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OPINIONE: Cultura detraibile al 19%

E' di questi giorni la notizia che rimbalza di blog in sito e che galvanizza molti come me, lettori voraci, ovverosia il varo da parte del Consiglio dei Ministri della normativa di legge per il triennio 2014-2016 che offre ai cittadini la detrazione fiscale del 19% per l'acquisto di libri, con un tetto massimo di duemila euro diviso equamente in mille euro per i libri di testo e i restanti mille per altri libri.

A prima vista questa norma - che, ricordiamolo, deve ancora essere approvata e resa legge - promette di dare un sano calcio in c... all'ignoranza diffusa e, si capisce, vuole incentivare l'attività che molti sedicenti scrittori e quasi tutti i giovani evitano come la peste: leggere.
Pia illusione.

Ritengo personalmente che sia una pia illusione perché l'amore per la lettura e, di conseguenza, la cultura che essa ingenera nel lettore, è un fatto socio-culturale che si apprende in famiglia. Difficilmente un bambino che non è spinto, spronato e invogliato in ambito familiare a leggere diventerà un lettore vorace e difficilmente chi già non legge sarà invogliato a farlo per uno sconto detraibile dalle tasse, specie se non hai nulla da dichiarare perché ti manca un lavoro e, di certo, se non hai soldi, quando li ottieni non li vai a spendere in libri ma in beni di prima necessità.
Di fatto, è una normativa che ha, a ben guardare, un solo scopo: salvare una categoria di commercianti, ossia i librai, poiché di questa detrazione sono già gli assidui lettori che la sfrutteranno e aumenteranno le proprie spese in ambito editoriale.
L'unico vero beneficio lo otterranno le famiglie con più di due figli in età scolare (dai 6 ai 18 anni), ma non quelle che hanno i propri ragazzi all'università che - notoriamente - hanno i testi più costosi ed essendo maggiorenni non risultano più fiscalmente a carico della famiglia. E, altrettanto notoriamente, non lavorano per mantenersi agli studi, vuoi per l'impossibilità di trovare un lavoro che ti consenta di frequentare i corsi, vuoi perché in questo periodo difficile il lavoro, e in special modo quello giovanile, è più simile a un mito greco che a una realtà riconosciuta. Il risultato: continuerà il fiorentissimo mercato delle fotocopie dei testi universitari che a botte di 20% dell'opera copiata come da normativa sul copyright si finisce per aver tutto il testo senza davvero infrangere la legge.

Ma torniamo al tema principale.
In questa normativa, esaltante in un primo impatto emotivo per chi legge molto, ci sono alcune cose che mi lasciano perplessa e mi colpiscono (negativamente).

Innanzitutto mi colpisce (e ferisce) la profonda discriminazione esistente tra libri ed ebook (che poi sono sempre libri, ma non per il nostro governo), perché effettivamente la detrazione fiscale è applicabile solo ai libri cartacei muniti di codice ISBN (da qui la mia idea personale che serva solo a salvare librai, distributori ed editori con la vaga possibilità di un incremento delle vendite).
Questa discriminazione mi risulta inconcepibile, sembra quasi che gli eBook non siano proprio da considerarsi dei libri, eppure quasi tutti gli editori e molti autori self li corredano - spendendo non proprio poco - di codice ISBN, non ultimi noi stessi. Gli eBook, inoltre, non godono nemmeno del trattamento IVA agevolato, la famosa IVA al 4% applicabile alle opere d'arte e d'ingegno, quasi che non possa esistere arte e ingegno in formato digitale, ma solo tangibile su carta o altri materiali.
L'unica cosa che mi viene da pensare è che per l'ennesima volta il nostro parlamento continui su una strada sicura, vecchio stampo, e non voglia adeguarsi ai tempi che cambiano, anzi dà l'impressione che nei confronti delle nuove tecnologie sia decisamente ostile. Le motivazioni, però, restano effettivamente ardue da definire. Ai posteri l'ardua sentenza.

In secondo luogo sono stata molto colpita dalla sperequazione e dalla determinazione delle coperture di spesa. I limiti imposti mi danno da pensare: duemila euro all'anno sono una cifra abnorme oppure quasi ridicola. Sì, perché non sono stati chiari (tanto per cambiare) e non si capisce bene che cosa siano questi famosi 2000€.
Per capirci: i 2000€ sono i soldi che posso spendere per ottenere il massimo della detrazione fiscale (ossia detraggo al massimo 380€) o è l'importo massimo detraibile (e quindi vuol dire che posso arrivare a spendere oltre 10.500€)?
Sebbene sia persuasa che basti un minimo di buon senso (chi spenderebbe mai in un anno più di 10.000€ in libri?), fossero stati un po' più chiari non avrebbe fatto schifo.

In terza battuta sono rimasta a pensare alla divisione della spesa che, di fatto, per chi non studia e non ha figli a carico in età scolare, limita bellamente la cifra alla metà. Ora, però, io mi chiedo che senso abbia una sperequazione del genere, visto e considerato che a parte i casi degli studenti universitari, l'insieme di spesa in un anno di libri di testo si aggira intorno ai 200-300 a figlio. E, siamo sinceri, le famiglie con più di due figli sono molto, molto rare di questi tempi.
Invece, è molto più facile trovare single o coppie che amano leggere e che - se sono così fortunati da avere anche un lavoro stabile e redditizio - acquistano molti volumi. Certo, anche in questo caso raggiungere la cifra di 1000€ in libri non è esattamente una bazzecola e con i tempi che corrono la vedo una cosa estremamente improbabile, ancora di più se si considera che in questo caso ai fini della dichiarazione dei redditi, in fin dei conti, si toglieranno dal totale delle tasse da pagare non più di 190€. Alla fine della fiera, se si fanno un po' i conti della serva ci si rende conto che non ne vale la pena e l'unico risultato coerente è che l'Italia non sa (o non vuole?) come mettere in salvo il suo patrimonio più grande: l'ingegno delle nuove generazioni, ma anzi si dà da fare per affossarlo.
Ma, oh, è detraibile al 19% anche quello.

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