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RACCONTO: Vessillo di sangue


La battaglia era furibonda. La legione aveva perso la formazione e la legione dei Riformisti era penetrata falciando uomini a destra e a manca.
Gli arcieri colpivano le retrovie dei traditori, mentre la cavalleria – apparentemente assente – aspettava il segnale appena oltre il crinale, nascosta alla vista degli attaccanti.
«Signore! È finita! Faccia richiamare gli uomini!»
«No.»
Il luogotenente guardò sconvolto il severo generale che, in groppa al suo cavallo e con la lorica segmentata ammaccata dall’ultima battaglia fissava con gli occhi ridotti a fessura il campo di battaglia sottostante. «Ma, signore…»
«Abbi fiducia, Luciano. Non sempre le cose stanno andando male come sembra.»
Il luogotenente del generale Marcello Tuscolo, Luciano Severo Agostino, strinse le labbra. Riteneva Marcello un inetto, già con gli ultimi due scontri avevano perso molti uomini e lui stesso era dovuto andare in soccorso del generale che aveva guidato una carica di cavalleria suicida contro un fianco dell’armata ribelle che non aveva nulla di scoperto.
Non poteva sopportare di veder distruggere la legione per l’inettitudine strategica di un solo uomo. Per quanto tutto il consiglio di guerra dei suoi più alti ufficiali avessero tentato di dissuaderlo da quel piano assurdo, non c’era stato verso di fargli cambiare idea. Convinto che solo con un atto eroico avrebbe potuto ottenere la vittoria, aveva deciso di bluffare, ma non aveva tenuto conto delle perdite già subite e che spaccare la legione in quattro lasciando penetrare le forze nemiche, molto più numerose avrebbe comportato un’ulteriore perdita consistente di uomini.
«Quando saranno arrivati dietro, Luciano. Solo allora darai il segnale di attacco della cavalleria. Non un attimo prima.»
Si mise sull’attenti, con le labbra strette nel disprezzo, studiando un modo per risolvere quel disastro annunciato. Quello che era rimasto della Legio V Macedonica erano al massimo due coorti. Meno della metà degli uomini. «Sì mio signore. Chiedo di poter essere alla testa della cavalleria.»
Il generale distolse lo sguardo segretamente soddisfatto dall’esito evidente di sconfitta e lo appuntò sorpreso sul suo secondo. «Sei sicuro? Tuo padre, il senatore Severo Probo, non sarebbe d’accordo.»
«Gli porterò maggior onore e anche la mia carriera politica ne avrà beneficio.» Luciano provò disgusto per se stesso al pronunciare quelle parole, ma era l’unico tipo di ragionamento che l’altro poteva comprendere. E, infatti, Marcello Tuscolo annuì compiaciuto.
«Allora vai, e fatti onore. Al mio segnale, mi raccomando.»
«Certo, generale.»
Lo salutò impettito, come si conveniva salutare un suo superiore e poi si allontanò a grandi passi veloci verso il suo cavallo. Fece un cenno e chiamò il vessillatore che da anni lo accompagnava ovunque. «Pronto all’azione. Adesso comando io la cavalleria.»
«Non ha cambiato idea, vero?»
«No.»
«Ci farà ammazzare tutti.»
Luciano annuì, stringendo le labbra preoccupato. «Alle volte ho come l’impressione che sia quello il suo scopo.»
«Attento a quello che dici!»
«Sto diventando paranoico, Marcus. Perdona le mie parole. Ma non intendo aspettare che la legiona venga annientata per ordini sbagliati. La mia missiva per il comando centrale di Costantino è partita?»
«Sì, due giorni fa. Non ci resta che resistere. Capitano, dimmi… quanti ufficiali sono con te?»
«Nessuno. Tutti ciechi a seguire l’intuito del grande generale che ha combattuto con l’Imperator a Margus.»
«Non so che dire.»
«Non dire niente e vai a prendere la tua posizione. Fai arrivare il messaggio a Carmine Buoro, il legatus coortis della cavalleria. Digli che procederemo con una variante sul tema.»
«Ma è saggio mettersi contro il generale?»
«Se l’alternativa è essere catturati o uccisi tutti da quei maledetti traditori, per me sì. Per te?»
Il vessillatore chinò un attimo il capo a guardare il pomolo della sella su cui era salito. In una mano teneva l’asta della bandiera, l’altra reggeva le redini. Strinse le ginocchia, incitò il cavallo tirando le redini con una torsione della mano per farlo voltare verso la cresta della collina. «Per me, sì, Luciano. Sono sempre stato con te e ho sempre condiviso le tue idee.»
«Ti ringrazio. Ora, andiamo.»
I due partirono al galoppo, sotto lo sguardo vigile del generale. Non sapeva cosa si erano detti, ma vide il vessillatores portarsi avanti, probabilmente andava ad annunciare l’arrivo dell’onorevole figlio del senatore Severo. Nobili viziati che giocavano a fare la guerra, vermi senza spina dorsale, ai suoi occhi.
Tornò a guardare il campo di battaglia e ordinò con voce stentorea: «Buccine pronte!»
Gli uomini vicino a lui presero posizione, pronti a trasmettere con le bandiere e con il suono delle buccine i nuovi ordini.
Quando Marcello vide il suo luogotenente scomparire dietro il crinale, diede l’ordine: «Tono sotto, cavalleria pronta. Tono medio lungo. Arcieri avanzare allo scoperto, fuoco di assedio con frecce incendiarie. Tono medio corto: auxilia illirici a mettere in posizione l’onagro alle spalle dei nemici. Cominciamo l’accerchiamento.»
Tutti si chiesero, in quel momento, chi fossero per il generale i nemici: se i riformisti che stavano combattendo o i suoi stessi uomini.
Attuare quelle mosse senza un coordinamento perfetto avrebbe condannato a morte tutti. Ma nessuno osò dire nulla e gli ordini vennero trasmessi.
Dall’alto del crinale, Luciano imprecò a voce non proprio bassa e il legatus coortis lo assecondò a sentire e vedere i segnali.
«Quell’uomo è pazzo. Dobbiamo dare agli arcieri lo spazio di manovra o come usciranno allo scoperto la cavalleria nemica li spazzerà via dal fianco sinistro.»
L’analisi fredda di Carmine Buoro era precisa e perfetta.
«Per non parlare del rischio di uccidere i nostri stessi uomini con il fuoco amico. Sarebbe ridicolo non trovi?»
Buoro guardò la piana. «Forse qualcosa ancora si può fare. Disperati per disperati, forse la Legione si salva.»
Si guardò intorno e fu orgoglioso dei suoi veneti. A cavallo erano una forza della natura, la maggior parte teneva le redini al cavallo solo per abitudine, spesso e volentieri nemmeno le usavano. Non ne avevano bisogno.
«Uomini!! Oggi moriremo tutti! MA! Oggi moriremo cavalcando fieri sotto le insegne della giustizia e dell’ordine che quei traditori vogliono toglierci e usurparci. Pregate i Mani e i Lari, pregati i vostri Genii perché oggi nessuno di noi uscirà vivo da questo campo di battaglia. Da oggi, se non vogliamo essere tacciati dell’infamia che il generale Marcello ci sta scagliando addosso, cavalcheremo per sempre, uniti, un sol uomo, nei Campi Elisi, perché OGGI noi faremo vedere cosa può fare la cavalleria VENETA! Siete con me?»
«Sì!» Il coro di voci sovrastò il rumore della battaglia.
«Formazione a cuneo, sfondiamo il centro. Voglio tre passaggi.»
Buoro sapeva di chiedere molto ai suoi uomini forse troppo, ma sapeva anche che senza una mossa del genere, senza questo sacrificio, la battaglia sarebbe stata persa e quell’ultimo lembo di Achaia che ancora resisteva con essa. Si erano ripresi Athenae e non avrebbero ceduto il terreno della capitale della provincia tanto facilmente. Era diventato un simbolo, il simbolo della fedeltà alla giustizia e all’ordine presente e vivo proprio nel cuore della congiura, nel cuore del territorio da cui era partito tutto.
La cavalleria si lanciò giù per il pendio all’ordine del legatus. Accanto a lui cavalcava Luciano, con in testa quel piano pericoloso, mortale. Ne avevano convenuto entrambi, in quei pochi istanti prima del discorso del cavaliere. Penetrarono nelle file nemiche passando attraverso gli arcieri che smisero di tirare alla cieca, guardandoli stupiti: l’ordine per la cavalleria era di attesa, non di attacco.
Marcello guardò con scorno quell’assalto. «Che diamine stanno facendo? Falli richiamare! Falli richiamare subito!»
Gli ordini partirono, ma furono ignorati.
Vedendo la cavalleria andare incontro allo schieramento vincente dei fanti, anche la cavalleria dei riformisti si mosse, con l’intento di intercettarla: dalla loro avevano cavalieri sarmati estremamente abili a maneggiare arco e frecce in corsa, anche con il cavallo lanciato al galoppo.
Persa ogni linea di comando, gli arcieri della V Macedonica seguirono gli ordini dati sul momento dai centurioni che, non potendo avanzare allo scoperto come indicato per via della cavalleria, vedendo arrivare in contemporanea quella nemica decisero di rallentarne il passo.
La cavalleria della V Macedonica, capitanata da Carmine Buoro e i suoi centurioni, penetrò nelle linee nemiche come una lama rovente penetra nel burro.
Travolsero senza alcuno scrupolo i militari riformisti che vennero finiti poi dai fanti sopravvissuti.
Quando uscirono dal percorso, i cavalieri si divisero con una manovra perfetta per ridisporsi a cuneo in due formazioni parallele e penetrare di nuovo tra la fanteria nemica rimasta. Ma ripartirono in meno della metà: gli arcieri nemici ebbero facile preda. Guidando ognuno una formazione, Carmine Buoro e Luciano Severo Agostino si lanciarono di nuovo nella mischia.

Al termine della giornata, i pochi sopravvissuti della Legio V Macedonica si fermarono a guardare il campo di battaglia. Non c’era stata tregua, per nessuno. Avevano combattuto per ore, fianco a fianco. I visi e i corpi sporchi di terra e polvere, sudore e sangue erano stanchi e tirati. Gli occhi erano vuoti e si fissavano sulla distesa di morte in cui si trovavano in mezzo.
Il generale Marcello Tuscolo discese dal fianco della collina tronfio, soddisfatto, congratulandosi con gli uomini della grande vittoria: solo un manipolo dei traditori era stata catturato, ma si trattava del comando che avevano affrontato quel giorno ed era un grande e onorato bottino di guerra. Lasciò ai suoi uomini la libertà di saccheggiare i cadaveri e il campo nemico appena oltre il boschetto da cui erano usciti e si diresse verso un angolo della piana non toccato dalla battaglia ove ordinò di piantare la sua tenda.
Molti dei legionari ancora seduti in terra e ansimanti lo guardarono straniti.
L’intera cavalleria era stata annientata. Più di tre quarti della fanteria pesante era andata perduta. Metà degli arcieri erano stati travolti e uccisi mentre tentavano di dare copertura all’unica mossa sensata da fare, ma fatta troppo tardi.
Tutti si chiesero se ne fosse valsa la pena. Nessuno trovò una risposta.
In un angolo del campo di battaglia un singolo uomo estrasse da sotto il cavallo il corpo del suo amico e superiore. Marcus, il vessillatore scostò dalla fronte di Luciano i capelli ricci e scuri e si chinò fino a posare la fronte sul petto. L’armatura era stata forata dalle frecce e squarciata a colpi di spada quando con il cavallo si era trovato in mezzo a una mischia letale: dopo il primo passaggio favorito dall’elemento sorpresa e dalla forza del numero, la cavalleria si era divisa in due gruppi per alleggerire l’onere di combattimento alla fanteria che doveva riassestarsi. E quella divisione era stata loro fatale: i due gruppi attacchati poi erano preparati e avevano saputo difendersi da tutti e tre i lati.
«Abbiamo vinto, Luciano. Abbiamo vinto. Non temere, cavalcherai a lungo nei Campi Elisi.» Mormorò all’amico morto cercando di frenare le lacrime di commozione. Quella notte il responsabile avrebbe pagato con la vita tutte le vite che aveva sprecato. Ma non ora. Ora doveva pensare, ma era difficile farlo e incrociando lo sguardo di molti soldati trovò nei loro occhi solo il vuoto riflesso alla sua stessa muta domanda.
Doveva avvisare il padre e il fratello minore di Luciano. Agostino Severo Probo e suo figlio non l’avrebbero presa bene: Luciano era il primogenito e a quarant’anni era il paterfamilias dei Severii di Achaia da quando il padre si era trasferito a Roma per seguire più da vicino le vicende politiche.
Marcus si alzò cercando di pulirsi il viso. Prese l’asta della bandiera e la issò dritta. L’alzò al cielo e al cielo levò un urlo di rabbia impotente accompagnato dal pugnale sporco dall'uso di quel giorno, sbandierato come un metallico vessillo di sangue.

2 commenti:

  1. Una sconfitta raccontata con la vittoria amara.
    Difficile narrare le gesta di un esercito intero... gran bel pezzo!

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  2. Onorata di ricevere i tuoi complimenti, grazie.
    Sì, in effetti non è stato facile descrivere la situazione degli schieramenti

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