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ARCHEOLOGIA: La tomba di Adone

da Il Sole 24 Ore, 27 ottobre 2013


Articolo di Mario Torelli

Da oltre quaranta anni l'Università di Perugia, in collaborazione con la Soprintendenza ai Beni archeologici dell'Etruria Meridionale, scava nel santuario greco di Gravisca, il porto di Tarquinia e sempre con straordinario successo. Il santuario per tutto il VI secolo a.C. è stato la meta di mercanti della Ionia che venivano a scambiare con gli Etruschi le loro merci, tanto amate dai signori delle città tirreniche, contro il ferro dell'Elba, sicuro monopolio etrusco: il santuario rappresentava il fondaco di questi Greci, dove le divinità, Afrodite, Apollo e Demetra, garantivano prima di tutto l'incolumità dei visitatori e l'onestà dello scambio. Il cuore del santuario era lo spazio riservato appunto ad Afrodite, dove è venuta alla luce la «tomba di Adone», un monumento unico al mondo, di cui fino alla scoperta di Gravisca si aveva solo menzione nelle fonti.
Il 23 di luglio, giorno della canicola, in una grande piazza, dove si è scoperta la tomba del giovane eroe amato da Afrodite e morto tragicamente, si celebrava questa grande festa annuale, presa a prestito dal mondo fenicio, che simboleggiava il compimento del ciclo agrario annuale: nel corso di tale festa, le donne, soprattutto le prostitute, presenti in gran numero in questo come in tutti i santuari consimili a partire da Naucrati in Egitto, celebravano il "ritorno" di Adone danzando e bevendo per tutta la notte, in attesa che il giovane eroe si accoppiasse con la dea, per poi piangerne ritualmente all'alba la morte.
Le iscrizioni testimoniano che il santuario ha visto il passaggio degli intermediari di ricchi proprietari di Mileto, Samo, Efeso ed Egina: tra questi spiccano personaggi come Paktyes, il tesoriere di Creso, di cui Erodoto ci ha narrato la storia e il clamoroso furto del tesoro reale, e soprattutto un altro personaggio ricordato da Erodoto per i suoi commerci fortunati, Sostrato, un mercante di Egina, che ha fatto deporre a Gravisca un'ancora di marmo con la dedica in dialetto egineta ad Apollo. A partire dal 480 a.C., con la fine dei regimi monarchici in Etruria e la grande crisi internazionale delle guerre persiane e delle guerre di Sicilia contro i Cartaginesi, il santuario passa sotto l'esclusivo controllo etrusco con la conseguente scomparsa dei mercanti greci e la perdita d'importanza.
Colui che dopo il mio pensionamento mi ha sostituito nella direzione dello scavo, il professor Lucio Fiorini, docente di metodologia della ricerca archeologica presso il Dipartimento di Ingegneria civile e architettura dell'Università di Perugia, quest'anno è voluto tornare là dove si era operato agli inizi, per procedere all'esplorazione di due pozzi, che nella prima fase di scavo non erano stati svuotati per la grande difficoltà che tale operazione comportava: la dea bendata, Fortuna, principale compagna e protettrice dell'archeologo, ha premiato questa ardimentosa cocciutaggine, consentendo a Fiorini, coadiuvato da un locale gruppo di specialisti di esplorazioni di cavità, di recuperare uno straordinario, unico insieme di doni preziosi offerti tra VI e IV secolo a.C. alle dee femminili al centro del culto del santuario. Nel pozzo, posto all'interno del sacello di Demetra, la dea greca che incarnava la madre terra, era stato gettato, assieme ai resti di un sacrificio espiatorio, un gruppo di ricchi doni votivi, molto probabilmente per salvarli dai soldati romani che hanno certamente saccheggiato il santuario nel 281 a.C. in occasione della conquista di Tarquinia.
Il più antico di questi oggetti, di fabbricazione etrusca e datato alla fine del VI secolo a.C., è un coperchio d'avorio di una pisside probabilmente lignea, una sorta di trousse per contenere preziosi femminili, decorato a rilievo assai basso con una raffinatissima immagine di sirena, nel quale la mitica figura di uccello con la testa di donna coperta dal tutulus, il caratteristico turbante etrusco, presenta le mani, una distesa e l'altra in atto di tenere la custodia del flauto: la sirena, rappresentata nell'atto di cantare, incarnava l'irresistibile potenza ammaliatrice femminile, motivo appropriato per decorare un contenitore di belletti.
Assieme a questo prezioso oggetto, dal pozzo sono emersi oggetti votivi di bronzo, un raro bruciaprofumi in forma di stelo vegetale, e soprattutto due statuette etrusche di quasi quaranta centimetri di altezza, che raffigurano una dea matronale databile al pieno IV secolo e l'altra una fanciulla di poco più antica dell'altra, ambedue in atto di porgere offerte; mentre il coperchio di pisside è in ottimo stato di conservazione, così non è per tutti i bronzi, immersi come sono stati nell'ambiente umido del pozzo.
Da oltre un secolo non venivano alla luce bronzi di queste dimensioni in Etruria: Fiorini ed io dobbiamo un sacrificio a Demetra e a Fortuna.

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