ARCHEOLOGIA E STORIA: I Romani e l'arte - il mosaico
Non fu certo un’invenzione romana, sebbene i Romani stessi
ne divennero grandissimi estimatori, tanto da foderare i pavimenti di terme,
uffici pubblici, fori, piazze, mercati e templi, per non parlare delle case.
Lo stesso termine mosaico è di origine
incerta: alcuni lo fanno derivare dal greco musaikòn, ossia "opera
paziente degna delle Muse" e lo stesso concetto viene richiamato dal
nome latino di opus musivum, cioè "opera delle Muse" in quanto
inizialmente era riferito al rivestimento applicato alle grotte dedicate
alle Muse, usanza questa degli antichi romani di costruire nei giardini
delle ville, grotte e anfratti dedicati alle Ninfe o alle Muse,
decorandone le pareti con sassi e conchiglie.
Non è un mistero che i romani fossero amanti delle cose
belle e vivere su pavimenti di terra battuta non era né sano, né bello.
Iniziarono, nel III sec. a.C., a ricoprire i pavimenti con una doppia funzione:
impermeabilizzare e abbellire. La storia del mosaico romano incomincia così,
principalmente per funzionalità pratica. All’inizio si usava il cocciopesto, in
termini latini noto come Opus Signinum
– dalla città di Signa (l’attuale Segni, in provincia di Roma) dove sembra che
sia stato inventato. Altro non era che una sovrapposizione di diversi strati di
malta mescolata con i frammenti di tegole e mattoni. In realtà la sua origine è
ben più arcaica, dal momento che vari ritrovamenti nel bacino del Mediterraneo
lo fanno risalire come minimo ai Fenici.
Successivamente, specie nei luoghi pubblici e nelle case dei
ricchi, aristocratici e non, comparvero i primi mosaici. Perché, semplicemente,
erano belli oltre che funzionali. Dapprima a imitazione dei più antichi mosaici
greci vengono riportati motivi geometrici e arabeschi, poi si cominceranno a
riprodurre le prime viste di vegetazione stilizzata.
I mosaici romani più diffusi sono in bianco e nero e
conosceranno una diffusione grandissima: non solo edifici pubblici e piazze
come già detto, ma anche case private più o meno grandi fino ad arrivare a
piccoli riquadri davanti alla porta di casa, alle cosiddette fauces, riportanti
il nome della casa o della famiglia, un segno di benvenuto o il famosissimo cave canem – attenti al cane – rinvenuto
nel complesso archeologico campano di Pompei, Ercolano e Stabia.
Eppure i più rinomati e conosciuti sono i mosaici policromi,
dalle tessere minutissime e dalla perfezione pittorica, come quelli rinvenuti a
Piazza Armerina nella famosa Villa del Casale con i suoi oltre 3000 mq di mosaici
con scene di vita, di religione e di caccia. Questi mosaici sono in realtà più
tardi, di derivazione ellenistica e diffusi principalmente nelle provincie,
specie quelle africane che già da molto prima della conquista di Roma avevano –
per il regno fenicio di Cartagine – già i suoi mosaici.
Le tessere, talvolta di dimensioni minutissime, riprendono
la pittura, o decorazioni che richiamano l'architettura. Le scene mitologiche
predominano templi e case, motivi marini nelle terme, animali nei mercati,
atleti nelle palestre, scene dionisiache nelle mense, cani nei vestiboli,
soggetti erotici nelle camere nuziali.
Il mosaico era l’elemento decorativo principe dei pavimenti delle case e degli
edifici pubblici, ma successivamente divenne di moda eseguirlo anche a parete,
ma in genere in dimensioni molto ridotte e rigorosamente a colori contornato
poi da pitture e affreschi.
Il mosaico fu anche motivo di regalo, a un certo punto, andando
molto in voga in epoca imperiale portare a casa degli ospiti per il banchetto
degli xenia, i doni ospitali, che altro non erano che piccoli quadri
raffiguranti frutta, verdura, pollame e cacciagione che si usavano offrire agli
ospiti in segno di riconoscimento per l’invito.
Le opere musive assunsero nel tempo sempre maggior
importanza e diversificazione, pur “impoverendosi” progressivamente con la
diffusione del mosaico anche tra le classi più povere per la schematizzazione
dei disegni ripetuti e per l’uso di tessere più grossolane, ma è altresì vero
che i più ricchi fecero realizzare per le proprie abitazioni dei veri e propri
capolavori creati con tessere di marmo, tessere di pietra di diversi colori e
sfumature uniti magari anche alle paste vitree, queste molto più care del resto
e quindi usate solo per incorniciare le opere d’arte che l’autore aveva creato.
Autore che, con il moltiplicarsi delle tecniche e lo
specializzarsi delle mansioni, si poteva trovare a collaborare con altri
professionisti oppure a racchiudere da sé due o anche tutte figure fondamentali
e importanti per la realizzazione di un mosaico:
- pictor imaginarius: stabilisce ed esegue il disegno e i materiali
- pictor parietarius: riporta il disegno sulla parete
- musivarius: realizza il mosaico sulla parete
- tessellarius: lavorava i mosaici pavimentali.
Si parla di pictor parietarius e di musivarius a indicare
colui che lavorava il mosaico sulle pareti, di cui ben pochi casi ci sono
arrivati per vari motivi già visti nella serie di articoli di Romano Impero
relativi alla devastazione di Roma e riportati su questo blog, ma come l’affresco
fu opera di abbellimento delle pareti così il mosaico era deputato
principalmente ai pavimenti.
Il mosaico parietale nacque verso il I secolo a.C. e non
come arredo della casa, nei ninfei, costruzioni scavate nella roccia, interrate
o artificiali, con una sorgente o una fontana, oppure nelle esedre, grandi
nicchie semicircolari o poligonali con fontane, spesso rivestite anche di
conchiglie. Anche nel Lupercale di recente rinvenuto a Roma si notano
conchiglie oltre a tessere e ghiaia.
Famosissimo il grande Mosaico nilotico di Palestrina (la Praeneste antica), I
secolo a.C., nel tempio della Fortuna Primigenia, ricco di scene di caccia,
pesca, rituali e banchetti, posto in terra coperto da un velo d'acqua che ne
esaltava i colori.
- opus signinum: per pavimenti a calce e cocciopesto, con tessere distanziate a disegni geometrici, spesso usati nei mercati e negozi.
- opus segmentatum: per pavimenti, in cocciopesto e calce con lapilli e sassolini per disegni semplici spesso usati nei ninfei.
- opus tessellatum: cubetti grandi, fino 2 cm di lato; per bordure, fondi, disegni geometrici.
- opus vermiculatum: tessere più piccole e di varie forme per sfumature di colore, per i contorni delle figure.
- opus sectile: piccole lastre di pietre di colori diversi per composizioni geometriche.
- opus alexandrinum: tessere di marmo coloratoi, bianchi e neri su fondo rosso, o porfido rosso e serpentino verde.
- opus vermiculatum: con elementi piccoli e irregolari, a forma appunto di vermicelli.
- opus musivum: mosaico parietale in pasta vitrea.
LA TECNICA
L'esecuzione aveva varie fasi: prima si disegnava la scena su cartone, secondo
le indicazioni del committente e, avutane l'approvazione, si copiava
sostituendo linee e colori con pezzettini di vetro colorato, marmo o calcare.
Plinio il Vecchio e Vitruvio spiegano che si stendevano tre
strati diversi: lo statumen (conglomerato di ciottoli di grosse dimensioni), il
rudus (strato alto 25 cm, composto di tre parti di schegge di pietra e uno di
calce), poi il nucleus (strato di cemento di 12 cm, composto di tre parti di
cocciopesto e una di calce). Le tessere, infine, levigate, si inserivano in un
sottile strato di intonaco. Era un lavoro di estrema precisione; per avere
un'ide del lavoro oggi un operaio impiega 6 giorni lavorativi per comporre un
metro quadro di mosaico.
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