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RACCONTO: The Fate of Eberron - 14


Anat scese accanto al Focolare di Bolderyn, riscuotendo alcune perplessità nel servizio di sorveglianza del Portale, ma poiché era arrivata lì non ebbero motivo di credere nulla di male di lei. Solo era strano vedere una donna così ben vestita e in modo così pudico scendere proprio in quel quadrante del secondo livello di Sharn.
Uscita Anat si guardò intorno, senza capire subito dove fosse, si inoltrò per alcuni rioni ricolmi di bancarelle di prodotti ormai in esaurimento, vista la tarda ora pomeridiana scandita da un sole che stava tendendo a scendere sempre più inesorabilmente a ovest, dietro i monti distanti. Nel vociare intenso si sentì altrettanto stranita che la sera prima, durante la festa trasformatasi in tragedia. Considerò le cose da fare, se andare direttamente ai docks o meno, studiò la situazione e quando sentì la voce parlare di come avessero praticamente messo sotto sequestro la locanda di Pia per cercare di tendere una trappola ad almeno due dei ricercati, comprese che nessuno degli altri aveva pensato a recuperare le loro cose.
Cosa faccio? Avrei armi, vestiti di ricambio… e poi c’è anche tutta la roba di Sylvion… potrebbe tornare utile… mmmm
Persa nell’indecisione di tali pensieri, operò la sua seconda trasformazione: raccolse i riccioli vezzosi che le avevano fatto con il ferro caldo e li richiuse in una coda alta sulla sommità della testa dopo aver sciolto i capelli, la intrecciò con mani bagnate, contenta di vederle macchiate di nero e alla prima occasione si disse soddisfatta del gioco di colori nero e rosso della sua strana chioma. Si pulì le mani sul grembiule, rendendolo molto meno bianco e lo indossò.
Si tolse, in un vicolo, le preziose sottogonne lasciando che la lunga gonna si afflosciasse tra le gambe in modo indecente, così da essere più libera, quindi fissò l’orlo all’altezza del ginocchio con un chiodo, cercando di nasconderlo con le pieghe della veste e il grembiule, così da poter camminare senza inciampare nella gonna ora diventata troppo lunga e che dietro strisciava abbondantemente a terra.
Acconciata ora più come una popolana, prese da un filo che una donna aveva usato per stendere i panni un fazzoletto umido e lo usò per legarselo in testa, si accaparrò non vista una cesta posata in terra da un’incauta donna intenta a mercanteggiare indefessa con un ortolano e si diresse a passo sicuro alla volta della locanda di Pia, lambiccandosi il cervello sulle possibilità successive di riparare ai docks indisturbata. Guardando il sole tramontare comprese che non ci sarebbe stato molto tempo e che avrebbe dovuto muoversi per incrociare gli altri. Lorian aveva espresso la volontà di far uscire Jekis, l’unico alleato che sembravano avere – adesso inguaiato come e più di loro, pareva – ma che a lei puzzava di qol rancido, per quanto un alcolico di quella portata potesse irrancidire.
Storse la bocca e smise di pensare a cosa non le tornava di quella situazione, quando si trovò di fronte a un cordone di sicurezza costituito da una guardia ogni quattro-cinque metri disposte tutte intorno alla locanda.
Oh, merda.
A quella evenienza non ci aveva effettivamente pensato, credendo in effetti di trovare guardie solo all’interno della locanda. Vedendone una uscire solerte dalla porta posteriore per andare a badare a dei cavalli, riconsiderò la propria idea, ma troppo tardi. Un giovane che si atteggiò a pavone, poco mancava che facesse anche la ruota, le si avvicinò ammiccando.
Oh, no… che palle. Uomini!
«Ciao, carina…»
«Ci-ciaooo…»
«Non puoi restare qui, la zona è sotto sequestro. Però se vuoi, mi dici dove posso venire a ripescarti più tardi, quando smonto il turno.»
Anat si chiese perché i più idioti esemplari maschili della specie umana dovessero sempre incrociare la sua strada. «Mi trovi lì dentro, da mia zia Pia.»
Il ragazzone trasecolò, buttando uno sguardo verso la locanda. «Cosa?»
«Hai capito bene,» razza di idiota! «mio signore.»
«Tu sei Lindsay? La piccola Linsy? La nipote di Pia?»
La principessina sul pisello, sono. Cretino. «Eh, già. Mi fai passare, per favore? Sono uscita a far spese al mercato e adesso torno e trovo questo bailamme. La zia si preoccuperà se non mi vede rientrare.»
«Ma io… ecco… non posso… certo che sei cresciuta! Non ti ricordi di me?»
«No.»
«Come! Ma se mi prendevi sempre a calci negli stinchi perché ti tiravo le trecce.»
Peccato non abbia mirato più in alto prevenendo il pericolo che ti potessi riprodurre. «Ci sono cose che è un bene dimenticare, non trovi? Altrimenti potrei prenderti a calci anche adesso e rischierei di finire in prigione.»
«Ma va là! Al massimo rischieresti una sculacciata!» Concluse lui con un’enfatica strizzata d’occhio.
Anat rimase impassibile per tutto il tempo, o meglio, mantenne un’espressione solenne cercando di non far trapelare i suoi reali pensieri.
Oddio… dai sìì! Fallo, ti prego, fallo… così posso staccartela, quella mano! «Sarebbe oltremodo disdicevole.»
«Oh, che paroloni!»
Io almeno li conosco, cosa che non si può dir di te. «Sono stata via per studiare, cosa credi? Ora, mi lasci passare sì o no?»
Il ragazzone si aprì in un sorriso divertito. «E va bene… ma solo perché sei tu… e perché dopo verrò a trovarti! Vedi di farti trovare, d’accordo?»
La ragazza si aprì in un sorriso mieloso e sdolcinato, soffuso di caratteristico rossore che indicava tutta la sua virginale timidezza al baldo giovane che si stirava l’uniforme e si sistemava il mantello agganciato al corpetto di cuoio bollito dell’armatura. «D’accordo» soffiò lei, abbassando timida lo sguardo e lui, con uno svolazzo esagerato del braccio si dispose di lato, a lasciarla passare. «Prego, mia bella fanciulla, mi raccomando: attenta agli altri, non sono mica così riguardosi come me!»
Agli occhi del giovane, la nipote di Pia si affrettò con un’urgenza tutta costruita alla volta della locanda. Mandò il segnale ai colleghi dentro mentre si gustò con lo sguardo l’ondeggiare dei fianchi di lei.
Fumante d’ira Anat si sentì le gote scaldare da un rossore pericoloso che chi la conosceva bene non
avrebbe mai e poi mai frainteso, scambiandolo per chissà che altro che non fosse ira repressa a viva forza. Discorrere con l’ostessa e lasciarla parlare a vanvera della sua adorata nipotina acquisita – una mezzelfa adottata dal fratello più giovane – le aveva dato un ottimo spunto per entrare. Si diresse a passo di marcia alla volta della porta posteriore, attese che le guardie si disperdessero e poi, finalmente, entrò in cucina. Fu facile salire al piano superiore, vestita come una delle cameriere del locale era passata praticamente inosservata, intanto che Pia nel suo ufficio dabbasso, sotto le scale accanto alla cucina dove aveva depositato il cesto accanto a un focolare ancora spento, sbraitava in tutti i modi contro un rappresentante della guardia di Sharn in proposito ai suoi affari che stavano andando in fumo e che, almeno, le ragazze si guadagnassero la giornata risistemando le camere. In virtù di questo, a occhi miserevolmente bassi e mandando giù il fiele che sentiva invaderle la bocca, Anat si limitò a un accenno verso la porta semiaperta dell’ufficio e una delle guardie la lasciò passare.
Arrivata alla sua camera tirò un sospiro di sollievo e velocemente si cambiò, ringraziando il cielo di essere riuscita a non ammazzare nessun altro. Non che la cosa fosse un problema, ammazzare la gente, ma era conscia del fatto che poteva rappresentare una notevole seccatura in determinate circostante e, non volendo rischiare più del necessario, ora che era ufficialmente una ricercata in quel territorio, era quasi rilassante non aumentare il rischio di farsi trovare. Raccolse rapida le sue cose, aprì la porta alle spalle di una guardia che si accingeva a scendere le scale sentendo che al piano superiore stavano evidentemente perlustrando le scale.
«Signore, al secondo e al terzo piano abbiamo finito di perlustrare le stanze, signore. Per ora niente. Al primo piano mancano ancora metà delle stanze.»
«Trovato niente?»
«No, signore. Nelle stanze indicate non vi erano equipaggiamenti particolari.»
E ti credo, pensi che sia così sprovveduta? Pensò caustica il generale. Le stanze di Pia erano famose per la discrezione e si disse che il resto che aveva lasciato sul letto a mo’ di mancia per il servizio resole era tutto guadagnato: non solo le aveva fornito la stanza con il doppio fondo più capiente (era la stanza esattamente sopra l’ufficio della nana), ma le aveva procurato quel bellissimo vestito viola e argento e blu in tempi record e a un prezzo davvero niente male. Non che lei amasse lasciare mance, ma questa volta riteneva fosse più che meritata, visto anche il disturbo che stava subendo, anche se non era mai stata loro intenzione sollevare un tale polverone.
Uscì di soppiatto e si infilò velocemente nella stanza di Sylvion. Era pressoché vuota, ma recuperò la sua sacca contenente una bella serie di coltelli da lancio, una corda e un rampino. «E bravo il ragazzo…» sussurrò. Calcolò tempi e modi e decise di azzardare: la finestra ideale da cui calarsi con quella corda era quella in fondo al corridoio. Aprì la porta.
Per trovarsi faccia a faccia con una guardia.
«Oh, cazzo!»
«E tu chi cazzo sei?»
«Eh… sarebbe lungo spiegare… e penso che comunque non ci crederesti molto…»
«Eh? OUCH!»
Il pugno lo colse in pieno stomaco. Il pomolo di un pugnale lo stese definitivamente andando a cozzare duramente contro la sua nuca. Purtroppo, il tonfo dell’armatura borchiata e dell’elsa della spada in pesante metallo contro il legno del pavimento lo sentirono in tutta la locanda. Non ci volle molto perché si chiedessero cosa fosse stato e scendessero e salissero per controllare.
Davanti alle scale Anat si mosse fulminea come un serpente, facendo cozzare due teste tra loro prima, allargando le gambe per piazzare un piede dietro ciascuna guardia e farli inciampare all’indietro dopo una poderosa spinta al centro del petto. Ruzzolarono giù, tra le braccia di altri e degli ufficiali usciti dall’ufficio di Pia.
«Merda! Merda! Merda!» Fu l’unica esternazione della morfica, mentre si lanciava attraverso il corridoio, per poi saltare e sfondare la vetrata della finestra che dava sulla facciata della locanda. Esattamente dalla parte opposta a dove voleva andare.
«Inseguitela!»

Si stavano muovendo attraverso le fognature da un bel pezzo, considerò Lorian. Forse la cosa era dovuta anche all’obbligo di utilizzare le condotte principali in modo da far passare Fender.
«Quanto manca ancora?» Chiese, abbassando di colpo la voce nel sentire l’ampia eco far risaltare i suoi toni.
«Non molto.» Rispose Sylvion neutro, fermandosi a un bivio per girare la testa da un lato all’altro prima di decidersi di imboccare la svolta a sinistra.
«Sei sicuro della strada?» Chiese ironico Fender.
«Sicuro.»
«Lo dici come se conoscessi le tue tasche.»
Sylvion sorrise di sghimbescio, guardando con la coda dell’occhio bianco come il latte il forgiato. Rise a voce bassa: «Guarda che non ci casco.»
Alla luce arancio del globo ristrutturato da Lorian, Fender fece un cenno affermativo enfatizzando il movimento della testa. Una specie di segnale concordato per … sorridere. Dopotutto, non poteva farlo. «Prima o poi, Lorian, dovresti deciderti a studiare il modo di renderlo espressivo, sai?» Riprese il changeling, continuando ad avanzare in direzione di Punta di Spada.
«Quando avrò sufficiente tempo a disposizione per comprendere la meccanica necessaria a stabilire le giuste connessioni neuromantiche e psicoemozionali di modo che all’evolversi dello stato sinaptico si conformi una modellazione conpenetrata degli strati di metallo che dovrà essere una lega alchemica morbida ma ugualmente resistente al pari di adesso.»
Alla spiegazione tecnica i tre si erano fermati e il changeling si era voltato a guardare il compagno senza nascondere la sua totale confusione. Ma all’espressione di Sylvion fu il forgiato a replicare deciso.
«Eh?»
«Puppa!»
«Ma vaffanculo, Lorian, va’!»
Dopo un paio di secondi di silenzio i tre risero, protetti dai molti metri di roccia e terra sopra di loro.

Sopra di loro, anche se non proprio nella zona del porto, Anat si era infilata in un vicolo, stringendosi al petto la sacca in cui aveva raccolto la sua roba e quella del changeling. Stava riprendendo fiato, dal momento che da quando aveva fatto quella fuga così rocambolesca dalla locanda di Pia non si era praticamente più fermata. Dopotutto, sembrava che l’intera guarnigione dell’esercito del Breeland e tutta la guardia cittadina si fosse riversata nel Focolare di Bolderyn.
«Dannati leccapiedi.» Mormorò.
«Sembri stanca, cucciola.» La voce improvvisa la fece sobbalzare e un’ombra si staccò da un portone sul vicolo. «Ma dai… non mi dire, sono riuscito a sorprenderti.»
«Vaffanculo. Marcus?»
«Come, non mi riconosci più?»
«La voce la conosco, il movimento sinistro e nascosto anche, ma non l’odore. Potrei pensare che tu sia un changeling qualunque.»
L’altro rise di gusto, poi mormorò una parola che fece inarcare il sopracciglio alla morfica e piegare le labbra in un sorriso sghembo. «Scemo.»
«Vedi che mi riconosci?»
«Che vuoi?»
«Oh, beh, salvare un investimento ti basta come giustificazione?»
«Ma non mi dire.»
«Le Lame di Tenebre sono sulle tue tracce, visto che sei l’unica reperibile al momento.»
«Grandioso. Gli altri tre sono riusciti ad andarsene allora.»
«Già. Certo che ne avete fatto di casino.»
«Non era nostra intenzione. Che mi racconti?»
«Praticamente hanno mobilitato tutti.»
«E Jekis?»
«Quello è strano.»
«Che vuoi dire?»
«Lo hanno accusato di essere in combutta con voi e lo hanno arrestato. Ma la cosa non ha senso.»
«Perché, dici?»
«Diciamo che lo… conosco abbastanza bene.»
«Ma guarda te il caso… vecchie conoscenze di guerra come noi?»
«Più che altro ricerche successive sul suo conto.»
«Quindi non sei convinto.»
«No. Quello ha… qualcosa di strano.»
Anat sorrise, annuendo. «Hai da bere?»
«Il cerchio si chiude, Anat, si avvicinano e rischi di esser presa.»
«Dimmi qualcosa che non so.»
L’ombra si staccò dal muro, avvolta negli stracci sdruciti e macchiati di un mendicante che stringeva in mano una bottiglia di qol. «Tieni, ubriacona.»
«Sono finiti quei tempi. A differenza di te, io invece so cosa non mi torna di Jekis.»
«Ah sì? Buon per te. E sarebbe?»
Si sentirono fischietti risuonare sempre più vicini e vocii di gente sempre più concitati. Anat mandò giù quattro sorsate abbondanti di liquore, asciugandosi la bocca con il polso e sospirando saporitamente. «Aaah… ci voleva proprio. Senti come ti ricama le budella.»
«Sei incorreggibile, generale.»
«Il casino si avvicina. Meglio che vada. Porta un messaggio da parte mia a Ellenshan, già che ci sei.»
Marcus inarcò un sopracciglio. E scoppiò in una fragorosa risata quando sentì il messaggio che doveva riportare. Quindi rimase a guardare le spalle di Anat mentre lei correva via uscendo dal Focolare diretta a Punta di Spada.
«Dannata! Non mi hai detto di Jekis!»
Ma, ovviamente, ora era troppo tardi per farselo dire.

Jekis era seduto in un angolo della cella puzzolente, rinchiuso come un criminale qualsiasi. Sputò in terra, grattandosi il petto. Alle volte quella vecchia ferita gli prudeva come se stesse ancora guarendo. Di solito lo faceva quando stava per accadere qualcosa di importante.
Guardando fuori dalla finestra vide la seconda luna pallida e rosata sorgere pigramente. Sorrise tristemente, mentre ripensava al fatto che in tutta la sua vita aveva sempre e solo desiderato finire le cose che aveva iniziato, senza mai riuscirci.
«E questa pare sia l’ultima di una lunga serie.»
Non disperare, figliolo. Non tutto è ancora concluso.
Quel pensiero, con una voce che non era sua ma che ben conosceva, lo fece sospirare. «Cazzate.»
Si dispose ad attendere gli eventi, scrutando il piccolo quadrato di cielo visibile dalla finestrella della sua cella e contando le lune che poco alla volta, sorgevano nella volta celeste, inseguendosi in un moto perpetuo verso la bianca scia di Syberis a Sud.

Arrivati sotto a un tombino, l’ennesimo, Sylvion salì la scaletta di metallo infissa nei mattoni e pietre e spiò attraverso le feritoie. Erano finalmente arrivati all’interno del comprensorio militare di Punta di Spada.
«Ci siamo.» Sussurrò ai compagni, riscendendo. Si tolse il pastrano nero in cui si avvolgeva sempre e rimase con una tuta aderente.
Lorian inarcò un sopracciglio scettico, Fender si permise di esternare il suo scetticismo con dell’ironia spiccia: «Che figurino. Intendi sedurli?»
«Fottiti.»
Sylvion si concentrò un attimo, assunse i lineamenti e le fattezze di un elfo e al posto della tuta si ritrovò vestito all’ultima moda: brache ampie e sbuffanti, una casacca stretta in vita da un’alta fascia, una mantellina corta. Il tutto corredato da una di quelle sciarpe di seta lunghe e avvolgenti che tanto spopolavano a Sharn in quell’ultima stagione, specie tra gli uomini.
Lorian allungò una mano per toccare l’impalpabile stoffa che si gonfiava sulle maniche, trovandola, appunto, impalpabile. «Illusione.»
Sylvion sorrise, spostando una ciocca di capelli neri e lucenti dietro un lungo orecchio a punta. «Voi Cannith ci sapete fare con le costruzioni, non c’è che dire. Basta chiedere e pagare.»
Lorian ridacchiò. «Ho paura a chiederti quanto ti hanno fatto sborsare.»
«Oh, beh… avevano chiesto una cifra troppo esosa, devo esser sincero. Alle mie lame non è piaciuta per niente!»
Ridacchiando a bassa voce il changeling salì nuovamente la scaletta, si assicurò che nessuno vedesse e uscì: come concordato se entro un’ora non fosse tornato con o senza Jekis, i due avrebbero fatto irruzione. Per ora se fossero rimasti nascosti l’eventuale morte di guardie o altri non sarebbe stata imputabile a loro, a meno che non lo prendessero e lui non aveva alcuna intenzione di farsi prendere vivo. Male che fosse andata, in definitiva, tutto ciò che sarebbe emerso da un eventuale indagine sarebbe stato imputabile a un elfo Thuranni.
Silenzioso come un gatto si mosse tra le ombre, aggirando le guardie distratte e inoltrandosi nella zona calda. Appena vide un uomo uscire da uno degli edifici principali passando un sistema di cristalli di interdizioni viola e rossi seppe che sarebbe dovuto entrare. Uscì allo scoperto, facendosi vedere.
Lo stupore sul volto dell’uomo lasciò presto il passo alla decisione: estratto da dietro il cinturone una versione più piccola e portatile del bastone elettrico che lo stesso Sylvion aveva adoperato quella mattina, ne puntò un’estremità contro l’elfo. «Altolà! Fermo o sparo!»
L’elfo alzò pacifico e muto le mani, tenendo i palmi bene in vista.
«Chi sei? Chi ti ha autorizzato a entrare?»
Non ricevendo risposta, la guardia si avvicinò. «Allora? Il gatto ti ha mangiato la lingua?»
Ancora non ottenne risposte, l’elfo impassibile rimaneva immobile con lo sguardo fisso lontano davanti a sé. La guardia abbassò lo sguardo appena il tempo di controllare la runa da toccare sul dispositivo magico di comunicazione, ma non lo rialzò più.
Non aspettando altro Sylvion si mosse fulmineo, estraendo le lame e tagliando di netto la mano con l’arma e la gola del malcapitato. Si guardò intorno, vide dei barili e ne occultò il corpo, non prima di averlo spogliato dei vari gingilli magici di uso comune, ma comunque di un certo valore: il sistema di comunicazione militare, con quella pietra verde brillante, il sistema di comunicazione con la pietra color verde bosco, dedicata all’uso privato, la chiave magica dei sigilli di interdizione che gli avrebbero permesso di entrare nell’edificio principale e, infine, un nuovo accendino per Anat e un sistema di riproduzione di musica.
«Però, ne aveva di soldi questo da sputtanarsi in minchiate del genere… questo mi frutterà un bel gruzzoletto sul mercato nero.» bisbigliò osservando il fine cristallo arancio inciso con abilità e maestria, per poi infilarlo in una tasca con gli altri oggetti. Tenne in mano solo la chiave, che usò dopo aver assunto le sembianze e il vestiario della guardia che aveva ucciso e si inoltrò nell’edificio principale di Punta di Spada. Anche se era coperto dalla sua capacità di mutare forma e da una grande abilità a muoversi silenziosamente, le variabili in gioco erano troppe da tenere in considerazione e qualunque cosa poteva andare storta.
In definitiva, mentre avanzava nel corridoio chiedendosi che nome avesse l’uomo che aveva appena ucciso, considerò che nella tana di una bestia distorcente sarebbe stato più al sicuro.
«Ehi, Frank! Ma non avevi smontato dieci minuti fa?»
Ecco, appunto.

Anat arrivò praticamente ai cancelli di Punta di Spada prima di essere fermata e anche in quel caso, fu solo per propria volontà. Alcuni delle Lame di Tenebra l’aveva seguita dappresso, l’avevano anche avvicinata per offrirle protezione, ma lei aveva un piano in testa e una preda da raggiungere. E quello avrebbe fatto.
Il giovane mezzelfo di guardia al cancello rimase basito a guardare i cinque uomini che scortavano uno scriccioletto di donna che non avrebbe potuto far del male a una mosca da tanto era piccola e legata: i polsi erano bloccati da due paia di manette dietro la schiena, una corda le serrava la gola ed era tenuta da una delle guardie alle sue spalle, che le puntava una blazer-gun alla schiena. Si vedeva pure che era pronta a sparare, vista la piccola sfera di luce che emanava dal trittico di fuoco. Accanto alla donna, uno per lato, altre due guardie la tenevano per i gomiti con una mano e sotto tiro con l’altra al pari del compagno che reggeva la corda. Erano talmente massicci che la tenevano sollevata da terra di alcuni pollici. Dietro di loro, seguivano altre due guardie armate di bastone elettrico.
Anat gli scoccò un sorriso divertito. E il mezzelfo sentì tremare le ginocchia, trovando che forse, visto lo sguardo, non era affatto esagerato quel dispiegamento di forze.
«D-d-dove andate?»
«Questa è quella puttana fottuta che ha fatto fuori i nostri compagni stamani. All’acquario.»
«A-a-apro su-subito.»
Fecero appena un cenno, il cancello si aprì e la bizzarra comitiva si addentrò nell’area militare di Punta di Spada, diretti al reparto carcerario, ala di massima sicurezza situata sotto il porto: una bolla d’aria sommersa grazie alla magia. L’acquario, appunto.
Anat cominciò a studiare la cosa. Se fosse finita in quello che chiamavano l’acquario, da quello che aveva capito, avrebbe avuto qualche problema a uscire da lì e andare a prendersi Jekis.
Tutto il suo studiare la cosa andò a quel paese quando, misto a un forte odore di sangue nell’aria, arrivò perentorio l’ordine: «Il Direttore vuole che portiate la prigioniera nel suo ufficio per interrogarla, prima di rinchiuderla.»
«Ma… non è nella procedura!»
«Che vuoi che ti dica? Muoviti, prima che ti appioppi una delle sue famose multe!»
«Che stronzata.»
«Cosa? Le multe?»
«Anche.»

Sangue e stranezze. Anat trattenne il sorriso.

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