RACCONTO: Saltimbanchi - II
Puntata precedente
Saltimbanchi.
Dapprincipio la cosa suscitò stupore, quindi nei tre
componenti della XII coorte scoppiò l’ilarità. All’inizio fu Elettra a farsi
scappare una risatina, alla fine alle grasse risate dei tre anche Pendaran
ridacchiò scuotendo la testa. Della corte, l’unico a non ridere era Domiziano,
che guardava dall’uno all’altro preoccupato, riscontrando nel gruppo la
reazione che aveva paventato quando Azia l’aveva esposta a lui e ai suoi
compagni.
«Ma per chi ci hai preso?»
«No, dico, devi esserti bevuta il cervello.»
«Saltimbanchi… Ma esiste un’idea più assurda di questa? Noi
siamo speculatores…»
Come da programma, i componenti della XII non l’avevano
presa sul serio. Come avevano sempre fatto. Azia sospirò, crollando la testa e
preparandosi alla battaglia. Far entrare in quelle teste dure un concetto o due
era più difficile di quanto ricordasse. Evidentemente con l’età e con qualche
botta in testa in più erano diventati più idioti di quel che pensava. Tenne per
sé quelle considerazioni e fece un gesto infastidito con la mano, scacciando
dietro la schiena la lunga treccia.
Al segnale convenuto, Marzio si fece avanti e le pose una
mano sulla spalla: «Lascia perdere, Azia. Non saranno mai capaci di farlo…»
«Troppo stupidi, è troppo difficile. Stai chiedendo
l’impossibile.» Rincarò la dose Gawain e questo contribuì a far regnare un
astioso silenzio che già le parole del retico avevano avviato, facendo scemare
le risate.
«Come hai detto? Prova a ripeterlo se ne hai il coraggio!»
Eliogabalo si piazzò a gambe larghe davanti a Gawain, il
quale non si scompose e con calma serafica ribadì il concetto, scandendo
lentamente le parole come se stesse parlando a un bambino un po’ ritardato: «Ho
detto che siete troppo stupidi per mettere in piedi una copertura così
complessa e difficile come quella dei saltimbanchi. Non comprendete nemmeno le
potenzialità della cosa, nemmeno concedete il beneficio del dubbio all’idea,
perché. Siete. Stupidi.»
Eliogabalo lasciò andare un pugno che passò accanto alla
testa del gallico: il sapiente aveva previsto la mossa e si era limitato a
spostare il capo inclinandolo di lato e lasciando che il pugno passasse oltre.
Replicò all’istante con una ginocchiata nello stomaco che costrinse
l’esploratore a piegarsi e poi con molta calma lo spinse quasi con gentilezza
mettendogli le mani sulle spalle.
Eliogabalo finì seduto a terra, boccheggiando e Gawain,
guardandolo dall’alto con biasimo ripeté: «Stupido.»
«Ora basta.»
Azia non alzava mai la voce e non lo fece nemmeno in
quell’occasione, ma il tono fu perentorio a sufficienza per guadagnarsi
l’attenzione di tutti. Gautighot digrignava i denti rabbioso, Elettra carezzava
l’elsa del gladio che portava agganciato al cingulum, Pendaran si era rinchiuso
dietro un muro di silenzioso riserbo, iniziando a comprendere il movente della
sapiente, sia dal punto di vista professionale che personale. Annuì, rompendo
infine quel silenzio carico di tensione: «Per quel che può valere la mia
opinione, Gautighot, credo che l’idea di Azia non sia da scartare a priori.»
«Non mi interessa vecchio. Non sono così stupido da non
sapere che i saltimbanchi hanno praticamente libero accesso ovunque. È il fatto
che quella sgualdrinella spocchiosa pensi che non siamo in grado di farlo a
darmi fastidio!» Gautighot terminò la sua replica rabbiosa con una sorta di
urlo ringhiante al quale Azia rispose con quell’odioso modo di inarcare un solo
sopracciglio, che le donava un’espressione di sarcastico dubbio che gli dava
sui nervi. Lo aveva sempre fatto.
«Allora dimostralo.»
«Che hai detto, donna?»
«Ho detto: dimostralo. Se non siete impreparati e davvero
avete fiducia nelle vostre capacità e in quelle dei compagni nei momenti più
critici, non avrete problemi a batterci in uno scontro amichevole.»
Azia non rise dell’espressione beota che i tre combattenti
della coorte XII assunsero per pura cortesia. E, un po’, anche perché se lo
aspettava. Stirò le labbra in una parvenza di sorriso e guardò i suoi tre
compagni: Marzio, Gawain e Tolomeo annuirono seri e preparati. Non di meno,
avevano concertato tutta quella messa in scena appositamente per dare una
svegliata ai colleghi. Tornò a guardare Gautighot ed espose le condizioni:
«Armi di legno con il filo intinto in vernice colorata, frecce con punte
imbottite di polvere colorata. Quando uno viene colpito si conta un punto, se
viene colpito in punti vitali come testa, torace o ventre si ritira al limitare
di questo giardino e lascia gli altri a combattere. Vince la squadra di cui
resta in piedi almeno un componente.»
Dopo un momento di sbigottimento si aprirono uno dopo
l’altro in ampi sorrisi. «Dai, Gauti, facciamogliela vedere.»
«Sì, capo! Facciamo
mangiare la polvere a quella lupa di corte e ai suoi pivellini.»
Tolomeo si rabbuiò
e mantenne il sangue freddo solo perché si trovò a incrociare lo sguardo di
Azia e a notare che lei si limitava a scuotere la testa mestamente. Odiava
dover ascoltare il modo in cui quella mezzasega di un retico la insultava, ma
la sapiente era stata chiara e li aveva avvisati di non reagire. Anche
Domiziano prese a male l’abitudine che stava prendendo Eliogabalo di offendere
a quel modo Azia, ma Marzio fu saldo nel stritolargli l’avambraccio prima che
questo partisse per sistemare una volta per tutte la bocca dell’esploratore.
Cosa che, a guardare il modo in cui gli occhi di Marzio viravano sul grigio
sempre più cupo, anche il connazionale aveva voglia di fare.
Gautighot, a
differenza di quanto gli altri pensavano, aveva registrato tutti quei segnali.
Era interessante notare come tutti gli uomini della VI fossero protettivi nei
confronti di Azia. Un tempo avrebbe detto che lei fosse andata a letto con
tutti per ottenere tanta devozione, ma dopo quella maledetta notte in Dacia, in
cui un po’ avevano parlato e dove aveva scoperto la causa del ribrezzo di lei
per il tocco maschile, e dopo l’esperienza avuta in quegli ultimi anni, aveva
capito che le motivazioni erano molto diverse. Si scoprì a sorridere beffardo.
Un confronto, con le armi di legno come nemmeno durante i primi giorni al
magisterium aveva fatto. «D’accordo. Ma se non ricordo male quella spada ha una
dote extra.»
Azia annuì,
sganciandone il fodero e tenendolo in mano tese la destra verso di lui: «Questa
la lascio fuori, ma tu dammi la tua parola d’onore che tieni a bada il bestione
zannuto.»
Le strinse
l’avambraccio e la disfida fu accettata.
«I termini,
domina?»
«Se vinciamo noi
della VI farete quello che dico io. Se vincete voi, rassegnerò le mie
dimissioni da vice-comandante e sceglierai tu chi farà le tue veci. E potrai
scegliere tra me e Gawain come sapiente da portarti dietro in questa missione.»
«Sta bene.»
Gautighot stava per
tornare verso i compagni quando Azia lo fermò: «Aspetta. Domiziano è a tutti
gli effetti un membro della tua coorte, è giusto che resti con voi durante
questo… scambio di opinioni.»
«Sta bene.» Grugnì
il germanico, infastidito all’idea, ma non del tutto dispiaciuto. Dopotutto
Domiziano era stato con la VI negli ultimi tempi e poteva fornire loro
informazioni preziose da usare in modo strategico. Anche se non si fidava
particolarmente di lui, che aveva sempre dimostrato un certo debole nei
confronti della sapiente.
«Ah, un’altra cosa.
Visto che non avete un sapiente e noi siamo in due in squadra, vi darò un
vantaggio.» Azia si tolse la fusciacca rossa e oro e la depose a lato del
cortile insieme con la spada. Risollevò la testa e fece un sorriso, uno vero,
divertito, carico di allegria: «Niente pozioni, niente magie. E, Gawain, tu non
fai parte della squadra da abbastanza tempo per un perfetto coordinamento,
quindi sarà meglio se resti fuori dalla mischia e ti limiti a guardarci le
spalle dall’alto con discrezione.»
Gawain la guardò
interdetto un secondo, quindi annuì mentre Marzio e Tolomeo tornavano con le
armi di legno che erano andati a prendere insieme ai due combattenti dell’altra
coorte quando Gautighot aveva formalmente accettato la sfida.
Dopo qualche
secondo Gautighot la fissò ringhiando e bollendo, letteralmente, di rabbia.
Aveva compreso la vena sarcastica nella voce della donna, ma, soprattutto,
aveva compreso appieno l’arrogante supponenza e la strategia di farli
imbestialire. Cosa in cui era pienamente riuscita, glielo riconosceva. In
cinque anni non solo non era cambiata, agli occhi del germanico, ma era
diventata addirittura più brava a farlo imbestialire con poche, mirate parole.
Preso il
conciliator per il collo da dietro, lo condusse verso i compagni. Voleva sapere
tutto sulle potenzialità degli avversari, voleva umiliare, distruggere
quell’arrogante nobilastra una volta per tutte.
«Sputa il rospo,
dimmi tutto di loro, perché quella lo farà di noi coi suoi. E prega che non
scopra mai che stai dalla sua parte.»
Dall’altro lato del
cortile la VI stava facendo la stessa cosa: Azia ragguagliava i compagni sulle
caratteristiche principali degli avversari: la carica dirompente di Gauighot,
la capacità strategica di Elettra, il potere di Musico che Domiziano era in
grado di gestire con abile perizia, la balistica praticamente perfetta di
Eliogabalo con l’arco, valutando che con le frecce con le punte imbottite gli sarebbero serviti tre lanci per comprendere la correzione di traiettoria da fare per tornare a essere micidiale.
«Ma il più
pericoloso di tutti è Pendaran. Ed è anche il più difficile da raggiungere, non
a caso sta sempre nelle retrovie e sempre in posizione defilata, difficile da
colpire.»
Confabularono
ancora un po’, quindi Gawain con quattro abili balzi salì sul ramo basso di un
albero che delimitava il cortile e sotto al quale le due squadre si trovarono a
fronteggiarsi, armi di legno in pugno.
Si scambiarono un cenno di assenso, quindi si sparpagliarono
allineandosi gli uni di fronte agli altri. Poco prima di raggiungere i
compagni, Domiziano guardò la sapiente.
«Azia.»
«Dimmi, Domi.»
«Non mi farò
scrupoli a colpire.»
«Nemmeno io.»
«Bene.»
«Bene.»
L’urlo belluino di
Gautighot diede il via allo scontro.
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