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Wulfgar, la spia (parte III)

13 Settembre 1249 a.U.c. ricorrenza della dedicazione del tempio di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio
Corsica, un villaggio nell’interno Secunda Vigilia (dalle 21 a mezzanotte)
Nella tenda del Magister due figure parlavano intorno ad un tavolo sorbendo una tisana calda, mentre tutto il campo dormiva: il Magister Ombra ed il suo vecchio maestro venuto in visita parlavano dei successi dei quattro allievi prelevati a Massilia, quando vennero interrotti da un bussare secco alla tavola appesa fuori della tenda proprio con quello scopo.
“Avanti.”
Il centurione entrò e salutò doverosamente il suo superiore, quindi con una smorfia esordì: “Signore, sono sicuro che anche questa notte il ragazzo è uscito dal campo per andare a trovare la sua giovane pastorella.”
“Centurione, hai le prove di quello che dici o le tue sono semplici congetture?” Dalla voce con cui pose la domanda sembrava quasi che il Magister si stesse divertendo. L’aio, invece, faticava a reprimere una risata. Repetita juvant, si limitò a pensare.

“I suoi compagni di tenda dicono che lui è presente, ma non ci lasciano entrare a controllare.”
“Ovvio, hanno scommesso che lo prenderete al rientro mentre cerca di entrare in tenda. Temo che nemmeno questa volta lo prenderai.” L’ultima frase venne pronunciata dall’aio con tono di aperto scherno.

Il Magister inarcò divertito ed incuriosito le bionde sopracciglia, ma non parlò. Dunque non era una cosa nata lì, era proprio un’abitudine di quel suo allievo far passare per fessi i legionari di guardia. Sorrise sotto i baffi, vedendo il centurione diventare livido di rabbia e trattenersi dall’urlare la risposta che gli era salita bruciante alle labbra, ricordandosi chi avesse di fronte.
“Come sarebbe a dire, pensi che siamo degli inetti? Vuoi scommettere che lo becco quel figlio di una cagna belgica?” Aveva comunque alzato la voce e tutti nel campo sentirono quella sfida.
Una risata seguì il silenzio che scese su tutto il campo.
“La metà della paga di questo mese, spero possa essere un incentivo sufficiente per riuscire a prenderlo questa notte.” Propose divertito l’aio.
“Un quarto e accetto.”
“Fatta per un quarto, è sempre un piacere scommettere con voi legionari.”
Imprecando, il centurione uscì dalla tenda sbraitando ordini a destra e a manca, nel tempo di una clessidra tutti raggiunsero le loro posizioni e si nascosero tra le ombre della notte, in attesa.
Maestro ed allievo si scambiarono un’occhiata. Si compresero al volo. Il Magister chiosò: “Quindi non è una novità per te.”
L’aio scosse la testa. “Non riuscirà a prenderlo.” Guardò furbescamente il Magister, che era stato suo allievo. “Forse nemmeno tu riuscirai a pescarlo in flagrante.”
A quella pacata sfida, Gawain scoppiò in una fragorosa risata. “Non ne sarei tanto sicuro, vecchio, sono migliorato parecchio da quando mi ha avuto sotto la tua guida.”
“Lo credo, non saresti quello che sei se così non fosse. Ma lui è diverso.”
Pungolato da quelle parole, il magister frugò nel portamonete che teneva al polso. “Solita posta?”
“Perché no?”
Sul tavolo caddero due sestertii. Lì sarebbero rimasti fino al mattino, al momento della verità.
Con una risata il magister ombra si alzò e si mise il mantello.
“Dove vai, ora?”
“A caccia.”

Nel frattempo, in un fienile nel villaggio lì vicino due giovani stavano parlando tenendosi abbracciati avvolti nelle coperte di lana che la donna aveva precedentemente nascosto tra le balle di fieno.
“Sei sicuro che non ti creeranno problemi perché vieni a trovarmi tutte le notti?”
“Prima debbono scoprire che mi sono allontanato e, da quel che ho capito, solo il Magister può scoprirmi, sembra che sia il migliore del corso. Lo ha detto lui non io.”
La voce dell’uomo le trasmise la modestia che lui sentiva, non si sarebbe detto dalle parole, ma lui non amava essere al centro dell’attenzione.
La donna, esile figura di fianco a quella montagna di muscoli belgici poggiò la testa contro il suo petto accoccolandosi e cercando riparo dal freddo della notte.
“Stai attento, io sono solo una contadina che deve occuparsi delle pecore e delle capre del padre, non capisco perché tu debba rischiare la carriera per me.”
Lui le scompigliò i capelli. “Forse per il semplice motivo che mi sono innamorato di te.”
“Ma…”
“Ad essere sincero, mi spaventa di più l’eventualità che tuo padre entri da quella porta che non essere scoperto dalle guardie.” Risero insieme a quella battuta.
“Livia, la nostra relazione dovrà rimanere segreta, a tutti. Tra un paio di giorni dovrò affrontare la prova finale e poi avrò terminato questo tirocinio.”
“E potrai andartene da quest’isola dimenticata dagli dei, vero?” concluse lei abbracciandolo timorosa di perderlo per sempre. Sapeva che quella sarebbe stata una possibilità non proprio remota.
Con un sospiro Wulfgar strinse a sé il corpo nudo della donna, sotto le coperte. “Potrò iniziare a combattere per l’impero e sarò sempre in giro, ma prima devo fare una cosa.” Sussurrò contro le labbra della giovane.
Lei lo guardò incuriosita. “Cosa?”
“Sposarti.” A quella parola lei sentì balzarle il cuore in petto e si sollevò di scatto a guardare l’uomo che amava negli occhi. Non ci poteva credere: lo sguardo era serio, non la stava prendendo in giro.
“Ma, tu … tu sei un soldato, ed io invece sono la figlia di un allevatore di pecore e...”
“Io non sono un soldato, sono estraneo a qualunque regolamento valido per un legionario comune. Fidati, ti potrei sposare anche domani, ma preferisco attendere la consegna dei denarii.”
“Ma …”
“Shhh basta parlare, adesso baciami, ti spiegherò tra qualche giorno, quando verrò a casa di tuo padre per chiederti in sposa.” La guardò dubbioso, incerto ora. Lei non aveva replicato nulla, se non quelle deboli rimostranze. “Tu mi vuoi sposare, Livia?”
La donna rise, con le lacrime agli occhi per la commozione, e si chinò a baciarlo sulle labbra. “Sì, certo che ti voglio sposare!”

I due giovani si accomiatarono molte ore dopo, la luna stava calando sotto l’orizzonte quando l’uomo nascosto tra le fronde di un albero li vide baciarsi con passione. Pensò che Wulfgar era un uomo romantico in fin dei conti e questo sarebbe potuto diventare un problema in futuro. Ma ne avrebbe parlato con lui molto presto. Era sicuro di esser stato scoperto, ma Wulfgar non aveva dato segni di averlo notato, molto bravo. Non si mosse per non mettere in pericolo la ragazza da un’eventuale reazione del suo amante.
Dopo alcuni istanti i due si salutarono, lei rientrò in casa mentre Wulfgar si allontanò lungo un tratturo in mezzo al prato. Quando giunse vicino all’albero si fermò e fissò il ramo più basso.
“Magister, puoi uscire. Adesso sono solo.”
Un’ombra calò dall’albero posandosi silenziosa a terra.
“Come hai fatto a capire che ero io?”
“Intuizione. Al campo nessuno mi è superiore, lo hai detto tu stesso, quindi potevi essere solo tu.” Il tono della voce non esprimeva alcun sentimento di orgoglio o superiorità rispetto ai propri compagni, semplicemente il giovane aveva riportato i fatti.
“Adesso cosa pensi di fare?”
Wulfgar guardò il proprio Magister chiedendosi cosa intendesse. Poi comprese, quindi si girò verso la valle e riprese a parlare cercando di impostare il discorso con una tonalità neutra.
“Pensavo di sposare quella ragazza, dopo aver superato la prova ed aver ricevuto il denario.”
“Potrebbe essere un problema, tu non dovresti avere legami. Se proprio la vuoi dovrà essere nascosta oppure sareste entrambi a rischio. Se nemici dell’impero scoprissero la tua famiglia potrebbero usarla per manipolarti. Queste cose sono già accadute nel recente passato.”
“Lo so Magister, ti riferisci alla guerra civile guidata dai riformisti.”
Con uno sguardo triste Gawain estrasse da sotto la tunica un collana. “No. Te lo dico per esperienza personale. Un famiglia ti rende vulnerabile, Wulfgar. Anche alla tua stessa ira.”
Il belgico osservò il modo in cui il suo magister carezzava, con rimpianto quasi, il pendente e temette di aver capito quale potesse essere stata l’esperienza personale di cui aveva parlato. Il suo cuore si dolse per lui, ma il viso rimase una maschera impenetrabile. “Ma io non farò quell’errore: mi presenterò come un mercante con pochi soldi, Livia rimarrà qui con la sua famiglia ed ogni volta che tornerò a casa sarò solo quel mercante.”
Il suo interlocutore annuì in silenzio senza essere visto. Poi chiese, curioso: “Dimmi Wulfgar, perché dovrei permetterti di prenderti una donna di quest’isola come sposa?”
Il belgico voltò la testa a guardare il suo mentore. Sorrise bieco. Non avrebbe dato una risposta che era scontata. Lui l’avrebbe sposata comunque, la sua Livia, con o senza il permesso del Magister. “Quanto hai scommesso con l’aio Druso?” Chiese invece.
“Cosa pensi…”
“Andiamo, maestro, Druso si divertiva un mondo a scommettere con il centurione Manlio Cornelio sulla sua incapacità di prendermi, quando eravamo in Gallia Narbonense. Ora, dopo tutti questi mesi, arrivi qui e non dirmi che non lo sapevi dove andavo tutte le notti.”
“Un sesterzio.” Replicò asciutto Gawain.
“Uno… solo?”
Con una risata il Magister si avviò verso il campo. “Non vali molto di più. Ti ho preso subito, no?”

L’alba giunse sul campo e nessuno aveva notato il minimo movimento a parte i rumori della notte, alcuni animali ed un po’ di vento. Il centurione fece suonare la sveglia e sicuro si diresse verso la tenda dove avrebbe atteso che i compagni di Wulfgar uscissero per scoprire il suo giaciglio vuoto.
“Avanti ghiri muovetevi non siamo alle terme. Tutti fuori da questa tenda!”
L’aio uscì lentamente dalla propria tenda sentendo le urla del centurione ed andò ad affiancarsi al magister attendendo l’esito della scommessa. Quando tutti furono usciti dalla tenda il legionario stava per entrarvi trionfante, ma si bloccò vedendone uscire un’ultima figura.
“Cosa ci fai tu qui?” Urlò il centurione livido in volto.
“Ci dormo, signore, come sempre.”
La risposta data con finta ingenuità urtò ancor di più l’uomo che sbottando urlò loro che avevano poco tempo per mangiare e prepararsi, mentre voltava loro le spalle sfogando la sua rabbia sulla prima recluta che trovò ricoprendola di incarichi e di insulti, in pari misura.
Druso osservò il suo vecchio allievo guardare il belgico aggrottando la fronte, le braccia incrociate sul petto. Era stato davvero bravo, quella volta nemmeno Gawain si era accorto di quando fosse rientrato, nonostante fuori del campo fosse stato facile sorprenderlo.
Wulfgar guardò i suoi insegnanti e sorrise allegro. Allungò una mano ed i compagni, immusoniti ma ridenti, vi posero ciascuno una moneta. Le mostrò, alle spalle del centurione e nascosto alla sua vista, ed il Magister Ombra per poco non cedette alla tentazione di ridere, sentendo la fragorosa risata di Druso al suo fianco. Un sesterzio a testa.
Il vecchio aio si limitò a far tintinnare il proprio portamonete. Da quello che aveva visto, credeva di sapere chi sarebbe stato il prossimo Magister Ombra.
“Maestro, potrei detestarti.”
“Lo so, Magister. Paga e taci.”



Scritto da: Elios Tigrane
Revisionato da: Atia Rubinia

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