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Celeste e il Generale filosofo: XII capitolo



« Ut faceres tu quod velle,
 nec non ego possem Indulgere mihi;
clames licet et mare caelo Confundas,
 homo sum»  




Salonia Matidia aveva grandi ambizioni: figlia unica della sorella dell’Imperatore, vedova e madre già a sedici anni, era tanto bella quanto astuta.
 Lo zio Traiano, una volta asceso al soglio imperiale, non aveva mai smesso i panni di generale: si trattava di quello che era stato e che aveva voluto fare nella vita; quindi in cuor suo si sarebbe sentito sempre e soprattutto tale. A lei, invece, piaceva più di quanto desse a vedere far parte della famiglia più potente dell’Impero e, piuttosto che dispiacersi per il suo più illustre congiunto, era pronta ad approfittare della sua incapacità di mettere al mondo un erede. Per avvicinarsi ulteriormente al trono aveva quindi accettato di sposarsi una seconda volta, con la speranza di dare alla luce un figlio maschio. Era nata con sua somma delusione un’altra bambina.
Salonia non si era fatta abbattere: combattiva e piena di forza di volontà aveva già in progetto un terzo matrimonio. Fu proprio in quel periodo, intorno all’840 a.u.c, che fece l’incontro decisivo della sua vita.
Passeggiava con passo sicuro nel palazzo imperiale: l’acconciatura, come sempre impeccabile, alta con un diadema e lo scialle verde in seta damascata attorno ai fianchi, fissato con una spilla d’argento.
Trovò la sua famiglia riunita nel peristilio: solo dopo i saluti di rito si accorse della presenza di un ragazzino ricciuto, seminascosto dietro la stola gialla di una giovane in età da marito.
Pompea Plotina glieli presentò come dei cugini, rimasti tragicamente orfani, che il marito aveva preso sotto la sua protezione. La ragazza si chiamava Paolina e, il bambino, Adriano.
Per Traiano, Adriano era solo un ragazzino viziato con la testa sempre china sui libri.
Per Plotina, era il figlio che non aveva mai avuto.
Per Salonia, era l’unica reale possibilità che aveva per restare nella famiglia imperiale, anche dopo la morte di Traiano.
Era stata Salonia, che aveva sempre accompagnato lo zio nelle campagne militari come assistente, a convincere l’Imperatore che la vita militare avrebbe potuto giovare al cugino.
Faustina
Senza di lei, probabilmente Adriano sarebbe rimasto un semplice ragazzo che condivideva con l’illustre cugino solo una lontana parentela e le preferenze sessuali.
Invece Salonia, intraprendente e tenace come poche, gli aveva dato in sposa la sua primogenita, Vibia Sabina e, così facendo, aveva cambiato il corso degli eventi.

Faustina, a differenza della sua cara amica Celeste, che era un’aristocratica, apparteneva alla classe media.
Era una ragazza molto umile, che non aveva pretese di ascesa sociale, e che coltivava le proprie amicizie in virtù di sentimenti sinceri e non di vantaggi più o meno palesi. Tuttavia, per via dei trascorsi di sua madre nessuno credeva alla sua buona fede, e quindi grande stupore destò nell’auricularius la visita che prestò a Marco, il plebeo che aveva soccorso il giorno prima.
Il ragazzo non si ricordava di lei e, alla sua comparsa, si voltò più volte indietro come se si stesse chiedendo: “E’ venuta a trovare proprio me?”
Faustina, vestita con una stola rosa a maniche corte, un nastro color porpora sotto il seno, e uno scialle ocra sui fianchi, gli sorrise dolcemente e si presentò.
“Signora, non dovevi disturbarti tanto per me. Non sono che un umile pittore”. Disse Marco, passandosi nervosamente la mano tra i capelli neri, scuri come i suoi occhi, rivolti pieni di meraviglia su di lei.
“Che conta il mestiere o il ceto? Stavi male, io ero lì e ti ho aiutato come ho potuto”. Si sminuì Faustina che, presa una sedia, si era messa accanto al letto del giovane.
“Ti devo molto, e vorrei sdebitarmi in qualche modo. Potrei ritrarti o fare qualche dipinto per la tua domus, se ti fa piacere” propose speranzoso Marco. Sebbene l’avesse appena conosciuta, l’idea di non vederla mai più gli riempiva il cuore di tristezza.
“Non possiedo una casa mia, e tu sei ancora convalescente per riprendere a lavorare. Però quando starai meglio, se ne avrai ancora voglia, ti consentirò di ritrarmi”.
Marco sorrise, lieto che Faustina non fosse sposata, e felice che gli stesse offrendo un’ulteriore possibilità di rivederla. Preoccupato che lei cambiasse idea e si rendesse conto di stare sprecando il suo tempo con un banale plebeo, il giovane cercò in ogni modo di impressionarla.
Le raccontò tutti gli aneddoti divertenti che conosceva, sebbene non avesse una memoria di ferro e incespicasse a tratti con le parole. Mordendosi più volte la lingua per la paura di essere inappropriato, la riempì di complimenti e di domande su che cosa le piacesse. Si appuntò mentalmente che i gigli erano i suoi fiori preferiti e che non avrebbe mai dovuto parlare male dei gatti, animali che lei adorava ma che non poteva tenere in casa perché la loro presenza causava frequenti starnuti in sua madre.
Faustina lo lasciò a malincuore. Sembrava passato un decennio dalle preoccupazioni per le nozze, e il conseguente annullamento.
Due anni soltanto era durata la guerra: il generale filosofo scherzosamente le aveva detto che era stata una fortuna, perché non sarebbe riuscito a sopportarla più a lungo.
Celeste, i cui capelli erano ricresciuti tanto che riusciva di nuovo ad acconciarli con dei nastri, per punirlo l’aveva lasciato dormire da solo la notte prima della partenza.
“Che racconterai a tuo padre di te e il generale?” le domandò Publio Emilio, l’amico liberto.
“Oh, credimi, non sarà difficile, perché non c’è molto da dire. La tua fantasia corre più veloce del cavallo di Caius.”Gli rispose piccata.
Il ragazzo continuò a stuzzicarla. Gli altri soldati erano impegnati a smontare il castrum e a prepararsi per il viaggio di ritorno ma Publio non poteva allontanarsi troppo da Celeste se non voleva correre il rischio di far arrabbiare Caius. “E il fatto che avete dormito quasi ogni notte insieme è anche un parto della mia fantasia?”
 “Abbassa la voce” Celeste si guardò attorno, temendo che qualcuno lo avesse sentito. “No, ma abbiamo comunque soltanto diviso lo stesso letto. Niente di più. Mio padre non dovrà preoccuparsi anche di questo scandalo”.
Più tardi il generale venne a intimarle di sbrigarsi a salire sul carro. Risentita del suo atteggiamento severo e autoritario, Celeste si sistemò in mezzo ad alcune donne di altri soldati: erano mogli e amanti che avevano lasciato le loro case per amore, sprezzo del pericolo, o desiderose di avventura.
Qualcuna, avida di pettegolezzi, le pose domande indiscrete sulla natura del suo rapporto con il generale. Celeste rispose brevemente, seccata: non c’era poi molto da raccontare. Era lei semmai a dover invidiare le altre!
Prima che calasse la notte, quando si fermarono per riposare, Celeste salutò freddamente Caius che, una volta smontato dal suo cavallo, era andato subito a cercarla.
“Come stai?”
“Come una che è costretta a fare un viaggio interminabile su un carro scomodo”.
“In sella a un cavallo è anche più dura”.
“Almeno eri solo”.
Caius la afferrò per un braccio e la trascinò dietro un albero. “Mi spieghi che ti prende?”
Celeste voltò la testa di lato e si rifiutò di rispondergli.
Il generale prese il suo viso con forza e la costrinse a guardarlo negli occhi. “Guardami”
Celeste si morse il labbro, per l’imbarazzo di quella situazione. Forse non aveva ottenuto quello per cui era partita, ma almeno gli era stata vicino, e aveva avuto modo di conoscerlo meglio. Ma lui non si era mai lasciato andare, celando i suoi pensieri dietro mura impenetrabili di silenzio.
E ora, sulla via del ritorno, Celeste non riusciva a non chiedersi se una volta a Roma lui l’avrebbe più cercata. Troppe domande che non aveva il coraggio di porgergli la assillavano: era stata un peso per lui in questi anni? Avrebbe sentito la sua mancanza?  Aveva mutato con il tempo opinione su di lei?
Caius la baciò, e ogni preoccupazione svanì per un attimo. Non c’era nient’altro che lui in quel momento. I suoi baci dolci e appassionati rendevano affannoso il suo respiro, frenetico il suo cuore, e impossibile ogni tipo di riflessione.
“Stai tranquilla. Andrà tutto bene”. Quella notte si baciarono a lungo e Celeste si addormentò felice, con la testa poggiata sul suo petto. Qualunque cosa avesse in serbo per lei il futuro, non avrebbe mai dimenticato quei momenti.

Citazione:

« Si era d'accordo che tu facessi quel che volevi, ma che anch'io potessi darmi al bel tempo. Grida quanto ti pare, sconvolgi pure mare e cielo: sono un essere umano anch'io! »
GIOVENALE, VI, 282-28

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