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Aleksandros - Il diplomatico (Parte III)

Il giovane trasecolò alle parole della zia. La guardò negli occhi e si perse nelle profondità ametista della donna, che lo fissavano con odio e disprezzo, dolore e tormento. Dubbio e tristezza.
“Marc’Antonio, mi dispiace dirtelo, ma sarebbe stato meglio per te che fossi morto durante quell’attacco.” La voce atona del senatore confermò quanto detto dalla donna in piedi accanto a lui.
La donna avanzò di un passo, spostando il pugio sul piano della scrivania in direzione del ragazzo sancendo la sua condanna: “Comportati da uomo e riscatta l’onore di tuo padre.”
Il ragazzo si sentì gelare il sangue nelle vene ed iniziò a sudare freddo, non poteva credere di essere caduto proprio nelle mani di colui che aveva fatto sterminare la sua famiglia. Soprattutto, non riusciva a credere che fosse successo senza un valido motivo. “Perché zio?” Chiese flebile, spostando lo sguardo dall’uno all’altra, confuso. “Cosa ti ha portato a questo? Sei sempre stato giusto e mi hai insegnato a seguire le regole e le leggi dell’impero quale motivo ti può aver spinto ad uccidere tua sorella ed ora eliminare anche me? I giorni passati a giocare insieme non contano più nulla?”
Calde lacrime rigavano il giovane viso sporco di sangue e terra, lasciando strie chiare sulle gote magre e scavate da giorni di digiuno. Azia aveva studiato attentamente tutto il comportamento del giovane ed infine comprese l’amara realtà: Marco Antonio non era a conoscenza della verità.
Posò nuovamente una mano sulla spalla del marito, dicendogli: “Spiegagli, è giusto che sappia cosa ha fatto e chi era suo padre. Che sappia chi è lui e che decida da uomo.” Lasciandosi andare ad un sorrisetto ironico concluse: “Ora è il paterfamilias, deve prendere da sé le sue decisioni.”
Il senatore Severo annuì con tutta la gravitas della propria carica alle sagge parole della moglie. Anche lui si era reso conto che Marc’Antonio non era al corrente dei misfatti che gravavano sulla sua gens. “Azia, vai a prendere una brocca di vino e tre calici, per favore? Intanto inizio spiegargli come stanno realmente le cose.”
Il tono gentile dell’uomo cambiò immediatamente non appena la bella domina ebbe chiuso la porta diretta alle cucine. Certe cose era bene che rimanessero all’oscuro della servitù.
Il giovane non vide dinnanzi a sé lo zio, ma l’implacabile senatore romano, che iniziò a parlare lasciando ben pochi dubbi sul fatto che stesse dicendo la verità: “Sarò breve, così capirai i fatti e ne accetterai le conseguenze, come ti ho sempre insegnato. Tua madre, mia sorella, non aveva sposato un mercante come ti hanno sempre fatto credere, bensì Tito Iulio Cornelio, figlio di Teodoro Iulio Cornelio, il Riformatore. Il fratello traditore del nostro amato Imperator.” A quelle parole il giovane sbiancò. Conosceva fin troppo bene quella storia. Implacabile, Domiziano proseguì: “Ho sempre pensato ti tenessero nascosto per paura che qualcuno attentasse alla tua vita, ma in realtà sono stati loro ad attentare alla vita dell’imperatore affinché tuo padre ne prendesse il posto. Alcune fortuite circostanze e l’intervento di amici potenti di cui tuo padre non conosceva l’esistenza hanno impedito l’avverarsi di tale evento.”
In quel momento entrò Azia con un vassoio, versò il vino nei bicchieri, posandone uno sulla scrivania per il giovane e, sedendosi a fianco del marito, gliene porse uno. Questi con un gesto automatico lo prese e ne bevve, subito imitato dal giovane tremante.
Ora si spiegava perché Publio lo chiamava sempre “Principe”. “E poi ?” Chiese Marco Antonio con voce rotta, temendo la risposta.
Domiziano abbassò un attimo il capo per ricacciare l’emozione del momento e riprendere il controllo di sé. Il tradimento della sorella era una ferita profonda nel suo cuore. “Poi, accadde quello che è sempre accaduto in questi casi: la guerra civile, il ripristino dell’ordine, la punizione dei ribelli vinti. I tuoi genitori sono stati catturati e condannati a morte come tutta la loro famiglia così come vuole la legge. Per mia intercessione l’Imperatore ha risparmiato il ramo della gens Severa a lui fedele, ma la casa dove tu vivevi e tutte le proprietà della tua famiglia dovevano essere distrutte. Secondo i dettami della legge nessun possibile ribelle doveva restare in vita.”
Il giovane Iulio lasciò cadere a terra la coppa vuota e scoppiò in un pianto dirotto.
“Smettila di frignare, ragazzino.” La voce dura della zia lo fece sussultare ed alzare il capo a fissare ancora una volta gli occhi spettacolari e carichi di odio della donna.
“Erano pur sempre mia madre e mio padre…”
“Sporchi assassini infanticidi.”
Domiziano strinse la mano della moglie. “Giustizia sarà fatta anche per quel loro crimine, amore.”
Il giovane guardò dall’uno all’altra, intimorito e confuso. Come mai la voce fredda e dura della zia sembrava rotta dal pianto? Perché i suoi occhi sembravano velati dalle lacrime, così come quelli dello zio?
La donna si riscosse vedendo lo sguardo smarrito di Marco Antonio. Crudelmente sorrise, mentre un’idea prendeva forma nella sua testa. Domiziano aveva sempre parlato bene del ragazzo, a discapito di quanto poi suo padre aveva fatto. “Non lo sai?”
“C-cosa?”
“Tua madre e tuo padre hanno ucciso la nostra primogenita, Miriam. Ci fidavamo ciecamente di Drusilla, tua madre. Gliel’avevamo affidata in quanto richiamati in missione, a causa degli eventi, come molti altri ed anche coloro che erano stati sciolti dal servizio attivo nel corpo speciale a cui apparteniamo. Non l’avrei mai lasciata a nessun’altra donna. Ma quando siamo tornati, un mese dopo, mia figlia non c’era più. Tuo padre l’aveva fatta portare via e mi hanno obbligato a rimanere con loro.”
Il ragazzo rimase sconvolto, non capiva perché accusassero i suoi genitori di un tale misfatto. Domiziano proseguì per spiegargli meglio i fatti: “Ospitando mia moglie e mia figlia, tuo padre credeva di potermi manovrare come meglio credeva ottenendo il mio appoggio in senato.”
Marc’Antonio aveva ascoltato quanto detto dallo zio, non volendo crederci. Ma, ahimè, la memoria di un giovane di quindici anni era precisa e forte e troppi dettagli gli sovvennero a minare alle fondamenta le sue certezze sulla famiglia. L’aperta opposizione del padre quando chiedeva di andare in visita allo zio. I discorsi di sua madre con altre donne nell’alae di ricamo interrotti quando lui compariva alla porta. I messaggeri che andavano e venivano a tutte le ore del giorno e della notte. Il pianto di sua madre che inveiva contro Tito, dicendogli: “Era solo un’infante! Che bisogno c’era di farlo?”
Non riuscì a reprimere un tremito, ricordando i pianti della bambina che tenevano sveglia tutta la domus. “Quando piangeva Miriam, sembrava dovesse crollare la casa da un momento all’altro, ma aveva un tale sorriso…” Perso nei ricordi di quella bimba che aveva vezzeggiato chiedendosi perché sua madre non gli avesse dato un fratello od una sorella di cui prendersi cura, non si accorse di aver parlato a voce alta, affondando una lama in una ferita mai veramente rimarginata, mostrando una dolcezza d’animo insospettabile in un ragazzo di soli quindici anni.
Lo sguardo fisso a terra, Marco Antonio non si avvide del lampo di dolore e comprensione che aveva attraversato il volto dei due coniugi. Azia e Domiziano si erano guardati condividendo lo stesso profondo dolore della perdita, la stessa rabbia repressa. Lo stesso amore profondo che li aveva spinti ad andare avanti. Ora avevano Massimo e Miridia a cui pensare.

Implacabile, Azia riprese: “Alcuni amici sono venuti a salvarci. In quell’occasione ho perso mia figlia ed ho rischiato di perdere anche mio fratello, Marzio. Ci eravamo rifugiate in un fienile, io non potevo combattere, tenevo tra le braccia la mia bambina.” Una singola e silenziosa lacrima scese su una guancia della zia, che continuò con voce rotta dal pianto trattenuto: “Erano troppi perché Marzio ce la potesse fare da solo. è rimasto tra la vita e la morte per settimane dopo, perché aveva tentato di salvarci. Alcune frecce mi colpirono mentre scappavo, non potevo correre e tuo padre mi prese mia figlia, la gettò a terra e poi le tagliò la gola sotto ai miei occhi, ben sapendo che non potevo fare nulla.”
A quelle parole Marco Antonio si accasciò su sé stesso mentre un ricordo lontano gli affiorava alla memoria, un uomo crudele che sbatteva un neonato contro un muro e poi faceva giustiziare i due schiavi che lo avevano messo al mondo senza il suo consenso. Allora non sapeva che fosse stato suo padre, ed in seguito aveva rimosso quel ricordo impossibile da accettare. Un violento conato di vomito lo scosse, facendolo sussultare sullo sgabello. Era tutto vero.
“Ma perché prendersela con quella piccola innocente?” Piangeva, porgendo quella domanda.
“Una seccatura in meno, l’ha definita lui. Poco tempo dopo sono riuscita a fuggire, ma lui aveva già sparso la falsa notizia di un incidente e quindi, grazie alle sue potenti amicizie, non abbiamo nemmeno potuto reclamare giustizia per la morte di nostra figlia.”
Domiziano strinse affettuoso la mano della moglie, proseguendo: “Per quanto Azia sappia bene ciò che dice, sarebbe stata la sua parola contro quella di tuo padre, dei suoi amici e clientes. Nessuno le avrebbe creduto ed io ero a Roma, all’epoca.”
Il silenzio calò nella stanza, i due coniugi rimasero ad osservare il giovane perdere la sua innocenza infantile ed entrare bruscamente nel mondo degli uomini. Azia si ritrovò a pensare alla sua idea, delineando alcuni dettagli. Era una pazzia. Poteva voler dire covare una serpe in seno.
“Marc’Antonio Iulio Cornelio, cosa pensi di fare ora?” Chiese ad un certo punto il senatore, con voce grave e sguardo cupo.
Il giovane si tolse dal dito l’anello con sigillo, lasciandolo cadere a terra quasi si fosse trattato di una vipera e, alzatosi in piedi si decise a parlare, lasciando che il mantello gli scivolasse dalle spalle: “Io non sapevo nulla di tutto questo, e me ne vergogno profondamente.” Prese il pugio, rigirandolo tra le mani, ragionando su quanto sentito. Nulla nello sguardo e nell’atteggiamento degli zii indicava che stessero mentendo. Troppe coincidenze del passato, invece, indicavano quanto quello appena sentito fosse vero. Fissando la lama luccicante decretò, serio: “Se la mia morte potrà riabilitare l’onore di mio padre, allora preferisco vivere da mendicante o schiavo, litigandomi il cibo con i cani, poiché infami del genere non meritano di aver l’onore riscattato a tal modo.”
Domiziano ed Azia guardarono stupiti il giovane nipote, colpiti dalle eloquenti parole.
“Ma se la mia morte potrà in qualche modo alleviare il dolore della vostra perdita, della piccola Miriam…” Un singhiozzo interruppe il suo discorso, mentre impugnava con decisione il pugio: “allora servirà a qualcosa e vi dimostrerò che a differenza di quella bestia, io l’onore so cos’è.” Con un tremulo sorriso si puntò l’arma al costato e guardò sereno gli zii. “Me l’avete insegnato voi.”
Continua.......

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