetto veronese, peregrinando di casa in casa, di giardino in giardino in cerca di materiali per la sua silloge, abbia ispirato ai possessori, se non il proprio entusiasmo, almeno un po' di rispetto verso le antiche memorie. 1500, 30 luglio"
Il rispetto nacque in realtà quando si accorsero che all'estero, meno influenzati dall'integralismo cristiano, ammiravano molto, e soprattutto pagavano molto per ottenere anche solo pezzi di statue o statue mutilate romane. Così la Roma papalina scoprì che le diaboliche opere pagane erano di valore e davano lustro, pur ignorando ancora tutto della Roma imperiale che aveva non solo dominato ma illuminato il mondo. E ancora oggi si ignora che tutto ciò che è civiltà occidentale deriva da Roma, anche se occorsero molti secoli affinchè le leggi romane potessero essere restituite dopo un oscurantismo di quasi due millenni.
Può darsi che il geniale epigrafista-architetto veronese, peregrinando di casa in casa, di giardino in giardino in cerca di materiali per la sua silloge, abbia ispirato ai possessori, se non il proprio entusiasmo, almeno un po' di rispetto verso le antiche memorie. 1500, 30 luglio"
Il rispetto nacque in realtà quando si accorsero che all'estero, meno influenzati dall'integralismo cristiano, ammiravano molto, e soprattutto pagavano molto per ottenere anche solo pezzi di statue o statue mutilate romane. Così la Roma papalina scoprì che le diaboliche opere pagane erano di valore e davano lustro, pur ignorando ancora tutto della Roma imperiale che aveva non solo dominato ma illuminato il mondo. E ancora oggi si ignora che tutto ciò che è civiltà occidentale deriva da Roma, anche se occorsero molti secoli affinchè le leggi romane potessero essere restituite dopo un oscurantismo di quasi due millenni.
COLLEZIONE ALBERINI
- Sette iscrizioni in domo Francisci Alberini, finite quasi tutte in Vaticano.
- Sette iscrizioni in domo Francisci Alberini, finite quasi tutte in Vaticano.
Questo Francesco contemporaneo di fra Giocondo figura negli
stemmi genealogici pubblicati da Domenico Orano a p. 498, tav. V, n. 33 del suo
splendido volume I sul Sacco di Roma. M. A. Altieri, nei “Nuptiali” lo chiama magnifico et honorato gentilhuomo.
Ma io debbo astenermi dal parlare di questa famiglia perchè nulla avrei da
aggiungere alle cose già dette o che saranno per dirsi dal lodato scrittore.
Eglino possedevano vasti terreni archeologici:
- le due vigne palatine, e la terza fuori di porta Latina, ricordate sotto l'anno 1494: una quarta fuori di porta s. Lorenzo, e la tenuta di Campo di Merlo, nella quale, sulle sponde del fosso omonimo, campeggiavano le rovine della chiesa di s. Pietro, opera di Adeodato papa.
Flaminio Vacca ricorda il dono fatto da Pio IV al celebre Rutilio Alberini, sindaco e notaio dei maestri delle strade nel 1559, di una delle tre conche di granito delle terme Alessandrine che stavano abbandonate in istrada alla Dogana presso s. Eustachio. Rutilio « la condusse con l'argano fuori di porta Portese ad una sua vigna, nella quale vi è una nobile peschiera » vigna che egli aveva acquistata il 12 die. 1354 da Gio. e Ludovico Mattei. Il palazzo di famiglia in Banchi è inciso nella raccolta Lafreri […]
Eglino possedevano vasti terreni archeologici:
- le due vigne palatine, e la terza fuori di porta Latina, ricordate sotto l'anno 1494: una quarta fuori di porta s. Lorenzo, e la tenuta di Campo di Merlo, nella quale, sulle sponde del fosso omonimo, campeggiavano le rovine della chiesa di s. Pietro, opera di Adeodato papa.
Flaminio Vacca ricorda il dono fatto da Pio IV al celebre Rutilio Alberini, sindaco e notaio dei maestri delle strade nel 1559, di una delle tre conche di granito delle terme Alessandrine che stavano abbandonate in istrada alla Dogana presso s. Eustachio. Rutilio « la condusse con l'argano fuori di porta Portese ad una sua vigna, nella quale vi è una nobile peschiera » vigna che egli aveva acquistata il 12 die. 1354 da Gio. e Ludovico Mattei. Il palazzo di famiglia in Banchi è inciso nella raccolta Lafreri […]
COLLEZIONE ALTIERI
[…]Vacca, mem. 109. « La villa Altieri, d'ingresso
magnifico, ha un palazzo da villeggiarvi ornato di non pochi marmi antichi
scolpiti e oltre diverse colonne per terra, vi è un resto di fabbrica di terme »
Il Rossini parla di « piccole statue e busti antichi e moderni ».
Fuori di Roma possedevano il casale di Solforata acquistato nel 1468 da Bandino di Mentana, metà del quale fu venduta nel 1574 alle oblate di Torre de Specchi: e quello d'Ardea, del quale il fondatore della raccolta antiquaria Marco Antonio cedette la quarta parte nel 1507 al mercante Domenico lacobacci. Nel secolo XVIII, dopo la fusione con casa Albertoni, furono aggiunti al patrimonio Proccio nuovo, Casal delle Grotte, Dragone, Solfaratella, Torricella, Valle Oliva, Ferronea, Torre Maggiore e vigne presso s. Lorenzo e presso Fontana Vergine fuori porta s. Sebastiano.
Fuori di Roma possedevano il casale di Solforata acquistato nel 1468 da Bandino di Mentana, metà del quale fu venduta nel 1574 alle oblate di Torre de Specchi: e quello d'Ardea, del quale il fondatore della raccolta antiquaria Marco Antonio cedette la quarta parte nel 1507 al mercante Domenico lacobacci. Nel secolo XVIII, dopo la fusione con casa Albertoni, furono aggiunti al patrimonio Proccio nuovo, Casal delle Grotte, Dragone, Solfaratella, Torricella, Valle Oliva, Ferronea, Torre Maggiore e vigne presso s. Lorenzo e presso Fontana Vergine fuori porta s. Sebastiano.
COLLEZIONE ALTOVITI
- Da questo Antonio e Dianora nacque Bindo, il
quale à pena fatto maggiore acquistò la piazza detta anche hoggi degl'Altoviti,
quale per render maggiormente spatiosa gli fu di mestiere fare il gettito di
alcune case, che erano ad essa d'impedimento... ristaurò la casa comprata dal
padre in quella guisa che hoggi si trova, e di ciò ne fa testimonianza
l'inscritioue in un marmo posta nel cortile della sudetta casa, et è del
seguente tenore: "Bindus Antonii de Altovitis nobilis Florentinus domum
ab ejus genitore emptam restauravit anno MDXIIII"
Altre case furono gettate a terra per fare un po' di piazza, perciò detta Altovita. Altri ingrandimenti ebbero luogo nel 1552, nel quale auuo Guido Ascanio Sforza, card, camerlengo, vendette a Bindo una casa con forno, presso quella di Simone Bonadies « retro Banche in r. Ponte ». Anche questo Bonadies cedette al ricco banchiere i suoi stabili di via Paolina. Vi è memoria di una terza casa con giardino e loggia sul Tevere comperata da Giovanbattista Perini da Firenze.
In questo palazzo Altoviti furono radunati più tardi tesori d'arte grandissimi, incominciando dal busto di Bindo, modellato da Benvenuto Cellini, che il Camerlengato Pontificio aveva fatto incatenare alla parete del salone, e che oggi è migrato ad altri climi. Il catalogo dell' Aldovrandi, a p. 141, ricorda:
- dodici teste,
- poche statue,
- un sarcofago,
- torsi e frammenti di bassorilievo,
Giovanni Battista figlio di Bindo e di Fiammetta de' Sederini « ornò parimente la vigna paterna, che è la medesima posseduta hoggi dagl'Altoviti situata incontro all'Orso a Ripetta dall'altra parte del Tevere, hauendo la sua entrata fuori di porta di castello, quale ornò di bellissime statue vendute poi alli duchi di Savoia, e già ritrovate nella villa Adriana che era come anche hoggi è degli Altoviti.
Altre case furono gettate a terra per fare un po' di piazza, perciò detta Altovita. Altri ingrandimenti ebbero luogo nel 1552, nel quale auuo Guido Ascanio Sforza, card, camerlengo, vendette a Bindo una casa con forno, presso quella di Simone Bonadies « retro Banche in r. Ponte ». Anche questo Bonadies cedette al ricco banchiere i suoi stabili di via Paolina. Vi è memoria di una terza casa con giardino e loggia sul Tevere comperata da Giovanbattista Perini da Firenze.
In questo palazzo Altoviti furono radunati più tardi tesori d'arte grandissimi, incominciando dal busto di Bindo, modellato da Benvenuto Cellini, che il Camerlengato Pontificio aveva fatto incatenare alla parete del salone, e che oggi è migrato ad altri climi. Il catalogo dell' Aldovrandi, a p. 141, ricorda:
- dodici teste,
- poche statue,
- un sarcofago,
- torsi e frammenti di bassorilievo,
Giovanni Battista figlio di Bindo e di Fiammetta de' Sederini « ornò parimente la vigna paterna, che è la medesima posseduta hoggi dagl'Altoviti situata incontro all'Orso a Ripetta dall'altra parte del Tevere, hauendo la sua entrata fuori di porta di castello, quale ornò di bellissime statue vendute poi alli duchi di Savoia, e già ritrovate nella villa Adriana che era come anche hoggi è degli Altoviti.
COLLEZIONE ANGELERA
- e. 66'. Cinque iscrizioni « in domo d. Ioannis de
Angelera » tra piazza Colonna, e s. M. in via Lata. Le memorie di
questa famiglia incominciano col 1288. Vedi lacovacci, cod. ott. 2548, p. 577,
e CIL. VI. 2902, 15847, 19696, 26139. La raccolta, con marmi e statue, passò,
in tutto o in parte, ai Soderini del mausoleo di Augusto. Vedi a. 1549, 9
aprile.
COLLEZIONE ARMELLINI
- e. 109 sg. CIL. 9975, 14617, etc. Può darsi che si tratti
di Francesco Armellini, nato nel 1469, fatto cardinale nel 1517, adottato da
Leone X nella propria famiglia, e morto in Castello durante il Sacco. Clemente
VII si servì pel proprio riscatto dei duecentomila scudi che l'Armellini-Medici
possedeva soltanto fuori di Roma. Aveva un sontuoso palazzo in Borgo nella via
allora detta Carreria Sancta con una ricca collezione di statue e marmi.
COLLEZIONE ASTALLI
[…]
La raccolta Astalli, conteneva specialmente iscrizioni messe
in opera, parte nel giardino, parte nel vestibolo della casa vicina a s. Maria
della strada (via degli Astalli), la quale casa, al tempo del Metello
(1545-1555), era passata in proprietà di Jacopo Benzone. L'Ameyden asserisce
che gli Astalli derivino dagli Staglia: « Habbiamo detto degli Staglia di sant'
Eustachio, e vi è un'altra (casa) di Staglia di Parione, dirimpetto alla casa
dell'Alessandrini, oue si vede l'arma diversa dalle due sopradette, e si vede
la medesima sopra una colonna di san Giovanni Laterano con la seguente memoria:
« In nomine domini amen. Anno domini MCCCLXI mens. Julii. Questa colonna fece fare Tomeo degl'Astalli per l'anima d'Alessio figlio suo ".
Questa memoria hoggi è ita per terra per la nuova forma degli archi di detta chiesa, ma prima che papa Innocenzo la ritirasse io l'haveva presa la copia. La raccolta di Carlo Astalli conteneva iscrizioni sceltissime, come quella dell' Armarium distegum VI, 1600, il più antico brano degli atti Arvalici 2023, ed i un. (1641, 1925, 2576, etc.
Quanto alla identità fra gli Astalli e gli Staglia non c'è da fidarsi all'Ameyden: perchè le due famiglie sono ricordate contemporaneamente. Una Innocenza della Molara moglie di Pietro Staglia del r. Campitelli è ricordata nel 1517 mentre un anno prima, nel 1516, si parla di una Paolina Maddalena di Capo di ferro, vedova di G. B. Astalli (prot. 1187, e. 190).
Di più gli Staglia avevano il sepolcro gentilizio nella cappella di s. M. Maddalena nella chiesa di s. Niccolò in Calcalario (prot. 1728, e. 231), mentre gli Astalli l'avevano nella chiesa di s. M. de Astallis di loro giuspatronato (poi s. M. della strada, frequentata da Ignazio da Loyola, quando era ospite degli Astalli nel vicino palazzo, ora posseduto dalla Fabbrica di s, Pietro).
« In nomine domini amen. Anno domini MCCCLXI mens. Julii. Questa colonna fece fare Tomeo degl'Astalli per l'anima d'Alessio figlio suo ".
Questa memoria hoggi è ita per terra per la nuova forma degli archi di detta chiesa, ma prima che papa Innocenzo la ritirasse io l'haveva presa la copia. La raccolta di Carlo Astalli conteneva iscrizioni sceltissime, come quella dell' Armarium distegum VI, 1600, il più antico brano degli atti Arvalici 2023, ed i un. (1641, 1925, 2576, etc.
Quanto alla identità fra gli Astalli e gli Staglia non c'è da fidarsi all'Ameyden: perchè le due famiglie sono ricordate contemporaneamente. Una Innocenza della Molara moglie di Pietro Staglia del r. Campitelli è ricordata nel 1517 mentre un anno prima, nel 1516, si parla di una Paolina Maddalena di Capo di ferro, vedova di G. B. Astalli (prot. 1187, e. 190).
Di più gli Staglia avevano il sepolcro gentilizio nella cappella di s. M. Maddalena nella chiesa di s. Niccolò in Calcalario (prot. 1728, e. 231), mentre gli Astalli l'avevano nella chiesa di s. M. de Astallis di loro giuspatronato (poi s. M. della strada, frequentata da Ignazio da Loyola, quando era ospite degli Astalli nel vicino palazzo, ora posseduto dalla Fabbrica di s, Pietro).
[…]
COLLEZIONE SANTACROCE
- Prospero Santacroce aveva già raccolto, vivente Fra
Giocondo, molte lapidi miscellanee, sacre, compitali, funebri, e il frammento
de' Fasti CIL. 1- p. 1. Nel 1480 s'era veduto confiscare parte del patrimonio,
cioè il casale di Selva della Rocca, confinante con Palidoro e Castel
Campanile, accusato, com'era, di omicidio in persona di Pietro Margani. Queste
vicende non lo distolsero dalla sua propensione, e alla sua morte la casa
(privatos lares iunctos renovatis templis di s. Maria in Publicolis) doveva
contenere un buon numero di marmi scritti e figurati. Gli antiquarii del secolo
seguente parlano di tre raccolte diverse, di Onofrio cioè, di
Girolamo (Giacomo), e di Valerio. Vedi Aldovrandi p. 236, 241.
- Onofrio possedeva un altorilievo di magistrato togato, trovato nello scavare le fondamenta del palazzo presso piazza Giudea, cui avevano attribuito il nome di Valerius Publicola.
- Girolamo, marito di Ortensia Mattei, aveva in casa, secondo il racconto del Knibbio Berlin. A. 61, e. f. 20 « sei iscrizioni al pozzo,
- a terra sono doi quadri di marmo nei quali sono iscolpiti cinque fasci consolari con questo scritto (moderno) « fasces et secures consulares » . Si vede anche qui un centauro di mezzo rilievo, e questo simulacro della Fede col suo medius fidius » .
- Vi era pure l' iscriz. Kircheriana dell'Amor, Honor, Veritas,
- e un frammento di Cariatide di mezzo rilievo. Vedi cod. Berlin, e. 8'.
- Valerio possedeva nella vigna Aventinese al Priorato quattro statue, due delle quali di magistrati,
- e nella casa alla Regola un Ercole,
- la cosidetta amazone Ippolita (vedi Cavalieri « antiqq. stat. » tomo IT, tav. 44),
- Pan con la fistula a sette calami,
- un sarcofago con la caccia calidonia :
- nella Galleria o « deambulacrum » teste,
- busti,
- una vacca di metallo,
- una tigre di marmo,
- un Apollo,
- e un gruppo di Ercole e Aiiteo in bronzo che si reggeva in sui piedi senza plinto.
- Nel cod. Pighiano Berlin, a e. 8 e 10, si parla due volte di un codice epigrafico del card. Prospero Santacroce, quell' istesso che scoprì una « magnifica sepoltura » a porta latina (Vacca m. 99) e che introdusse in Roma il tabacco o erba Santacroce.
- Il Bianchini cod. veron. 347, 4, ha lasciato l'appunto che segue in data 26 gennaio 1706. « Venalia extaut prope capitoliu. in heredit March. Tarq.
- Sei statue due marmi parii.
- una musa altera Bacchu.
- septem protomis magni.
- Trajano 1. vir. 8. fem. 3
- Vi erano bassorilievi e altri marmi minori, ed una statuetta di fanciulla di palm. 4.
Prezzo della raccolta 220 scudi. Vi erano pure da vendere,
ma d'altro padrone, un busto di Euripide a 300 scudi, ed un Fiume di basalto,
guasto dall'ombelico in giù. Pietro Rossini descrive nel Mercurio Errante tomo
II, p. 399, il « nobilissimo palazzo Santa Croce architettato da
Francesco Paparelli, nel di cui cortile sono molti bellissimi bassirilievi
antichi, fra i quali è di maniera greca quello del trionfo di Bacco e di
Sileno, come pure il fatto di Trimalcione coi satiri, nel mezzo delle quali
sculture vi è il sacrificio di Giove Taurilio, ed un altro di non cattiva
maniera."
Vi è ancora una bella statua di Apollo, una di Diana, due di una Cacciatrice, ed un'altra di un Gladiatore, insieme con un Ritratto in marmo dell' Algardi " . Nel 1578 il card. Prospero ampliò l'area delpalazzo per fare la porta al giardino confinante con la chiesa di s. Salvatore in Campo. Xot. Guidotti, prot. 3652 e. 542. 120 1 Santacroce hanno posseduto le tenute di Selva della Rocca, Maglianella, Vaccareccia, e il castello di s. Gregorio.
COLLEZIONE SASSI
Vi è ancora una bella statua di Apollo, una di Diana, due di una Cacciatrice, ed un'altra di un Gladiatore, insieme con un Ritratto in marmo dell' Algardi " . Nel 1578 il card. Prospero ampliò l'area delpalazzo per fare la porta al giardino confinante con la chiesa di s. Salvatore in Campo. Xot. Guidotti, prot. 3652 e. 542. 120 1 Santacroce hanno posseduto le tenute di Selva della Rocca, Maglianella, Vaccareccia, e il castello di s. Gregorio.
COLLEZIONE SASSI
- R. di Parione, nominata anche dal Mazoehio, p. e. a
e. XXXIII, ove si trova un disegno di mano del Lelio rappresentante il bel
cippo di M. Canuleio Zosimo, già in s. Vibiana. Ma il documento più
rimarchevole intorno questa raccolta è l'incisione, senza data né nome
d'autore, clgesi trova generalmente inserita nella raccolta Lafreri, e che
porta il titolo: SPECTANTVR H/c-C ANTIQVITATIS MONVMÈTA ROMAE IN AEDIBVS VVLGO
DICTIS DE ZASSE. Rappresenta un pittoresco cortile chiuso da mura merlate, con
nicchie grandi e piccole, e recessi e suggesti, dentro o sopra i quali
sono collocati in geniale confusione simulacri di varia misura, con le
fratture di scavo non restaurate. L'Aldovrandi nomina incidentalmente questa
raccolta tre volte: a p. CCIX, n. 13, ed. Fea,
COLLEZIONE SAVELLI
COLLEZIONE SAVELLI
[…]

La raccolta si accrebbe di un notevole monumento con la demolizione dell'arco di Portogallo fatta da Alessandro VII l'anno 1662. Dei tre bassorilievi dell'arco due finirono nel palazzo de' Conservatori: il terzo, venuto nelle mani di Maria Felice Peretti, fu trasferito al teatro di Marcello dopo il matrimonio di costei con Bernardino Savelli. Succeduti gli Orsini ai Savelli nel possesso del palazzo e del teatro Marcelliano, si aifrettarono a vendere i marmi famosi all'antiquario Vitali, dal quale gli acquistò il principe Alessandro Torlonia.
COLLEZIONE STROZZA
[…]
I. Gli scavi ebbero luogo nel sito pianeggiante posto tra l'ospedale di Sancta Sanctorum, e s. Stefano Rotondo, da est ad ovest, e tra gli archi neroniani (via di s. Stefano) e la via della Ferratella da nord a sud : cioè nell'altipiano della villa Fonseca.
IL Porsero ad essi occasione le opere fatte eseguire da Filippo ed Uberto Strozza per ridurre il sito a vigna. III. la forma dell'edificio era quadrata con torri in sugli angoli, la lunghezza del lato scoperto giungendo sino a m. 109,30. Il lato conteneva « decem cubicula » di m. 5,94 X 4,95, e « quatuor conclavia » o saloni, lunghi ciascuno m. 13,66, e larghi come i cubiculi m. 5,94.
IV. vicino al descritto furono trovate traccio di un altro rettangolo di fabbrica, al quale fu scioccamente attribuito il nome di castra Peregrina.
V. nel mezzo della corte di vigna Strozza vi era una edicola o un tempietto rotondo, con peristilio di diciotto o venti colonnine, parte di porfido, parte di granito rosso, e con epistilii, capitelli e basi di marmo bianco.
VI. le camere circondanti il cortile « erano bene ordinate quanto alla intentione: ma variamente ridotte con qualche difformità per li restauri fatti" (Ligorio), ciò che è confermato dalla espressione di « stufe plebee » con la quale il Vacca descrive le fabbriche trovate in quest'altipiano :
« Ho veduto cavare " egli dice, Mem. 106 « da s. Stefano Rotondo fino allo spedale di s. Giovanni in Laterano, e trovare molte stufe plebee, e muri graticolati, con alcuni condotti di piombo, caelemon e molte urne con ceneri, tutte cose di poca considerazione. Dopo le stufe si servirono di questi luoghi per sotterrarvi, al tempo che abbruciavano li cadaveri »
Questi punti, più o meno accertati, non bastano a sciogliere il problema topografico. L'altipiano del Celio si conosce aver contenuto quattro fabbriche, alle quali potrebbero convenire i particolari suesposti: la statio cohortis lI Vigilum, le castra Peregrinorum, le Lupanaria, e lo Xenodochium Valeriorum.
Ora la statio coh. II, 'compresa nel recinto di villa Mattei, era separata dalla vigna Strozza-Fonseca dal gruppo monumentale di santo Stefano; dalla vigna Morelli-ss. Sanctorum-Colacicchi; e dalla grande strada, la quale, uscendo dalla porta (anonima) serviana, scendeva alla porta Metroni e alle Decennie.
Le castra Peregrinorum, comprese nel recinto degli orti Teofili, poi Casali, erano separate dalla vigna predetta tanto dalla linea degli archi neroniani, quanto dalla grande strada conducente alla porta Celimontana. Le Lupanaria, traccio importanti delle quali furono ritrovate in vigna Morelli-ss. Sanctorum-Colacicchi nell'anno 1878, non pare che abbiano potuto occupare un rettangolo di 109 m. di lato, nè raggiungere ed oltrepassare i confini della vicina vigna Strozza-Fonseca.
Per ciò che spetta alla casa ed allo Xenodochio de' Valerli, nel sito del monastero di sant'Erasmo, il cui scavo conta tra i più notevoli del secolo, non mi pare che i particolari di tempo, di sito, di risultati, si adattino a quel poco che sappiamo di positivo circa lo scavo Strozza (Vedi appresso a p. 69), molto più che ci sarebbe conflitto, piuttosto, contemporaneità di data fra l'uno e l'altro. La congettura meno improbabile che mi venga suggerita da questa condizione di cose, è che gli Strozza abbiano scoperto l'atrio o peristilio della magnifica DOMVS L • MARI! • MAXIMI,
l'illustre storico, il cui nome ricorre tanto spesso nelle Vitae Augg., e la cui carriera, restituita dal Borgliesi (in Gioni. arcad. 1856, pp. 13 e 463: Oeuvre^, tomo V, p. 459) e dall' Henzen (ad. CIL. VI, nn. 1450-1453) conta fra le più brillanti e fortunate del tempo. Con le riccliozze accumulate durante la sua amministrazione della Celesiria, Asia, Africa. Belgica. Mesia, Germania, ecc. nou solo potè ornare la casa celimontana con cospicue opere d'arte, ma anche assicurarsi il possesso di ville sulla spiaggia di Ardea, e nel territorio di Velletri.
[…]
COLLEZIONE TIGETI (RIGETI?)
- Cinerario quintuplice di C. Julius Metrodorus CIL. 20137, squisitamente miniato, e il cippo 2188. Questo prelato, già secretarlo apostolico, e protonotario, aveva ottenuto il vescovato di Taranto, al tempo di fra Giocondo. E venuto a morte, in sullo scorcio del secolo, la casa, che stava nel r. di Ponte vicina a Tor Sanguigna, passò a Mario Bonaventura, e, più tardi, a monsignor Ferratini, arciv. di Amelia, dal quale ha preso nome la nostra via Frattina.
COLLEZIONE TOMAROZZI
- « prope s. Eustachiù ante domù Baptistae Tomaroci » . La raccolta fu continuata da Giulio, probabilmente figlio del precedente. La fortuna della famiglia incominciò a declinare poco dopo la morte di Giulio. I suoi figliuoli Flaminio, Fulvio, Pompilio, Francesco e Girolama venderono nel 1523 parte delle loro case tra la Rotonda e s. Eustachio a Francesco del Bufalo, e altra parte nel 1525 ai Crescenzi.
Una terza casa, confinante con quella di Costantino Erulo da
Narni, vescovo di Spoleto, fu venduta nel 1540 a Giordano de Nobili di Rieti.
Estinta in seguito la famiglia, ereditarono da essa in parte luoghi pii, in
parte i Boccapaduli, e le iscrizioni furono disperse (2270 ai Massa, 876 a
villa Madama, 1308 a Firenze, etc).
In campagna di Roma possedevano il casale di Lamentana acquistato, sin dal 17 di- cembre 1427, da Vannozza Cenci. Sembra che il nome di famiglia fosse Bardella: poiché trovo in atti Bracchini, prot. 263 e. 451 A. S. un patto di divisione del 1498 tra i fratelli Giovanni e Paolo Bardella de Tomarozzi, nel quale figura in primo luogo la « domus magna » alla porticella della Rotonda. Prima (1427) si chiamavano Tomarozzi de Thomais.
COLLEZIONE VICOLO DE CORNERII
- I domatori dei cavalli, i tre Costantini, i due fiumi, la Cibele turrita, del cosidetto Vico de' Cornerii sul Quirinale, i quali marmi formavano la più antica raccolta statuaria della Roma medioevale.
In campagna di Roma possedevano il casale di Lamentana acquistato, sin dal 17 di- cembre 1427, da Vannozza Cenci. Sembra che il nome di famiglia fosse Bardella: poiché trovo in atti Bracchini, prot. 263 e. 451 A. S. un patto di divisione del 1498 tra i fratelli Giovanni e Paolo Bardella de Tomarozzi, nel quale figura in primo luogo la « domus magna » alla porticella della Rotonda. Prima (1427) si chiamavano Tomarozzi de Thomais.
COLLEZIONE VICOLO DE CORNERII
- I domatori dei cavalli, i tre Costantini, i due fiumi, la Cibele turrita, del cosidetto Vico de' Cornerii sul Quirinale, i quali marmi formavano la più antica raccolta statuaria della Roma medioevale.
COLLEZIONE ZODONI
- Undici iscrizioni " in domo Nardi de
Zodonis ", persona a me ignota.
COLLEZIONI LAPIDARIE
- Fra Giocondo nomina le case e le lapidi antiquarie di:
COLLEZIONI LAPIDARIE
- Fra Giocondo nomina le case e le lapidi antiquarie di:
- Antonio conte della Mirandola, e. 59:
- di Gaspare Biondo, e. 64':
- di Bartolomeo del Cambio alle Botteghe oscure, » e. 72':
- di Carlo Martelli, e. 90': di Prospero Boccacci, e. 103':
- del card. (Giuliano) Cesarini, e. 104: ù
- di Giovanni Mazzatosta, e. 108':
- di Antonio da Cannobbio, e. 117':
- di Lorenzo Signoretti, e. 117':
- di Ludovico Vicotacca, e. 118:
- di Tommaso Zambec- cari, e. 118 :
- di Domenico Normanni dei Tedallini, e. 120' :
- di Massenzio Gesualdo, e. 132':
- di Sabba Pini, e. 135 :
- dei Frangipani al Trivio, e. 135 :
- dei Cenci alla Dogana, e. 137.
II nome di Fra Giocondo è legato alla storia degli scavi di
Roma per un secondo e più cospicuo titolo : pei disegni, cioè, che egli tolse
degli antichi edificii e delle loro spoglie, man mano che tornavano in luce
nelle ricerche per materiali da costruzione. È probabile che, morto fra
Giocondo il 1 luglio 1515, una parte dei suoi disegni rimanesse nelle mani di
Raffaello da Urbino. Vedi Geymtiller " Cento disegni" , Firenze 1882,
p. 17. Quelli conservati ora negli Ufizii sono stati catalogati
approssimativamente dal Geymuller predetto, il quale attribuisce il libro dei ricordi
dall'antico al triennio 1513-1515. Vedi in data P luglio 1515. 1499.
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