BRANO: Un morto che cammina
Oggi vogliamo regalarvi l'incipit (esteso) del racconto di prossima pubblicazione!
Commentate, commentate, commentate!!
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Domiziano Severo Agostino camminava a
passo stanco in quei corridoi semibui che anche la luce del sole rifuggiva,
avvolto negli afrori intensi dei liquami fisiologici non smaltiti; il viso era
segnato dalle perdite delle ultime settimane e dalle preoccupazioni della sua
nuova carica di paterfamilias[1]
ricaduta su di lui in modo del tutto inaspettato, nonché del peso delle ultime
decisioni. La guerra impazzava nell’Impero; fratelli combattevano contro
fratelli. Un’altra volta.
Al suo fianco procedeva un pretoriano,
ufficialmente come sua scorta, ma tutti sapevano il ruolo di controllore che
svolgeva su di lui. Visti gli ultimi avvenimenti, era inevitabile dopotutto.
L’imperator Diocleziano non era certo uno stupido: tutt’altro. Ignorando la presenza della sua “scorta”, entrò nella stanza
malamente illuminata dalle torce che rilasciavano un fumo acre, gli odori si
mescolavano rendendo l’olezzo di quel posto ancora più disgustoso. Scostò con
attenzione i lembi della toga lacticlavia[2],
lasciandosi sfuggire una smorfia di disgusto alla poltiglia maleodorante che
gli aveva sporcato i calcei[3]
per poi dimenticarsene. Si guardò intorno con occhi vitrei, mentre i corridoi
riecheggiavano di urla disumane.
«Senatore?»
Il tono deferente del legionario accanto
al prigioniero sembrò riscuoterlo e Domiziano rivolse la sua attenzione
all’uomo in catene posto sulla ruota. Lo aveva catturato lui, con la
collaborazione della Coorte XII Fulguralis, uno dei manipoli della Legio M
Ultima, il braccio armato della Specula. Era una squadra di veterani ormai,
comandata dal vecchio amico Gautighot. In verità, era un miracolo che quel
prigioniero fosse ancora vivo, visto quello che aveva fatto. E lui, ora, doveva
sapere. Doveva sapere in fretta.
Fissando quegli occhi neri e malvagi, il
sorriso sghembo nel viso provato dalle ultime esperienze, il senatore sentì anche l’ultimo, sottile
filo recidersi definitivamente e liberarlo dall’agonia che quel tanto speciale, quanto inspiegabile, legame
fraterno esistente tra loro gli aveva dato negli ultimi anni.
Osservando con la coda dell’occhio i
presenti, colse il loro stupore: guardavano dall’uno all’altro con malcelata meraviglia. Non c’era da
stupirsene troppo, in fin dei conti. Glaciale, sorrise di rimando al gemello
incapace di provare più alcuna pietà: a causa sua rischiava di perdere tutto
quanto aveva di importante nella vita.
«Luca, voglio i nomi. Chi ha rapito mia
moglie e mia figlia?»
«è
stato il re.» Rispose l’altro, ridacchiando. Tirarono le corde e lui digrignò i
denti, ma nulla più.
«Chi sarebbe questo fantomatico re?»
«Fottiti, fratellino.» Replicò rantolante
per la sete e il dolore il prigioniero.
«Staremo a vedere chi di noi due lo
sarà.»
A un cenno del capo il mastro di torture
si fece avanti e iniziò metodico il suo lavoro di estorsione. Alla fine Domiziano
Severo Agostino ottenne i nomi desiderati.
E il peggiore dei tradimenti.
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