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RACCONTO: Antico Credo - 7

Lo scoppio della Rivolta dei Rifornisti con la Strage di Mezzanotte ad Atene aveva cambiato gli equilibri in gioco. La rivolta aveva incendiato le provincie del Sud-Est: Achaia, Moesia, l’irriducibile Dacia. Poi si era spinta verso Bithinia-et-Pontus, Syria e aveva infettato anche il sud Italia.
Roma ne era apparentemente esente, al Nord le provvidenziali mosse di Zarich avevano soffocato sul nascere ogni possibile coinvolgimento di Alemanni e Pitti in Germania e Britannia, mentre la Gallia, le province iberiche e quelle africane, escluso Aegyptus, si erano armate e mobilitate con un arruolamento volontario per rinforzare le file delle legioni e intervenire per riportare la pace nell’impero.
Omar era seduto sopra un tetto e osservava l’andirivieni di persone che si inoltrava nei giardini di Colle Oppio per poi intrufolarsi in un cunicolo nascosto e accedere alla sede segreta della Specula, là dove si vociferava si raccogliesse l’Assemblea Magistralis. In realtà erano anni che i Magistri si incontravano con l’Imperatore e il prefetto urbano – proprio lui! – nei posti più impensabili e si riunivano lì solo in occasione di celebrazioni importanti.
Dopo la storia, tutt’ora priva di prove concrete, dei maneggi di Giulio Asclepiodoto si erano succeduti altri nel ruolo di Praefectus Urbi di Roma, ma nessuno di loro era stato ritenuto degno di essere messo a parte di quello che sarebbe dovuto essere il suo reale ruolo: erano tutti candidati politicamente perfetti, ma nel concreto miravano troppo alla materialità della vita per permettere loro di gestire le cose come doveva esser fatto. Alla fine, di comune accordo con l’Imperator, i Magistri e gli altri Spectra, era stato scelto lui. Ironia della sorte lo avevano voluto da schiavo a prefetto.
Scese dal tetto con un balzo agile e si inerpicò a sua volta per il Colle Oppio, andando a raggiungere i colleghi e il consesso della Specula. Non era previsto che parlasse quindi si fermò vicino a un laghetto e si concentrò, dall’acqua si alzò una forma che assunse sembianze umane fino a prenderne colori e sfaccettature. Omar osservò soddisfatto il suo clone, quindi assieme a lui si inoltrò nel cunicolo e sospirò notando lo sgocciolio che seguiva il clone. Era inevitabile, nel giro di quattro ore si sarebbe completamente sciolto, ma nel frattempo avrebbe tranquillamente svolto il suo compito: fare presenza.
Favorito dalle ombre si infilò in una nicchia alle spalle dello scranno dell’imperatore e poco dopo una fontanella chioccolò imperitura senza approvvigionamento idrico, acqua impossibile da raccogliere. Poco alla volta, prima che tutti se ne accorgessero anche le altre quattro nicchie si popolarono e lui lanciò un saluto mentale agli amici che gli risposero.
Al termine della lunga riunione, non appena anche l’imperatore e i magistri se ne furono andati, il clone d’acqua si sciolse e poco dopo anche la fontanella scrosciò in terra tutta l’acqua che la componeva, lasciando basiti i quattro amici: Omar se n’era andato senza che nessuno, nemmeno loro, se ne accorgesse.
Omar si accasciò contro il muro della domus Cornelia, sfinito. Boccheggiò in cerca d’aria, lottando contro le scintille di oscurità che gli lampeggiavano davanti agli occhi e alla fine, spalle al muro, scivolò fino a terra e si sedette. Si risvegliò al passo marziale di uomini che procedevano lungo la via, un lanternarius ad aprir la strada e dietro i portantini che trasportavano la lettiga del senatore. Sorrise tremulo nel riconoscere al suo interno proprio la persona che era venuto a cercare.
Quando si fermarono davanti alla porta e bussarono per farsi aprire dall’ostiarium, Omar emerse dall’ombra dando mostra di una fermezza e di una stabilità che non provava affatto. «Ave, Senatore. Mi concedi una parola in privato?»
Caio Cornelio Scipione Renano volse il viso accartocciato dall’età e dalle battaglie verso l’uomo. Lo riconobbe, ma non diede segno di esser stupito, vista e considerata l’ora.
«Selene, tesoro, ti spiacerebbe fare i convenevoli prima di ritirarti per la notte?»
Il senatore strinse la mano alla moglie, stesa accanto a lui e fece quindi un cenno affermativo con la testa alla volta del prefetto. Perché, in fin dei conti, se il prefetto era lì a quell’ora, doveva esserci un motivo dannatamente valido e l’idea di abbandonare per un po’ quella noiosa e molle vita non gli dispiaceva.
Entrarono tutti, il Cornelio e il suo altrettanto illustre ospite si rinchiusero nello studium, interrotti
solo dall’arrivo della moglie di lui con un vassoio con vino e qualche dolcetto di panpepato. Omar si interruppe, inarcando un sopracciglio e l’avvenente greca sorrise affabile: «I servi sono affidabili, ma certe questioni è bene che non le sentano nemmeno per sbaglio, lo so bene. Continua pure, prefetto.»
Caio Cornelio Scipione prese la moglie per i fianchi e se la sedette sulle ginocchia dopo che aveva servito vino e dolci a tutti i presenti e Omar sorrise di tanta sfacciata complicità, per lo più condivisa nelle varie famiglie tra le mura domestiche, ma di certo non in presenza di estranei come in quel caso.
«Sono venuto da solo e a quest’ora perché la questione è delicata. Come sai, ti sei fatto non pochi nemici in Senato e il tuo appoggiare le mozioni dei provinciali germanici e renani ti ha reso ancora più impopolare.»
L’altro bofonchiò qualcosa di inintelligibile scrollando le spalle e Selene inclinò la testa di lato studiando l’ospite con un sorriso furbo in viso. Omar non si scompose, ringraziando gli dei di essere seduto e poter rinfrancare un po’ il fisico dopo lo sforzo immane fatto per creare due cloni d’acqua. Fissando apertamente l’uomo in faccia spiegò: «Tramite le mie spie ho scoperto che si stanno attrezzando per colpirti.»
«Che ci provino, troveranno la mia ascia prima del mio corpo!» Tuonò aspro il senatore e Omar intimamente ridacchiò soddisfatto. Mancava ancora una piccola, minuscola tessera.
«Se fosse un attacco per ucciderti, con le prove che ho in mano, avrei già potuto arrestarli.»
Caio Cornelio strinse gli occhi e si grattò la barba ruvida che gli era ricresciuta durante la giornata sulle guance segnate. «Mi odiano, giusto? Allora dovrebbero volermi morto. Perché quindi dici che non vogliono uccidermi?»
Omar sorrise, il ragionamento del vecchio senatore non faceva una grinza. Annuì. «Sono dei vigliacchi e si muovono da vigliacchi. La tua morte farebbe loro molto comodo, ma rimane la tua familia, la tua gens: è una delle più antiche e prestigiose e nessuno si aspetterebbe di poterti uccidere e rimanere impunito. Ma se a essere ucciso fosse non tu in quanto persona, ma il tuo orgoglio e il buon nome tuo e della tua gens, allora avrebbero ottenuto lo stesso risultato: tu ti ritireresti dalla carica di padre coscritto e sparireste tutti in campagna, i più orgogliosi sceglieranno il suicidio piuttosto che affrontare l’onta. Con poche mirate parole otterrebbero l’annientamento dell’intera gens Cornelia.»
Man mano che parlava il senatore s’imbruttiva. Al termine del discorso tremava per lo sforzo di non muoversi e scattare a inveire contro tutto e tutti. Lo sguardo che rivolse a Omar era omicida e l’altro lo ricambiò impassibile.
Fu Selene, la moglie greca del senatore, a intervenire: «A te cosa interessa?»
«A me? Niente, di voi. Ma la gens Cornelia è sempre stata vicina e fedele all’imperatore sin da quando salì al potere Augusto e so benissimo che la cosa non è cambiata. Io non metto in discussione il vostro onore e il vostro operato e all’impero fa comodo avere alleati così fidati. Pertanto mi sono permesso di farvi questa visita “preventiva” affinché sappiate che l’impero e Roma tengono ai propri alleati. Ufficialmente non possiamo fare nulla, ma se avete bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, non dovete che da chiederla.»
Caio Cornelio Scipione Renano sbuffava come un toro in corsa. Gli occhi erano iniettati di sangue e i muscoli tremavano sotto lo sforzo di non staccare i braccioli dello scranno, frenato dal sinistro cigolio del legno sotto le dita.
«C’è una cosa che puoi fare per me, prefetto.»

L’altro annuì, in attesa e il senatore concluse: «Voglio i nomi. Tutti.»

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