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STORIA: Devastazione di Roma - 2. Gli scavi

Estratto dall'articolo di romanoimpero.com reperibile per intero qui.
Rispetto all'originale mi sono presa la libertà di non riportare qui tutto l'articolo, ma solo alcuni stralci a mio avviso più interessanti. Nulla di quanto pubblicato qui - comprese le foto - è stato in alcun modo alterato dai Demiurghi.
Si ringrazia lo staff di romanoimpero.com per le sue interessantissime e approfondite pubblicazioni.




DEVASTAZIONE DI ROMA - GLI SCAVI 2/6

Pittura Romana
Nel Medioevo scoprire l'architettura e le opere d'arte romane per tutto il mondo occidentale fu uno shock. Il cristianesimo aveva cancellato così ferocemente monumenti, pitture, libri, storia, religione, attività teatrali e soprattutto scuole, che il popolo non sapeva più nulla delle passate glorie romane.

La scienza era strumento del diavolo, così i libri profani e quei pochi che tentarono di ristabilire una scienza rischiarono la vita come Galilei o finirono sul rogo, come Giordano Bruno.

Tanto è vero che Paracelso per ritrovare un po' di medicina, anche quella bruciata e oscurata dalla Chiesa, dovette girare per le campagne e chiedere alle donne che in gran segreto tenevano le loro ricette di erboristeria, anche quelle ritenute opera del diavolo.

Mentre l'alfabetismo al tempo degli antichi era come quello di oggi in Italia, considerando che anche la quasi totalità degli schiavi andava a scuola, nel medioevo divenne pressocchè assente, solo gli ecclesiastici e qualche signorotto studiavano, ma a parte qualche scrivano, la popolazione sapeva al massimo fare i conti, ignorando letteratura, filosofia, poesia, retorica, architettura, geometria, matematica, storia, musica, teatro, statuaria, pittura, arte musiva, ars topiaria, medicina e chirurgia. La storia cominciava dal cristianesimo, tutto ciò che l'aveva preceduto era male e i pagani erano servi del diavolo. Era stata demolita per sempre una grande civiltà e soprattutto, ne era stato cancellato il ricordo.

Basta guardare una pittura pompeiana e poi una catacombale per capire la terribile involuzione dell'arte, e la medicina viene sostituita dal salasso, tutto succhia emozioni e sangue, l'essere umano non deve avere nè passioni nè sentimenti, deve essere triste, umiliato e pentito. Non c'è da meravigliarsi che la scultura romanica si riempia di mostri, visto la catastrofale rimozione degli istinti vitali.

Pittura post romana
3 luglio - 1474, 24 dicembre. Nardo Corbolini e Leonardo Guidocci, orefici, restaurano la statua equestre di Marco Aurelio, e la collocano su nuova base marmorea.

Il restauro, ponendo in migliore evidenza quel bronzo famoso, colpi la mente degli artisti contemporanei, "Vedendo Andrea (Verrocchio) che delle molte statue antiche, ed altre cose che si trovavano in Roma, si faceva grandissima stima; e che fu fatto porre quel cavallo di bronzo, dal papa, a san Giovanni Laterano; e che de' fragmenti, non che delle cose intere, che ogni dì si trovavano, si faceva conto, deliberò d'attendere alla scultura: e così, abbandonato in tutto l'orefice, si mise a gettare di bronzo" Vasari.

I tempi erano cambiati, gli amanuensi avevano fatto conoscere lo opere letterarie salvate in genere per usufruire della carta da scrivere sui larghi bordi liberi da scrittura, visto che la carta non veniva più prodotta per la mancanza di richiesta. Nessuno più scriveva e nessuno più leggeva. Qualcuno però aveva letto, aveva acquistato i manoscritti e talvolta erano stati gli stessi amanuensi ad appassionarsi ai testi.

Amanuensi
Nel Medioevo non esistevano più le associazioni, spesso curate da schiavi, che sceglievano, tracrivevano e pubblicavano libri o copie di libri. L'unica trascrizione riguardava testi sacri, martirologia, agiografia e tutto ciò che si riferiva alla Chiesa, e questo lavoro fu affidato soprattutto ai monaci, che non chiedevano compenso, facendo il loro lavoro parte dell'obbedienza. Il monaco copista trascriveva i testi in silenzio, interrompendo il suo lavoro solo per le preghiere; a volte era aiutato da un altro confratello che, mentre dettava, controllava eventuali errori del testo.

Una seconda classe di raccoglitori è formata dai Maestri delle Strade, i quali s'impadronirono assai di frequente degli oggetti che capitavan loro nelle mani nella loro qualità di ufficiali pubblici. A questa classe appartengono Latino Giovenale Mannetti, Tommaso Cavalieri, Marcello Capodiferro, Rutilio Alberini, ed altri fondatori di antiquarii privati. Tantissimi reperti, trovati per caso, poi ricercati per il valore, poi per prestigio divenendo collezione presso il clero e la nobiltà romana, che in genere coincisero. Eccone un breve esempio fra i tanti documenti disponibili:
Ogni giorno un amanuense riempiva quattro fogli di pergamena, con grande attenzione e fatica, come ci dice uno di loro: "Annebbia la vista, incurva la schiena, schiaccia le costole ed indolenzisce il corpo".
Talvolta alcuni monaci, quando la regola lo consentiva, leggevano e traducevano anche libri latini e grechi, i pochi scampati ai falò della chiesa che li consideravano opera diabolica. La quasi totalità dei libri salvati erano pertanto quelli conservati per scrivervi sui bordi gli studi sui metalli, una primitiva chimica detta alchimia, o delle preghiere o delle ricette da cucina, Poi i frati si accorsero che pubblicare i libri introvabili poteva essere molto redditizio, per esempio un nobile alla metà del 1300 pagò per un antico libro 200 pecore, più una gran quantità di grano e segale.

E così incominciarono a fiorire le biblioteche private, pur se molti nobili non sapevano né leggere e né scrivere, ma avevano scrivani che leggevano per loro, e inoltre possedere manoscritti era simbolo di potere e cultura. Inoltre presso le università, gli allievi copiavano, traducevano e miniavano molti codici, veri e propri libri di testo, per potersi mantenere nei propri studi. Purtroppo molti testi vennero modificati per farli aderire al credo cristiano e molti vennero tagliati e censurati.

Quando nel '400 si comprese che le statue valevano più della calce e i libri antichi più della carta, e soprattutto quando si cominciò a capire che sotto le vigne di Roma esisteva un mondo bellissimo e dimenticato, gli artisti cominciarono ad ispirarsi ad esso e a produrre i capolavori che porteranno al Rinascimento, e i potenti nobili romani compresero che le loro dimore sarebbero state di gran lunga più sontuose abbellendole dell'antica arte. Inoltre l'arte romana, abbattuta dal cristianesimo in una furia talebanica per tutto l'impero, cominciava ad essere valutata dai più istruiti, così dall'estero vennero a cercare tesori a Roma, dove la chiesa li usò talvolta come merce di scambio. Così i palazzi degli ecclesiasti e dei nobili iniziarono l'incetta di opere d'arte dando luogo a vere e proprie collezioni, che spesso cambiava di mano col volgere delle fortune. A Roma c'era una vera reggia con un re e i suoi cortigiani, il re era il papa e i cortigiani i cardinali. Poichè la corsa al papato era sfrenata, le famiglie nobili avevano tutte i loro bravi cardinali che si schieravano con un casata o l'altra, comprando e vendendo voti. In questa situazione sorsero a Roma i Musei capitolini.


Musei Capitolini
La nascita dei Musei Capitolini viene fatta risalire al 1471, quando il papa Sisto IV donò al popolo romano un gruppo di statue bronzee forse in parte di valore simbolico. Dalla base dei vicomagistri, scoperta sin dal tempo di Ciriaco d'Ancona che mori nel 1459, sappiamo che il « leo marmoris existens in scalis capitolii » sin dal 1363, e i due cippi sepolcrali di Agrippina maggiore e del suo primogenito Nerone Cesare, CIL. 886, 887, erano stati tolti dall'Austa nel secolo XIII. Per taluni altri marmi, descritti dal Giocondo sulla fine del '400, manca ogni testimonianza cronologica. Il museo comprendeva i bronzi già lateranensi, la mano col globo detta « palla Sansonis », la Zingara o Camillo, il fanciullo che si cava la spina, la « lupa mater Romanorum », la testa colossale di Domiziano, e l'Ercole Vittore del foro boario.

Le sculture furono in un primo tempo sistemate sulla facciata esterna e nel cortile del Palazzo dei Conservatori ed in breve il nucleo originario fu arricchito da successive acquisizioni di reperti provenienti dagli scavi urbani e strettamente collegati con la storia della Roma antica.

Alla metà del XVI secolo erano state collocate in Campidoglio, significative opere di scultura (tra le altre la statua di Ercole in bronzo dorato dal Foro Boario, i frammenti marmorei dell'acrolito di Costantino dalla Basilica di Massenzio, i tre pannelli a rilievo con le imprese di Marco Aurelio, il cd. Bruto Capitolino) ed importanti iscrizioni (tra cui i Fasti Capitolini, rinvenuti nel Foro Romano).

I conservatori collocarono L'Ercole su nuova base. Vennero al museo, insieme col colosso, le iscrizioni CIL. 312-318: di una (315) è stata cancellata l'iscrizione, una (314) andò perduta nel secolo XV, due (317,318) nel sec. XVII. Alcune sculture del tempio di Ercole vennero non si sa come cedute a Padova; come un rilievo di "Ercole con la Virtù e Voluptà", opera antica fatta in Roma ancora da un tempio d' Ercole. Il Gregorovius suppone che Paolo II avesse steso la sua mano rapace anche ai bronzi del Laterano, e che Sisto IV li abbia restituiti al popolo.


Andrea Fulvio così parla delle raccolte capitoline a p. 41 dell' aurea traduzione Ferrucci:
"Sono hoggi in piedi delle imagini antiche in Campidoglio, dinanzi alla casa de' Conservadorj

- una lupa di rame con Romolo e Remo, edificatori di Roma ....

- È ancora in piedi sotto al portico una grande Testa di rame che, secondo ch'é dicono, è quella di Commodo con una mano et con un piede, et simigliantemente due grandissime statue di marmo, che, secondo si può per coniettura comprendere, l' uno rappresenta il Nilo, et 1' altro il Tigre . . .

- Dentro alla soglia, da mano destra, come l'huomo entra, si vede un simulacro di rame indorato et ignudo di Hercole ancoro senza barba ... la quale statua, al tempo mio, sotto le rovine dell' altare grande (ara Maxima) alla piazza del mercato de buoi è stata ritrovata.
[…]

Le cose andarono così
La più antica memoria di trasporti di marmi da Roma a terre lontane è del tempo di Teodorico, e concerne le colonne della Domus Pinciana spedite a Ravenna. Con l'avvento del criistianesimo cade infatti l'amore per l'arte romana e per Roma.

ROMA 1520, 19 sectembre. Francesco di Branca primo conservatore riferisce al Consiglio […] (che) si distrugge l'arco del Foro di Nerva, si arrestano i distruttori ma questi hanno semplicemente eseguito l'ordine del potente cardinale Trivulzi. Roma è diventata un grande self service di marmi e statue.
Il Branca narra questo fatto per incitare il Consiglio alla difesa delle patrie antichità […]. Da ogni parte d'Europa giungono stranieri per mirare i resti della grande romanità, di essi si scrivono libri definendoli "LE MIRACHOLE DE ROMA" e i romani le distruggono ogni giorno di più.
[…]

Papa e cardinali prendono invece violentemente la difesa dei distruttori dei monumenti contro il magistrato cittadino che voleva punirli. Il Franceschino, liberato dalla prigione, faceva parte della banda che aveva devastata la piazza del Campidoglio nell'anno precedente, e gli archi della Claudia a porta Maggiore nel 1513. Il suo protettore è il card. Scaramuccia Trivulzio, favorito di Luigi XII, investito della porpora da Leon X nella famosa promozione dei 31 cardinali, avvenuta il 1 luglio 1517, protettore di Francia, arciv. di Vienna nel Delfinato, etc. I contemporanei esaltano la benignità delle sue maniere.


Licenza di scavare
1525, 12 gennaro. Il camerlengo Francesco Armellini Medici concede […] licenza di scavare per un anno dovunque meglio gli piaccia, purché non leda gli interessi de' privati […] e... somministri il terzo alla Camera, cioè alla Chiesa, (A. S. V. Divers. tomo LXXIV, e. 165'). E' come la licenza di uccidere, purchè non dia grane ai principi romani, ma può demolire qualsiasi monumento.

IN TELLURE PORTOGALLO - 1550, 6 gennaio. R. IV. Tommaso Cosciari loca a Lucrezio Corvini parte delle rovine della Domus aurea, nel sito dell'Orto delle Mendicanti. Così ciò che resta della Domus Aurea può essere con calma scavato e spogliato.
[…]

1563 - La vigna o villa Mattei occupava l'altipiano del Cespio, tra s. Pietro in Vincoli la via della Polveriera e la via del Colosseo, altipiano oggi tagliato dalla nuova via de' Serpenti, e coperto in gran parte dalla scuola municipale Vittorino da Feltro. Di questa scoperta parla il Florent « La spira di sotto e delle colonne dell'ordine composito del portico del tempio di Tellure tolta et guasta dalle reliquie che a questi di sono
cavate di sotto terra havante alla piazza di Torre de' Conti... le colonne erano di marmo bianco pentellico ». Questo ricordo del Ligorio si riferisce probabilmente agli scavi eseguiti in Tellure al tempo di Pio IV per la ricerca di materiali destinati alla costruzione della porta Pia.

I più bei palazzi e le ville romane sorsero sugli stupendi edifici romani abbattuti e sfregiati. Per quanto concerne i giardini e le ville aperte in terreni archeologici, basti citare quelle del Fedra, del Mattei, del Turini da Pescia, e del Perrerio. Per fare qualche esempio, La villa Mattei sarebbe stata fondata tra gli avanzi della casa Augustana e del portico delle Danaidi nell'anno 1515 (Gregorovius, tomo VIII, p. 459); ma la data non è sicura. I Mattei la ingrandirono nel 1561, acquistando una vigna di quattro pezze da Alessandro Colonna, e alcuni anni più tardi, quella di Cristoforo Stati.

1514, settembre. Una lettera di Filippo Strozzi a Giovanni di Poppi, scritta da Roma, dà notizia del ritrovamento di certe statue, che il Brunn ha riconosciuto essere copie, minori del vero, di quelle donate da Attalo I agli Ateniesi. Filippo prega il suo corrispondente di dire al cognato Lorenzo de Medici "che sua madre è la più fortunata donna mai fusse, che li danari che da per dio li fruttono più perchè se li prestassi a usura: et questo perchè murando a certe monache una cantina vi hanno trovate sino a questo di circa a 5 figure sì belle quante ne sien altre in Roma. Sono di marmo, di statura manco che naturale, e sono tutti chi morti et chi feriti, pure separati. Evi chi tiene che sian la historia delli Horatii et Curiatii". Vedi Gaj'e, Carteggio, li, 139, n. 84. 


Scavi e contratti di scavo
Una seconda classe di raccoglitori è formata dai Maestri delle Strade, i quali s'impadronirono assai di frequente degli oggetti che capitavan loro nelle mani nella loro qualità di ufficiali pubblici. A questa classe appartengono Latino Giovenale Mannetti, Tommaso Cavalieri, Marcello Capodiferro, Rutilio Alberini, ed altri fondatori di antiquarii privati. Tantissimi reperti, trovati per caso, poi ricercati per il valore, poi per prestigio divenendo collezione presso il clero e la nobiltà romana, che in genere coincisero. Eccone un breve esempio fra i tanti documenti disponibili:


AD BUSTA GALLICA
- Francesco Capogalli rettore della chiesa di s. Andrea de Portugallo concede a Giovanni da Mantova muratore il permesso di scavare nel suolo di detta chiesa. […]
- Si conosce l'esistenza di un vasto e nobile edilìzio nel sito cui accenna il predetto documento. L'anno 1706 nel mese di settembre, scavandosi per rifondare la vecchia chiesa e trasformarla in quella di s. Maria ad Nives, fu trovata oltre ai marmi la bella iscrizione CIL. VI, 913, dedicata ex s. e. a Nerone cesare, figliuolo di Germanico.

 AD LACUM SERVILIUM
- 1492. I documenti relativi alla fabbrica di s. Maria delle Grazie si trovano, e nel prot. 1671 A. S. del notaio Giampaolo Setonici, e presso il Pericoli "Ospedale della Consolazione" cap. III. p. 49 sg. La fabbrica si estese sull'orto grande comperato sino dal 1483 dalla moglie di Valeriano dei Frangipani. Su questo terreno e sugli altri adiacenti alle Grazie e alla Consolazione fu data licenza di scavare il 14 aprile 1496, il 30 luglio 1500, il 17 febbraio 1511 e il 9 ottobre 1512. Vedi Bull. Com. 1891, p. 229, e 1899, p. 170, ove sono riferiti i documenti originali di concessione.
[…]

AD SPEM VETEREM
- 1513, lo giugno. G. B. Celito romano, Damiano Bartolomei genovese, e Franceschino da Monserrato cavano ben trecento lapidi romane a Porta Maggiore […] A. S. C. Scritt. arch. prot. XIV, 168.

AEDES DIVI PII
- nn. 202, 202'. Cornici, fregi, imbasamento « nella cava di s. Lorenzo despiciali »

AEDES HERCULIS INVICTI
- "Post muros aedificìorum scolae Grecae (il gruppo di s. M. in Cosmedin e suoi annessi) statini non longe fuit templum Herculis". Emerse tramite gli scavi che demolirono gli ultimi resti del tempio.
[…]


Le antichità andate all'estero
I buoni papi e principi della nobiltà romana, avendo totalmente obliata la grande cura e l'erudizione dei pagani, non si fecero scrupoli a vendere all'estero le opere d'arte romane.
Inventarium exciìie domus Chigi, dei beni liberi e allodiali del loro padre Agostino consta di due parti. La prima contiene l'elenco di 143 sculture, con annotato: "suprascriptae statuae venditae fuerunt per D. Augustum Chisium favore illini domini Baronis Raymundi Leplat ei instrumento rogato sub die 6 decembris 1728". Nel grande archivio di Stato di Dresda si conserva una corrispondenza intitolata: "Lettres du Baron le Plat pendant son voyage pour Italie concernant l'achat des statues à Rome", dalla quale corrispondenza si raccoglie che il le Plat, intelligente ufficiale del Genio, architetto della casa del Re, e più tardi direttore delle sue collezioni artistiche, ricevette incarico il 28 agosto 1728 di recarsi a Roma, per acquistare le statue del Chigi ed altre del Card. Albani, già valutate dal von Berger, professore di archeologia nell'Università di Wittenberg. La raccolta chigiana, pagata 34,000 scudi, compresi i 300 dati al Ficoroni per sua mediazione, fu spedita nello stesso anno a Dresda; ove, collocata nella Galleria reale, venne tosto illustrata dallo stesso le Plat nel suo « Recueil des Marbres antiques, qui se trouvent dans la galerie Royale et Electorale de Dresde » 1733, in fol.


Statue romani trasformate in santi
W. Amelung ha segnalato una terza classe di marmi usati dagli scultori del rinascimento, quella delle « statue antiche trasformate in figure di santi ». Egli cita il S Sebastiano in s. Agnese dei Pamphili, ricavato da un Giove o da un imperatore seduto: la s. Agnese sotto il tabernacolo della basilica nomentana, replica (antica) di una delle due figure femminili di Ercolano, ora nel museo di Dresda.

A Roma nella chiesa di S Agostino c'è una statua della Madonna, più grande del vero come in genere le divinità pagane o gli imperiali, seduta con corona e pargolo, sarebbe per alcuni una Grande Madre rimaneggiata. Secondo una tradizione popolare sarebbe invece un'antica effigie di Agrippina che teneva fra le braccia il piccolo Nerone. In ogni caso è di epoca imperiale.



Tutte le parti in omissis ([...]) sono reperibili all'articolo originale qui.

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