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RACCONTO: The Fate of Eberron - 15


Lorian e Fender rimisero la griglia al suo posto non appena Sylvion si fu allontanato travestito da elfo gay, come l’aveva definito il forgiato appena il changeling se n’era andato, e tornarono a rifugiarsi nel profondo delle fogne.
Lorian aveva davanti a naso e bocca, come Sylvion fino a poco prima, una maschera che filtrava l’aria
con sali profumati in modo da non restare asfissiati dal forte odore.
«Certo che poteva anche trovare un’altra strada che non fosse per le fogne. Adesso puzzeremo per un mese come minimo.»
Fender fece spallucce e incrociò le braccia al petto, disponendosi all’attesa, non si lasciò scappare comunque l’occasione di rinfacciare una cosa al vecchio amico: «Se non fossi stato sprovvisto del mio blazer-cannon, stamattina, non si sarebbe posto il problema.»
«Ne abbiamo già discusso.»
«Rivoglio il mio cannone al braccio!»
«Già siamo nei casini e fin troppo nell’occhio del ciclone, non mi sembra il caso di ingigantire la cosa fornendo un forgiato di un cannone al plasma.»
«Invece spiattellare a tutti il tuo essere un Artimagius va bene?»
«D’accordo, ammetto che non è stata una delle mie mosse migliori, però ammetti che ha funzionato.»
«Se intendevi farci arrestare tutti, allora sì: ci sei riuscito benissimo!»
«Piantala.»
«Rivoglio il mio blazer-cannon.»
«No. E poi abbiamo altro da fare.»
«Tipo andare negli ingranaggi a trovare papino?»
«Sì.»
«L’accesso dal tuo laboratorio è off-limits, ormai. Come pensi di arrivarci?»
«Troveremo una strada.»
Fender non rispose subito, poi, se avesse potuto lo avrebbe fatto davvero, emise un verso che aveva associato a quell’espressione umana definita “ghigno”.
«Che hai adesso?»
«Diciamo che la strada puoi anche trovartela da solo. Io invece penso che tornerò a palazzo Cannith a fare qualche chiacchiera con il Sommo Lord… potrebbe essere un incontro interessante.»
Lorian guardò in tralice il vecchio amico. «Che cosa?!»
«Hai capito benissimo.»
«Ma… Cazzo ti sei messo in testa?»
«Te l’ho detto: rivoglio il mio cannone. O tu me lo ridai, o io vado a fare una chiacchierata con il Sommo Lord Cannith e puoi dire addio definitivamente alla ricerca di papino.»
Lorian si rabbuiò a quel tradimento. «Bastardo.»
«Ho un ottimo esempio, non prendertela con me.»
«Maledetto!!»
«Perché ti inveisci contro da solo?» Domandò serafico il forgiato; non contento di aver messo alle strette l’amico, ora si divertiva a punzecchiarlo.
«Ma smettila, cazzone di una lattina. Dopo che avremo risolto questa cosa ti ridarò il tuo fottutissimo cannone.»
Fender annuì più volte, socchiudendo gli occhi di vetro animato in una parvenza di espressione conciliante. Per tutta risposta Lorian gli tirò un calcio – facendosi peraltro male – e, giusto per infierire un altro po’ Fender gli chiese: «Ma noi forgiati, non eravamo tuoi fratelli?»
«Dammi la pinza e una chiave da dodici e ti faccio vedere quanto amo i miei fratelli in questo momento!»
Fender dovette silenziarsi per lasciarsi andare all’allegria della risata senza attirare attenzioni indesiderate.

Sylvion proseguì per la sua strada, quindi per vedere come funzionava quella chiave magica che aveva rubato, si avvicinò a una porta e la passò davanti a un congegno come aveva visto fare a un altro militare.
La pietra blu infissa sulla parete si accese, quindi due rune si illuminarono alternativamente mentre si sentiva un sonoro “stok” che sganciava la sicurezza della porta. Entrò, trovandosi finalmente nel posto che stava cercando: l’ala degli uffici.
«Ehi Frank! Come mai da queste parti?»
Sylvion tossì e fece dei cenni, poi come senza fiato disse: «Il direttore mi ha chiamato… ma non mi ha detto coff coff coff dove devo coff coff andare coff a prenderlo!»
«TU?!»
Sylvion annuì, fingendo di riprendere fiato.
«Ma non sei autorizzato! Non hai il pass per l’ascensore che porta al suo ufficio!» E dicendo questo il soldato sventolò il suo.
Pochi istanti dopo osservò la sua mano con il detto pass – un’altra chiave magica con sigilli Kundarak di interdizione questa volta blu notte – rotolare a terra mentre dal moncherino il sangue usciva a fiotti. Non urlò come avrebbe avuto intenzione di fare: una seconda lama si era infatti infilata tra due costole a forare il polmone che, riempitosi di sangue, stava producendo un’interessante schiuma rosata che fuoriusciva dalla bocca della vittima.
Sylvion sorrise truce, mentre il suo viso cambiava di nuovo forma sotto lo sguardo morente del militare, assumendo con profondo orrore di quest’ultimo proprio le sue sembianze. «Adesso ce l’ho.»
Trascinato il corpo in uno sgabuzzino poco distante, ringraziò Khiber dell’assenza di altro personale a quell’ora di sera. Trovò degli stracci e raccolse alla bell’e meglio il sangue sul pavimento, gettò la mano in un angolo e si avviò con la nuova chiave all’ascensore.
La usò per far arrivare il sistema di trasporto, le due guardie all’interno rimasero inchiodate contro le pareti laterali dalla sua mossa fulminea: come la porta scorrevole si era aperta, Sylvion era balzato all’interno con le lame sguainate e prima ancora che potessero emettere un fiato le aveva piantate nelle gole, in un gesto di perfetta simmetria.
Arrivò al quarto piano dopo un po’ che armeggiava con le varie chiavi che erano entrate a far parte della sua collezione e dopo aver imboscato i corpi sopra il tetto della cabina. Mutò di nuovo aspetto e uscì lesto dall’ascensore attendendo per un attimo prima di presentarsi dal direttore. Per fortuna in quell’androne davanti alla porta dell’ufficio non stazionava nessuno.
Accanto alla porta con la dicitura “direttore” ce n’era un’altra più piccola. L’aprì e sbirciò dentro, vedendo due soldati appisolati sulle sedie con i piedi sulle scrivanie. I segretari. Sorrise mellifluo, ma resistette alla tentazione di entrare a tagliar loro la gola. Sarebbero tornati utili.
Richiuse piano la porta e andò a bussare all’altra.
«Avanti!»
Entrò silenzioso e si avvicinò alla scrivania, posizionandosi davanti. Rimase zitto e attese che l’uomo alzasse la testa dalle carte che stava studiando.
«Che c’è?» Lo appellò invece senza degnarlo di uno sguardo.
«Si tratta del prigioniero Jekis, signore.»
La voce, sconosciuta, ottenne il risultato sperato: il direttore alzò la testa di scatto, aprì la bocca per sbraitare qualcosa che gli morì sulle labbra, tacitate dalla lieve pressione della punta acuminata contro il pomo d’adamo che, andando su e giù nervosamente per deglutire l’urlo, si graffiò leggermente. «Bravo, vedo che sei saggio.»
«Cosa vuoi?»
«Jekis.»
«I-io… non posso…»
«Sì che puoi. Dimmi dov’è e forse ne esci vivo.»
L’uomo rimase chiaramente interdetto. Ci pensò chiaramente troppo a lungo per i gusti di Sylvion che gli diede un ulteriore incentivo a rispondere frettolosamente e con voce strozzata: «Blocco tre, secondo piano, cella quarantadue.»
«Un carcere attrezzato, non c’è che dire.»
«Sharn è una grande città…»
«Eh, già. Piena di criminali, vero?»
«S-s-sì…»
«Sai? Ne hai uno proprio di fronte.»
E con queste parole la lama affondò nella gola, versando sulla ricca moquette marrone scuro un tributo di sangue che andò a scurirla maggiormente.
Mentre il cadavere del direttore crollava a terra accompagnato dalla salda presa del changeling, il cicalino verde sulla scrivania prese a lampeggiare e a produrre un rumore piuttosto fastidioso. Guardò dal cadavere alla pietra magica di comunicazione, quindi fece spallucce e per l’ennesima volta mutò aspetto prendendo quello del direttore. A sua volta la tuta reagì con la sua magia, divenendo l’uniforme da colonello indossata dall’uomo, almeno nell’aspetto. Sfiorò il cristallo e raccolse la tazza fumante sedendosi sul bordo della scrivania.
«Cosa c’è?» Ringhiò, imitando la voce del defunto ai suoi piedi.
«Signore! Il generale di Cyre! L’abbiamo presa, signore!»
Il direttore rimase in silenzio a osservare la figuretta verde della guardia al cancello torcersi le mani esagitato nell’aspettare una reazione che, evidentemente, tardava ad arrivare. «Ottimo lavoro figliolo. Dov’è adesso?»
«La stanno portando all’acquario.»
Acquario? Che è, la mettono in salamoia? Scosse la testa per liberarsi da quel pensiero e ruggì: «Prima portatela qui.»
«Lì, signore?»
«Sì, qui in ufficio da me. Intendo interrogarla prima di metterla dentro.»
«Come… come ordinate, signore. Però… non sarebbe meglio nella sala degli interrogatori?»
«No. Sono sicuro che il generale avrà molte cose da dirci e voglio essere comodo.»
«Beh…»
«Muovi il culo e piantala di farmi perdere tempo. La voglio nel mio ufficio entro cinque fottutissimi minuti!»
Chiuse la comunicazione con un gesto brusco.
Guardò truce il cristallo che lentamente si spegneva.
Bevve un sorso della fortissima e bollente tisana.
E finalmente si lasciò andare a una forte risata liberatoria. Khiber vegliava su di loro, ora ne era certo.

Anat inarcò incuriosita un sopracciglio quando sentì il ragazzino al cancello rincorrerli per riferire le nuove disposizioni del direttore del carcere di massima sicurezza di Punta di Spada.
Come passarono per un corridoio un forte odore di sangue le penetrò le narici e un dubbio le penetrò la testa insistente. Non poteva essere, ma se due coincidenze facevano un indizio… tre indizi fanno una prova, pensò quando l’odore del sangue si fece più forte nell’ascensore e sentì i commenti dei tre uomini che la scortavano armati fino ai denti sull’assenza della guardia all’ascensore.
La prova fu, ancora una volta l’odore.
Odore inconfondibile di sangue, fogna e changeling.

Il direttore la squadrò severo, seduto nella sua grande poltrona in pelle con i poggioli in legno finemente lavorati, dietro un’ampia scrivania ingombra di carte, penne d’oca, stili e inchiostri blu e neri.
«Lasciateci.»
«Ma, signore…»
«È ammanettata, giusto? Allora ammanettatela alla sedia e andatevene. Cosa potrà mai fare così legata?»
I tre annuirono poco convinti, prima di obbedire e dopo un tempo fin troppo lungo per i suoi gusti. Sorrise nascosto dietro le mani intrecciate davanti alla bocca, fissandosi occhi negli occhi con il famigerato generale di Cyre che si era limitata a inarcare ironica un sopracciglio.
L’azione iniziò quando il generale vide spuntare la lama, uno scatto che era stato scoperto dal secondo scatto che la liberavano dalle manette. Le braccia libere, per quanto tenute da forti mani maschili, scattarono di lato colpendo allo stomaco i due uomini di lato.
Anat si gettò in avanti puntellando le mani a terra e sollevando le gambe le aprì a colpire sui denti i due soldati. La lama volò tra le sue gambe a inchiodare contro la parete il terzo che stava armando la sua blazer-gun che, cadutagli di mano, si spense inerte.
Anat finì a pugni l’opera gratificando un soldato di un gancio sinistro sotto il mento e un diretto al naso, mentre il secondo ricevette in dono un diretto micidiale alla mascella che lo stese subito.
Scuotendo le mani la ragazza guardò i tre. «E il direttore che fine ha fatto? Dall’odore non credo che sia stato fortunato come i due che ho appena steso.»
«No, in effetti non lo è stato.»
«Non voleva collaborare?»
«Mah, per collaborare ha collaborato, ma sai: meglio prevenire che curare.»
«Hai avuto la stessa cura anche lungo la strada per venire qui: c’è una puzza di sangue impressionante, copre addirittura la puzza di fogna che ti porti addosso.»
«Ehi, calma con gli insulti, ok?»
«Veramente è un odore che si sente chiaramente, non voleva essere un insulto.»
Sylvion sbuffò. «Siamo passati dalle fogne, direi che è normale che si senta: non hanno ancora inventato qualcosa che tolga questa puzza di dosso.»
«Veramente c’è e si chiama bagno.»
«Spiritosa.»
Anat si guardò intorno critica. «Bel casino, come se non bastassero le morti di oggi.»
«Potevano fare a meno di spararci contro.»
«Ah. Non ne vedo nemmeno uno con le armi in pugno però.»
«Parlavo di stammatima.»
«Se tu e Fender non vi foste buttati giù a quel modo non sarebbe successo niente. Invece no, voi dovete sempre strafare, vero?»
«Dimmi una cosa, Anat.»
«Cosa?»
«Cosa ci guadagni a farci una filippica del genere ogni volta, quando tu sei la prima a far casino e più di tutti gli altri?»
«Io faccio casino solo se è necessario.» Rispose piccata lei, incrociando le braccia al seno, salvo poi lasciarle cadere subito lungo ai fianchi facendo tintinnare quegli inossidabili braccialetti.
«Sì, come no.»
«Comunque sia, meglio evitare di ammazzare altra gente se non è assolutamente necessario. Abbiamo una specie di reputazione qui che è andata a puttane in meno di un giorno.»
«Quindi…»
«Quindi cerchiamo di salvare il salvabile.» Lo interruppe brusca lei. «Dove sono gli altri due?»
«Nel condotto fognario che attraversa il piazzale principale.»
Affacciandosi alla grande finestra dietro la scrivania Sylvion le indicò il piazzale. Giratasi per non cedere al senso di fastidio che l’altezza le provocava Anat vide il direttore: rannicchiato sotto la scrivania marciva nel suo stesso sangue. Lo riconobbe.
«Merckarin Karunnat. Figlio di puttana.»
«Te lo avevo detto che era un’azione preventiva.»
«Beh, potevi dirlo prima.»
«Sai che non amo dilungarmi in chiacchiere amene.»
«Toh, adesso parla anche difficile. Avanti, dimmi: qual è il piano?»
E Sylvion glielo spiegò. Anat lo corresse in un paio di parti e poi si avviarono, dopo aver recuperato la sacca con i loro averi confiscatale da una delle guardie: lei davanti, con le mani dietro la schiena, lui dietro, con la blazer-gun puntata alla schiena della donna e le manette strette in pugno, così da far credere che fosse completamente inerme e legata.
Avanzarono verso le celle del blocco tre, salirono al secondo piano dove, per fortuna, c’erano altre celle libere e si inoltrarono inscenando una commedia di direttore cattivo e prigioniera ringhiante – pur avendo collaborato per la cattura dei suoi compari – a beneficio delle varie guardie che incrociarono.
Quando passarono davanti alla cella quarantadue il direttore diede ordine di fermarsi. «È qui che sta rinchiuso quel bastardo di Jekis, vero?»
«Sissignore!» Rispose prontamente il giovane.
«Bene. Apri la cella!»
«Cosa?»
La giovane sentinella si ritrovò a fissare le tre bacchette d’arco mistico della blazer-gun che si illuminavano. Aprì veloce la porta blindata che immetteva in una cella squallida: della paglia lungo le pareti, che sarebbe dovuta essere cambiata mesi e mesi addietro, era l’unico posto dove potersi stendere e dormire, se non ci si soffermava sul pensiero di quali e quanti ospiti indesiderati si sarebbero potuti raccogliere in una sola ora di sonno.
Jekis sollevò la testa e guardò in direzione della porta. Rimase basito e immobile mentre la figura minuta, tutta curve e maledettamente invitante della morfica in forma umana si stagliava illuminata dal globo arancio che teneva in mano.
«Che mi venga un colpo. E adesso?»
«Adesso andiamo via, capitano.»
Jekis si guardò intorno. Lui non aveva fatto nulla di male eppure era in prigione a marcire per colpa di altri, impedendogli di svolgere il suo compito. Non aveva fatto nulla e aveva fiducia nella giustizia. Tranne quando voleva un colpevole a tutti i costi e sembrava averlo trovato in lui.
Non gli piaceva particolarmente l’idea di infrangere la legge, ma a ben vedere non aveva alcuna intenzione di affrontare il salto del Jiin. Senza contare che il tempo stava per giungere e aveva un compito da svolgere. Era da quando aveva ricevuto quella visita inattesa a casa sua che non faceva altro che pensarci e ripensarci. Il tempo era prossimo. La luna nuova era giunta.
Si alzò e fece il saluto militare senza mettersi sull’attenti.
Anat gli lanciò un mozzicone di sigaro che il capitano prese al volo e si mise tra i denti. Avvicinandosi alla donna sorrise e il suo viso di cartapecora si ricoprì di rughe, enfatizzando l’età e le vicissitudini di quel viso cotto dal sole delle Lande Gementi.
«Agli ordini, generale.»

Lorian e Fender stavano quasi per intervenire quando si iniziarono a sentire le sirene. Poi, prepotentemente, qualcuno piombò dall’alto nel canale sotterraneo sollevando onde e schizzi di melma puzzolente, acqua marcia e chissà quali altri liquami. L’artefice fu colto da conati di vomito, subito dopo in rapida successione altri due corpi piombarono nei liquami delle fogne con lo stesso risultato, salvo che Anat, investita dagli afrori senza via d’uscita per poco non svenne.
Fender la prese al volo, prima che le ginocchia toccassero il fondo melmoso e le tappò il naso guardando gli occhi vitrei della donna.
«Non abbiamo tempo per queste stronzate.»
«Scusa se ho un olfatto terribilmente sviluppato. Non funzionerà per almeno un mese, adesso.» Ribadì scocciata lei, sostituendo le grosse dita metalliche con le proprie e continuando a parlare con voce nasale: «Volevi staccarmelo?»
«Magari funziona.»
«Stupido.»
«Piantatela voi due! Cazzo, dobbiamo procedere al buio finché siamo sotto all’area del porto!» Interloquì con un sibilo iroso il changeling, mentre Lorian prontamente spegneva il globo luminoso.
Anat sbuffò: «Dimmi la strada, poi una mano sulla spalla e mi seguite.»
«Eh?»
«Io ci vedo al buio.»
«E come mai, se posso?»
«Mamma era mezza nana. Comodo, no?»
«Ah, si spiegano molte cose, allora.»
«Sylvion?»
«Sì?»
«Vedi di andare a farti fottere.»
Trattenendo le risatine si incamminarono dietro alla morfica, mentre il changeling indicava svolte e cunicoli da prendere fino al rifugio che lui, Lorian e Fender avevano abbandonato nel tardo pomeriggio per andare là.


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