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RACCONTI: Antico Credo - 2


Omar guardò il porto di Alexandria avvicinarsi, alzò lo sguardo sopra al tetto della grande biblioteca e aguzzando la vista notò ciò che cercava. Sorrise rilassato, era da molto che non tornava in Aegyptus, ma non aveva altra scelta per mettere in pratica il suo piano: aveva bisogno di uomini.

Li avrebbe sicuramente trovati anche a Roma, ma sarebbe stato un po’ più complicato senza l’avvallo di Archantes e poiché lui non aveva tempo da perdere ad aspettare il nulla osta di quello che non era altro che un suo successore, anche se non lo sapeva, aveva optato per fare una capatina veloce nelle antiche terre di Khem.

Mosse il remo della piccola imbarcazione a vela quadra e imboccò il ramo del Delta che affiancava la città: doveva recuperare qualche provvista e approntare il tutto per il viaggio di ritorno e sarebbero stati quattro giorni altrettanto faticosi con quel guscio di noce. Ma visto il periodo era l’unica possibilità: nessuno si avventurava in mare aperto con una nave oneraria o una triera in febbraio. Aveva dovuto quindi fare da solo. Il vento e l’acqua erano elementi che gli erano alleati da sempre e non era stato complicato ottenere un sostanziale aiuto durante la navigazione. Si era anche trattenuto, ma il risultato era lo stesso: era sfinito e aveva bisogno di dormire.

Quindi, pensò, nanna, pappa, nanna e poi provvediamo al resto.

In realtà come attraccò la barchetta a un palo abbandonato e saltò giù sulla riva erbosa del Nilo, un capogiro lo spinse a rivedere le sue priorità. Con un fischio attirò l’attenzione di un pescivendolo e ordinò del pesce salato, quindi fece lo stesso con il panettiere poco più avanti e il vinaio. Rimpinzate le scorte e date le indicazioni di dove stivare il tutto, con un pasticcio di carne in mano si avviò verso il centro della città. Quando giunse a Rakhotis si limitò a inarcare il sopracciglio al truce scrutinio cui fu sottoposto da uno strano tizio accanto all’arcata che delimitava il quartiere più antico della grande città dal resto. L’uomo si avvide del medaglione che il nuovo venuto portava, lo scrutò attento strizzando gli occhi, quindi li spalancò sorpreso.

Con un rapido inchino chiese in uno stretto dialetto al nuovo venuto se avesse già dove alloggiare e Omar, nella stessa sdrucciolevole lingua, rispose che era giunto lì proprio per quello. E per parlare con Archantes.

Fu cerimoniosamente scortato al Leviatano, nome moderno e incrostazioni antiche di una taberna che oltre a offrire pasti, birre egiziane ed egiziane, offriva anche letti a prezzi a misura di ospite. Omar crollò sul letto e lo abbandonò solo dopo un giorno e mezzo di sonno, ritemprato anche dal caloroso ed entusiasta saluto di una delle egiziane già citate.

Si mosse con cautela e sceso nella sala comune si guardò intorno fino a che non individuò chi gli interessava: un uomo seduto in disparte con una tunica plissettata bianca come la neve alpina e un cappuccio tirato sugli occhi a celare il volto.

Senza scomporsi Omar ordinò e sotto lo sguardo sospettoso e stranito dell’oste andò a sedersi al tavolo di quell’assassino di Seth.

«Che la mano del Grande Padre sia su di te, fratello.» Si annunciò, con freddezza.

«Che il suo sguardo vegli la tua Ba.» Rispose l’altro con altrettanto freddo distacco.

Si scrutarono per un lungo momento, fino a quando non furono interrotti dal pasto portato dall’oste. Omar iniziò a mangiare di gusto, offrendo il cibo anche all’altro che, dopo un primo momento di incertezza, accettò con grazia. Calò il cappuccio, rivelando un viso spigoloso e capelli corvini, la pelle abbronzata che risaltava il grigio degli occhi.

Omar sorrise feroce quasi, immergendo il proprio sguardo d’acciaio in quello di peltro dell’assassino. «Niente meno che un Aziru ad accogliermi.»

«Ci conosciamo?»

«No, ovviamente. Ma io conosco voi: gli egiziani dagli occhi d’argento son piuttosto rari.»

«Ormai si sta perdendo, tende a rimanere solo ai maschi e neanche a tutti. Oltre a me, solo il secondo figlio di mio fratello Kenzher li ha, tra le ultime tre generazioni.»

«Capisco. Dimmi, Archantes ha risposto al mio appello?»

«Hai il permesso di andare al Grande Tempio. Sono qui apposta per scortarti.»

«Avete fatto in fretta. Ottimo. Andiamo?»

«Non finisci di mangiare?»

«Mangerò per strada. La mia barca è già pronta.»

«Lo so.»

Senza altri convenevoli se ne uscirono dopo che Omar ebbe lasciato una mancia speciale all’oste per il disturbo, quindi una volta raggiunta la barca di Omar salirono, mollarono l’ormeggio e iniziarono a risalire il ramo del delta aiutati dal vento. Imboccarono alcuni canali che tagliavano tra i rami naturali per favorire l’irrigazione dei campi e velocizzare lo spostamento in quel labirinto di acqua e terra.

Giunsero infine ad Avaris e Omar sentì all’improvviso il cuore levarsi leggero. Si sentiva a casa. Ormeggiata la barca e ammainata la vela, i due si avviarono per le vie cittadine: l’assassino di Seth affiancato da uno straniero che vestiva con una foggia che quasi nessuno riconosceva. Ma anche lui portava al collo un medaglione di Seth e tanto bastò alla gente per cedergli il passo, per quanto tutti lo guardassero con sospetto e dubbio: perché, se anche lui era un appartenente all’ordine, non portava la tunica bianca e il cappuccio come tutti?

Aziru Kysen si chiedeva la stessa cosa, ma tenne per sé la sua curiosità, pari solo alla conoscenza di quell’uomo delle origini e caratteristiche della sua famiglia. Ne aveva parlato perché considerava la questione di scarsa importanza, ma ora si chiedeva se avesse fatto bene. Non riusciva a decifrare quell’espressione che aveva avuto quell’Omar e dovette tenersi la curiosità poiché erano giunti al Grande Tempio in occasione dei riti sacerdotali della sera.

Attesero che fossero compiuti composti, gli occhi argentei di Omar puntati al deserto alle spalle del tempio. Si riscosse solo quando un accolito venne a chiamarlo per condurlo da Archantes, in seduta plenaria con il consiglio. Kysen lo seguiva con un leggero sorrisetto sulle labbra, evidentemente si aspettava una mossa del genere, Omar però non lasciò trapelare nulla delle sue emozioni. Impermeabile a tutto arrivò davanti al consiglio, ad Archantes e a tutti gli altri fratelli che – spinti dalla curiosità – si erano radunati per vedere cosa stava succedendo.

Omar compatì la donna davanti a lui. Era giovane, troppo. Non aveva ancora vent’anni. Si aspettava che il Gran Maestro, l’Archantes, fosse un po’ più maturo.

«Salute a te, Archantes, sono Omar delle Terre Nere e sono tornato a casa. Che lo sguardo del Grande Padre vegli sulla tua ba, accogli la mia richiesta.»

Archantes alzò il mento, fissando quel trentenne con arroganza. Lo squadrò fredda, forte della sua magia e della sua posizione, benché fosse a piedi nudi seduta sulla scranna che la dichiarava capo di tutti gli Assassini di Seth. Poi adocchiò il medaglione che l’uomo portava al collo e si alzò quasi di scatto, avvicinandosi a lui, continuando a osservare l’oggetto al collo di quello che considerava un intruso e che aveva tutte le intenzioni di smascherare.

Arrivata a meno di tre palmi da Omar, la donna rimase inchiodata sul posto da quello che vedeva. La mano corse rapida al gemello di quello, appeso al suo di collo.

Sapeva che ne esistevano due, ma da quello che le era stato detto uno era al collo del fondatore e l’ordine era stato fondato quasi duemila anni prima.

Lo so che sei sorpresa donna. Dopotutto, quello che tu credi ti sta davanti in piedi. Ma ora dovresti accantonare i tuoi propositi di sbugiardarmi e darmi una mano. Di tua spontanea volontà, preferibilmente: sarebbe più comodo per tutti.

La voce, la sua voce, le penetrò la testa come una lama calda penetra nel burro, scavalcando con estrema facilità tutte le sue barriere. Alzò gli occhi a fissare quelli grigi dello straniero.
Deglutì.

Ho bisogno del tuo aiuto, me lo concedi o devo prendermelo?

Archantes fece una cosa che non credeva di poter fare mai con qualcuno che non fosse il suo dio. Si inginocchiò fino a posare la fronte a terra.
«Chiedi, Maestro Supremo, e ti sarà dato.»

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