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STORIA: Devastazione di Roma - 1. Le Calcinare

Estratto dall'articolo di romanoimpero.com reperibile per intero qui.
Rispetto all'originale mi sono presa la libertà di non riportare qui tutto l'articolo, ma solo alcuni stralci a mio avviso più interessanti. Nulla di quanto pubblicato qui - comprese le foto - è stato in alcun modo alterato dai Demiurghi.
Si ringrazia lo staff di romanoimpero.com per le sue interessantissime e approfondite pubblicazioni.




DEVASTAZIONE DI ROMA - LE CALCINARE 1/6




L'inganno storico
Fraschetti “anche il paganesimo romano è stato ‘assassinato’ attraverso una legislazione sempre più repressiva che di fatto ne rese impossibile ogni pratica”

La caduta dell'impero romano non avvenne per colpa dei barbari come si narra nei libri di scuola, ma per la caduta dello spirito romano. Un tempo quando Roma era a rischio un console saliva in campidoglio con due bandiere e gridava: "La patria è in pericolo, ha bisogno di voi!" Immediatamente si formavano due cortei immensi, uno di fanti e uno di cavalieri e si partiva a combattere, sia aristocratici che plebei.



In epoca imperiale i generali, con l'ordine dell'imperatore raccoglievano gli eserciti e andavano a combattere. Soprattutto chi voleva fare carriera o semplicemente trovare rispetto dai suoi simili doveva aver combattuto per Roma. I Romani non davano cariche politiche, perchè all'epoca le votava il popolo, a chi non si fosse distinto in combattimento. Il cursum honoruma era in base alle battaglie sul campo e chi non ne aveva era fuori. Perfino i letterati dovevano combattere se volevano rispetto e popolarità. Orazio dovette combattere con Mecenate per potersi meritare un posto tra i letterati, e così Cicerone. I ragazzi imparano a combattere già in palestra, con gli spadini di legno. Cesare conquistò la carica di dittatore perpetuo conquistando le Gallie. Ogni giorno un corriere giungeva a Roma portando la cronaca delle battaglie quasi sempre vinte. Roma lo amò per questo.

Con l'avvento del cristianesimo la religione, che occupava nel paganesimo un posto limitato, seppure abbastanza sentito, nell'animo dei romani, passò al primo posto col cristianesimo. La divinità era una sola e bisognava ingraziarsela, tutto il resto: guerre, siccità, colera, accidenti atmosferici e malattie, dipendevano dal Dio. Per cui era più importante pregare che combattere. I romani sostituirono con il Dio supremo il dovere verso Roma e verso l'imperatore. E poichè i romani non combattevano più assoldarono combattenti stranieri, che non avevano le stesse capacità nè la stessa fedeltà dei romani.



La grande cancellazione
Sottomessosi alla chiesa, Teodosio I emanò ben quattro editti, da Milano, da Aquileia, da Concordia, e da
Costantinopoli, per vietare non solo a Roma ma in tutto l’impero di fare sacrifici, di onorare con il fuoco i lari, con libagioni i geni, con l’incenso i penati, di adorare idoli, di elevare altari di zolle. Era la proscrizione totale del paganesimo.
Si capisce perciò la reazione pagana in Italia del 393-394, accolta dall’usurpatore Eugenio, benché cristiano, proclamato imperatore alla morte di Valentiniano II, che accolse tutte le richieste dei pagani di Roma, restaurando i vecchi culti proscritti. Ma Ambrogio lo scomunicò e Teodosio con un esercito lo sconfisse nel Veneto il 6 settembre 394; applicò poi di nuovo tutte le severe prescrizioni del 392. Il paganesimo era definitivamente e violentemente distrutto.

I figli di Teodosio, nel 395, rinnovarono le leggi contro i pagani e Arcadio comandò, nel 399, la demolizione di tutti i templi rurali. Onorio invece prescrisse di rispettare gli ornamenti dei monumenti pubblici e di non distruggere i templi, una volta spogliati di ogni rappresentazione illecita. Poi però ci ripensò e soppresse i sussidi per gli epula sacra e per i giochi rituali; ordinò di togliere le statue dai templi e dai luoghi santi; destinò all’uso pubblico questi edifici di culto; fece distruggere le are e soppresse le feste. Nell’anno 408 emanò la legge contro la libertà personale religiosa. Nessuno poteva scegliersi la sua religione, pena la confisca dei beni e/o la morte.
A queste leggi, i pagani reagirono in principio con la violenza, poi, accorgendosi che nulla potevano coll'imperatore, dovettero abbandonare i templi da cui avevano tolto i segni della "superstizione pagana" cercando in tutti i modi di salvare le statue, nascondendole nelle grotte, sotto terra o in luoghi nascosti; cosicché furono poi ritrovate vere necropoli di statue (per esempio a Cipro, a Benevento, a Capua).

Teodosio II, con la legge del 435, comandò infine che, qualora ci fosse stato qualche tempio rurale non
distrutto, cosa molto rara, venisse trasformato in chiesa cristiana, pena di morte ai contravventori: “Tutti i luoghi sacri, cappelle, templi se ancora ce n’è qualcuno integro, per ordine dei magistrati, comandiamo che sia rifiutato e purificato, con il metterci il segno della veneranda religione cristiana”.

Già nel 437, Teodoreto scriveva: “I templi degli dei sono talmente distrutti che non ne rimangono nemmeno le forme e i nostri contemporanei non ne riconoscono più le are. Il materiale, invece, di questi è stato ‘dedicato’, per farci le memorie dei Martiri. Infatti, il Signore Dio nostro introdusse i suoi morti nei templi, invece dei vostri dei che rese inutili e vani; e attribuì i loro onori ad essi. Al posto delle Pandie, delle Diasie, delle Dionisie e di altre vostre feste, si celebrano le solennità di Pietro, di Paolo, di Tommaso, di Sergio, di Marcello, di Leonzio, di Antonia, di Maurizio e di altri Martiri; invece delle antiche e turpi pompe e delle frasi oscene, noi celebriamo modeste festività, senza ubriachezze, senza buffonate ridicole. ma con canti divini, con l’ascolto di sacri discorsi e con preghiere mescolate con lacrime lodevoli”

Teodoreto confutava così i pagani che tacciavano i cristiani di plagio, per aver trasferito le loro festività degli Eroi a favore dei Martiri cristiani. Teodoreto ammette, ma dichiara che le festività cristiane sono molto meglio, anche se si celebrano in santuari costruiti sui ruderi dei templi o con il loro materiale.
Come nelle feste Dionisie rurali che si festeggiavano con allegre processioni, con canti osceni, con rappresentazioni drammatiche e commedie; che consistevano in sacrifici di montoni e di porci e in pizzette
a forma di animali che venivano distribuiti ai fedeli, e in doni che erano distribuiti ai bambini in onore dei morti; e che finivano con le Pandie, cerimonie in onore della antica Dea Luna. Molto cambiate nelle feste analoghe copiate dai cristiani.
Erano cambiate anche le offerte degli ex-voti che i miracolati appendevano nei santuari dei Martiri, segno di gratitudine per le grazie ottenute: erano sempre di simulacri di occhi, di piedi, di braccia, fatti in cotto, o in argento o in oro, come si faceva nei templi pagani, ma i miracolati cristiani offrivano questi ex-voti al Dio vero, e i Martiri non erano Dei, ma solo uomini cari a Dio, intercessori per fratelli bisognosi.


I templi trasformati in chiese
Subito dopo il Concilio di Efeso (431), in Sicilia ben otto templi pagani furono dedicati alla Madonna: sul Monte Erice fu purificato il tempio di Venere, consacrandolo alla Vergine della Neve; a Messina i templi di Venere e di Saturno; presso l’Etna il tempio di Vulcano; a Catania il Pantheon, il tempio di Cerere e il sepolcro di Stesicoro; ad Agrigento il Mausoleo del tiranno Falaride fu trasformato nella chiesa della Madonna della Misericordia. Figuriamoci a Roma.

Verso il 470, un nobile goto di nome Valila, latinamente Flavius Theodobius, cristianizza, annuente papa Simplicio, la basilica privata eretta dal console Giunio Basso nell’anno 331, dedicandola all’apostolo Andrea
in Cata Barbara Patricia, aggiungendovi solo un altare, trasformando il nartece, rialzando il pavimento e mettendo nelle pareti dei mosaici.

Sembra che risalga alla fine del V sec. la cristianizzazione di un’aula della proprietà del patrizio Cilone, sull’Aventino, che corrisponderebbe al Titulus Tigridae, vescovo presente con i suoi presbiteri al Sinodo romano del 499. È una navata unica e oggi corrisponde alla Basilica di S. Balbina, presso Via Nova.

Tra la fine del V sec. e gli inizi del VI furono adattate a chiesa cristiana templi dell’età di Augusto locati al centro della cittadella di Pozzuoli (Rione Terra). Accurati lavori di restauro, dopo l’incendio del 17 maggio 1964, hanno riportato alla luce i resti del tempio romano.

Anastasio, uomo pio, caritatevole e asceta, nell’anno 502, soppresse i giuochi Saturnali e nel 505 proibì ai pagani l’accesso alle cariche municipali e perseguitò gli intellettuali, pagani ostinati, scovandoli nei loro nascondigli da Giovanni di Cappadocia a Bisanzio. Così almeno riferisce Procopio, anche se Giovanni era cristiano.

Si tenne perciò, nel 517 un concilio per regolare le facili conversioni, obbligando a una penitenza gli eretici che volevano essere riammessi nella comunità ecclesiale e nel can. 33 si obbligarono i cattolici a non accettare le loro chiese: “Noi trascuriamo di adattare a santi usi le basiliche degli eretici, perché le riteniamo odiose per tanta esecrazione, dato che non pensiamo purgabile il contaminamento di esse”.
Per cui anche in Occidente, come in Oriente, si seguitò a “cristianizzare” soltanto i templi pagani.

Felice IV (526-530), eletto papa per influsso di Teodorico re dei Goti, ottenne dalla regina Amalasunta, amica dei cattolici, il “templum sacrae Urbis” cioe il tempietto di Romolo, figlio di Massenzio, per farci una chiesa dedicata ai due martiri della Cilicia, Cosma e Damiano. Con il primo edificio, una vasta aula di forma quadrangolare divisa da un’antica parete che l’attraversava, fece la chiesa addossando alla parete di divisione un’abside rotonda, dinanzi alla quale pose l’altare; dietro la parete, che aprì in più punti, localizzò il matroneum, per le donne. Con il tempietto di Romolo, che sorgeva dinanzi all’aula, fece il vestibolo della chiesa, legandolo con questa e con la Via Sacra che gli passava davanti. Nella conca absidale fece una maestosa opera musiva, con Cristo nel mezzo e una processione di santi e di personalità che muovono verso di Lui, a destra e a sinistra: Cosma e Damiano, Pietro e Paolo, Teodoro e papa Felice, rinchiusi da due grandi palmizi. Sotto, un’altra processione di dodici agnelli che partono dalle città di Gerusalemme e di Betlemme e si muovono verso l’Agnello di Dio che sta su un colle nel centro, da cui zampillano i quattro fiumi del Paradiso. Nella sommità del quadro la Mano di Dio che tiene la corona della Vittoria sopra il Cristo. Fuori della conca absidale, si può ancora vedere l’abitazione apocalittica degli eletti.
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In Oriente, invece, con l’ascesa al trono di Giustiniano I (527), aumentò la persecuzione al paganesimo che si era rifugiato in una élite intellettuale nelle Università di Atene e di Alessandria, che nel neoplatonismo aveva scoperto una specie di teologia pagana, contraria alla Incarnazione, difesa dai cristiani; e nelle masse popolari e agricole delle regioni più impervie dell’Anatolia, della Siria e della Valle del Nilo.
Servendosi di Giovanni d’Asia, un monaco che, dopo il 521, aveva fondato un monastero in un tempio abbandonato nei dintorni di Tralles, spezzò idoli, distrusse templi, tagliò alberi sacri intorno a Smirne, a Efeso e nelle Montagne dell’Asia Minore, convertì migliaia di pagani, costruì un centinaio di chiese, fondò una dozzina di monasteri, sovvenzionati dall’imperatore.
Servendosi di Apa Mosè, subito dopo l’incoronazione, l’imperatore distrusse ad Abydos in Egitto, il tempio di Apollo, curato da 23 sacerdoti; ma non riuscì ad estirpare gli usi funebri antichi, né a chiudere l’Università di Alessandria, dove insegnavano sia pagani che eretici, fra cui il celebre Giovanni Philoponos, fondatore dell’eresia Triteista. Riuscì invece, nel 529, a chiudere l’Università di Atene, interdicendo l’insegnamento a pagani ed eretici.
Servendosi di Narsete, però, nel 535, occupò l’isola di File, imprigionò i preti di Iside, spedì la statua della dea a Costantinopoli, e trasformò il tempio in chiesa. Lo stesso fece con altri templi della Nubia.

In Occidente dopo il 573, un vescovo delle montagne d’Aubrac sostituì il culto verso il Genio delle acque con quello di S. Ilario. I contadini del luogo, ogni anno, andavano sulle rive di un lago e gettavano nelle acque vestiti, focacce, formaggi, ed altri oggetti e vi rimanevano per tre giorni bivaccando, finché nel quarto giorno non li scacciava una forte tempesta di grandine. Più volte il vescovo andò per convincerli che nel lago non c’era nulla di santo e religioso; ma quei rozzi contadini non lo credettero. Allora, ispirato dall’Alto, il vescovo si convinse di costruire sulla spiaggia una basilica in onore di S. Ilario, ponendovi le sue reliquie, e comandò a quei sempliciotti di ricorrere al Santo, offrendogli i loro doni.
“Così quegli uomini, compunti, si convertirono; abbandonarono il lago, e tutte quelle cose che prima erano soliti gettarvi dentro, portavano nella basilica e furono così liberati dall’errore con cui erano stati legati. Ma da quel tempo anche la tempesta fu tenuta lontana dal luogo e dopo che le reliquie del beato confessore furono collocate là, non fece più danno nella solennità diventata di Dio”

Risponde l’abate Mellito al monaco Agostino sulla trasformazione dei templi in chiese: “Ho molto riflettuto sul problema degli Inglesi: i templi degli idoli fra quella gente non devono essere distrutti; invece siano distrutti gli idoli che ci sono. Si farà dell’acqua benedetta, si aspergeranno con essa i templi, si costruiranno degli altari, vi si porranno reliquie; perché se i templi sono ben costruiti, è necessario commutarli dal culto dei demoni all’ossequio del vero Dio. Infatti quella gente, non vedendo distruggere i loro templi, deporranno l’errore dal profondo del cuore e riconoscendo e adorando il vero Dio accorreranno in quei luoghi ai quali si erano abituati più familiarmente”

.Anche nei rapporti dei banchetti Parentalia che i pagani consumavano sopra le tombe dei loro morti e che i convertiti mangiavano sulle tombe dei Martiri - uso che per secoli aveva diviso la gerarchia, dato che alcuni vescovi erano favorevoli altri contrari - Gregorio Magno annuncia ai neoconvertiti inglesi: “Essi solevano uccidere molti bovi come sacrificio dei demoni; è dunque necessario per mutare questo loro uso fare una qualche solennità, per esempio nel giorno della Dedicazione e nel giorno Natalizio dei Santi Martiri le cui reliquie si trovano, affinché essi possano fare intorno alle stesse chiese che sono state erette nei templi, dei tabernacoli con frasche di alberi e celebrare la solennità con religiosi convivi. Non immolano più animali al diavolo, ma li uccidono per loro nutrimento a lode di Dio e quindi ringraziano il Datore di ogni cosa, dopo essersi saziati. Così riservando a loro alcune gioie esterne possano essere più facilmente capaci di acconsentire alle gioie interiori”

Fatte queste concessioni alle infermità delle turbe dei gentili, Gregorio Magno né dà la ragione psicologica: “È certamente impossibile toglier via da menti indurite tutti i loro errori in un momento. Perché chi tenta di salire un’alta vetta non lo fa saltando, ma a gradi, passo dietro passo”

S. Gregorio Magno sulle dedicazioni di chiese appartenute a sette ereticali, che dall’anno 517 aveva avuto da alcuni risposte negative, da altri positive. Prese l’occasione della chiesa di Sant’Agata alla Subura, che era stata edificata dall’ariano Ricimero e che ai suoi tempi era chiusa. Egli stette per la riapertura e per la dedicazione al culto cattolico. Sa bene che “una volta fu piuttosto una spelonca dell’eretica pravità”, ma che ormai, “Deo propitiante”, è ritornata al culto della fede cattolica. Questo avvenne introducendovi le reliquie di S.Sebastiano e Sant’Agata martiri. E l’avvenimento fu comprovato da parecchi miracoli: la gente durante la cerimonia sentì uscire dalla chiesa un porco, che nessuno però poté vedere; nella notte sentì sul tetto un grande strepito e come se il luogo dovesse crollare dalle fondamenta: segno che “l’immondo abitatore stava uscendo”. Dopo alcuni giorni, in una giornata serenissima, alcuni che aprirono le porte, videro sopra l’altare una densa nuvola celeste e sentirono dalla chiesa uscire un odore soave; quando poi il sacerdote entrava per celebrare la Messa trovava le lampade accese, segno che ormai in quel luogo, che prima era tenebroso, era sceso Dio, che lo illuminava e lo riempiva del suo profumo divino.

SMEMBRAMENTO DEL COLOSSEO
Le costruzioni templari, non più soggette alla manutenzione, venivano saccheggiate di tutto il materiale riutilizzabile. Scamparono alla distruzione solo i pochi templi che vennero convertiti in chiese: il riutilizzo dell’intero monumento determinò in questi casi l’eccezionale conservazione delle strutture antiche. La cristianizzazione del Pantheon, del tempio di Portuno, di quello di Antonino e Faustina, pur causando delle variazioni sulle strutture per disporli al nuovo uso, li conservò considerevolmente. Differente è il caso delle chiese sorte sul luogo di un tempio ormai in rovina, di cui adoperarono solo parzialmente, in maniera molto incostante, le strutture:
- S.Nicola de’ Cesarini, edificata sui resti del tempio A, nell’area sacra di largo Argentina,
- S. Nicola in Carcere, che si insediò nientemeno in tre templi del Foro Olitorio, incorporando nei muri dei lati lunghi parte della peristasi del settentrionale e del meridionale e all’interno, invece, alcune costruzioni del mediano.
- Il Pantheon è pervenuto nelle migliori condizioni, grazie alla trasformazione in chiesa cristiana. Nel primo decennio del VII sec., è attestata la sua trasformazione con dedica alla Vergine e ai martiri, ad opera di Bonifacio IV, per concessione dell’imperatore Foca. La grandiosità delle dimensioni del Pantheon e l’armonia delle sue proporzioni architettoniche hanno suscitato sempre grande interesse, ma sulle sue origini non tutti gli studiosi sono concordi. La tesi più accreditata vorrebbe iniziare la storia del Pantheon con la ristrutturazione del quartiere avviata da Agrippa, genero di Augusto, tra il 27 e il 25 a.c., ampliato, poi, tra il 118 e il 125, per volere di Adriano al quale si deve l’iscrizione sull’architrave della facciata: M(ARCUS) AGRIPPA L(UCI) F(ILIUS) CO(N)S(UL) TERTIUM FECIT.
Il nome dell’imperatore non compare perché Adriano non fece scrivere il suo nome su alcuno dei numerosi monumenti da lui fatti edificare, escluso il tempio di Traiano. La facciata fu ruotata di 180 gradi e rivolta verso nord. L’attribuzione ad Adriano deriva dal ritrovamento di bolli laterizi nel restauro del 1882, e perchè fosse improbabile che già in epoca augustea si fosse in grado di realizzare una cupola di 43,30 m di diametro, la più grande mai realizzata in muratura. Anche oggi difficilmente saremmo in grado di realizzare, con i medesimi materiali e le stesse dimensioni, una simile calotta sferica perfettamente iscritta in un corpo cilindrico.
Il Pantheon combina la cella rotonda a cupola di tipo termale con il tradizionale pronao a timpano. L’altezza del tempio è uguale al diametro, secondo la norma data da Vitruvio per gli ambienti delle terme simili; la
volta è la più grande fra quelle dell’antichità.
Questa combinazione architettonica suscitò nel passato dubbi sulla sua costruzione unitaria: la presenza di un doppio timpano, sull’avancorpo di collegamento fra il pronao e l’anello interno, del tutto invisibile dal basso
– se non a grande distanza – e posto ad un’altezza differente rispetto al tetto del porticato, farebbe pensare ad un’aggiunta successiva del colonnato. Tesi che sarà accettata fino alla metà del '700, quand’ancora Piranesi considera il pronao come un’aggiunta di Agrippa. I più autorevoli studiosi sembrano, invece, concordi nell’attribuire il complesso ad un’unica mente.
La scelta del sito verte sul luogo della consecratio di Romolo e diviene a livello simbolico il punto di convergenza di un nuovo sistema religioso. Si viene a creare così il luogo di culto delle principali divinità olimpiche e di alcuni personaggi che, a seguito della consecratio, erano stati assunti tra gli dei. L’ipotesi viene rafforzata dalla presenza nelle vicinanze della tomba di Giulia, dove si può supporre la sepoltura anche di Giulio Cesare e del Mausoleo di Augusto.
Dopo il passaggio dal paganesimo al cristianesimo, il tempio restò abbandonato per quasi due secoli, finché nel 608 fu ceduto dall’imperatore d’Oriente Foca a Bonifacio IV, che nel 609, lo dedicò alla Madonna e a tutti i Martiri. Nel 735 Gregorio III fece ricoprire la cupola con lastre di piombo in luogo di quelle di bronzo asportate nel 655 dall’imperatore Costante II.
L’azione di trasformazione, voluta da papa Bonifacio IV e autorizzata dall’imperatore Foca, assunse un ruolo simbolico intorno alla quale si costruì la ricorrenza della festa liturgica di Tutti i Santi. L’episodio fu compreso come trionfo sui demoni scacciati dal tempio che assistono indifesi al trionfo dei santi, là dove un tempo si officiavano il culto in loro onore.

“In realtà – come dice la Ruggero – il riuso dei templi per le chiese fu evitato all’inizio, almeno fino a tutto il V secolo, probabilmente perché la comunità cristiana sentiva troppo il peso del culto precedente e degli dei pagani per sentirsi a suo agio in quel tipo di edifici, che riteneva abitati dallo spirito maligno. Solo quando il cristianesimo fu ormai saldo e lontano il ricordo della vecchia religione tanto avversa, si cominciò ad usare, per le chiese, i vecchi templi”

Tra il X e l'XI secolo il centro monumentale della Roma antica venne utilizzato prima come fortezza, poi come cava e una inimmaginabile moltitudine di statue e colonne vennero ridotte in calcina.



Antiche vigne romane
[...]Roma era diventata tutta una vigna. Caduta ogni civiltà, artigianato, commercio, importazione, arte e letteratura, non rimaneva che seppellire di terra ogni resto romano e piantarvi una vigna. D'altronde il vino era l'unico lenitivo rimasto al clima cupo e triste dell'epoca.

La nuova religione e i nuovi sacerdoti chiedevano penitenza, sottomissione e rinuncia. Soprattutto rinuncia: al sesso, alla buona tavola, al buon dormire, alla festa, tutto doveva essere triste e contrito, comprese le arti e le scienze, anch'esse figlie del diavolo. Per ottenere questo occorreva cancellare qualsiasi forma di desiderio, di allegria e divertimento. Per cui via gli anfiteatri, i teatri, le terme, le cene sontuose, le villeggiature, gli amori, i giochi. Tutto venne coperto da una plumbea coltre di colpa e di espiazione, e anche l'architettura divenne cupa.

Quindi, dopo la grande demolizione di tutto ciò che era romano e monumentale, dove si spaccarono le gambe alle statue, o gli si deturpava la faccia a martellate, dove si tirarono giù i frontoni lavorati e le colonne tirandoli con le funi, tutto venne coperto di terra e coltivato. Piano piano il ricordo di tanto splendore scomparve, i Romani non seppero più chi erano stati, seppero solo che erano dei grandi peccatori che dovevano placare un Dio offeso già dai loro progenitori.

Quando poi i patrizi compresero poi che il potere maggiore era nella chiesa, peccato o non peccato, fecero del tutto per accaparrarsi le cariche più alte: a cominciare dal papato, in considerazione che il Papa era il monarca assoluto e poteva togliere e dare terre come voleva, favorendo naturalmente la propria famiglia e i cardinali che lo sostenevano.
Naturalmente i cardinali si accordavano secondo le offerte e le alleanze, ma non bastava farsi eleggere papa, perchè se poi la fazione avversa si alleava meglio conquistando più potere, il papa eletto diventava Antipapa e potendo si eleggeva il papa nuovo.


Spaccare e calcinare
De Marchi ne discorre cosi: "Nel principio di papa Paulo III quelli che facevano calcina in Roma pigliavano tutti li torsi di marmore che potevano avere delle anticaglie, e ne facevano calcina, et per aventura alcuni ignoranti li havria poste una statua, perchè trovavano che faceva calcina miracolosa, massime il marmore orientale: questi pezzi di marmore erano trovati sotterra nel fare le cantine, e nelli cavamenti delle vigne, et altri luoghi che si fanno a posta per cavare pietre in Roma e fuori, ma Paolo III fece fare una provisione grandissima sopra delle anticaglie, massime sopra delle statue, etiamdio delli torsi . . . che non se ne ponesse in fornace sotto pena della vita; donde ne avvenne in poco tempo che cominciò a multiplicare le anticaglie in Roma, e cominciarono a montare in pretio". E più sotto: "Prima chi voleva portar via anticaglie senza difficoltà; li cavatori di pietra da far calcina pigliavano delli tursi di statue e de ogni altre antigaglie e ne facevano calcina, et io l'ho veduto con li miei occhj: e li ripresi e feci cavare fuori certi trusi della fornace a Roma appresso Ripetta (la calcara dell' Agosta), in su la ripa del Tevere. Hora papa Paulo pose bandi crudelissimi che nessuno dovesse disfare pietra antica ne portar fuori di Roma etc.."

Questi bandi di scomuniche non sortirono effetto: la distruzione dei capolavori della plastica greco-romana diminuì forse, ma non cessò: perchè la distruzione degli edifici continuò sino alla fine del cinquecento più violenta che mai.
La loro industria non ebbe a soffrire dalla provvisione paolina: tanto più che essa era divenuta un cespite di entrata per le tasse. Dal libro mastro di messer Antonio Amadio per la tassa del ponte di S. Maria (1548-1549) apparisce che i calcarari erano tassati a calcara, cioè secondo la quantità del materiale archeologico da loro distrutto: [...]

CALCINAZIONE
Così per tutta Roma fiorirono le calcinare, cantieri dove si spaccavano statue, bassorilievi, cornicioni, archi, lastre, colonne, capitelli, erme e cippi, naturalmente per conto della Chiesa che vi individuava diversi vantaggi:
* un rispamio di materiali, sia marmi che calce,
* una tassazione sui calcinatori privati,
* un'esportazione di calce,
* la distruzione di qualsiasi reminiscenza pagana.

Il termine "pagano" nacque in funzione denigratoria nei confronti di coloro che aderivano ancora alle religioni tradizionali, indicati come persone abitanti nei pagi (termine latino per i villaggi di campagna), più arretrati degli abitanti delle grandi città. Essere pagani era indice di arretratezza e ignoranza.
A Roma vennero individuate 26 calcare nel sec. XIX, ma ce ne sono ancora chissà quante, visto che sono state scoperte tutte per puro caso.

Sappiamo dalle fonti scritte, che già in età medio-repubblicana (IV-III sec. a.c.) l’erezione di statue in luoghi pubblici fosse ormai la norma. La famosa testa nota come “Bruto Capitolino” potrebbe avere fatto parte di uno di questi numerosissimi monumenti all'aperto. Le sculture in bronzo o in altri metalli sono rare nei ritrovamenti, perchè selvaggiamente fusi per fare cannoni o armi da guerra papaline e così le statue di marmo, calcinate per le stesse ragioni.
RISULTATO DELLA CALCINAZIONE
La calce veniva cotta sul posto, adoperandovi pezzi di marmi e di travertini presi dalle fabbriche rovinate, ma anche infiniti rottami di tante statue, che stavano ovunque, nelle vie, nelle piazze, sui palazzi, e nelle edicole, qualcuna rotta anche a bella posta.

Le antiche leggi punivano coloro che vendevano e coloro che compravano marmi di sepolcri per la calcara, ma non per il resto. Costante commutò la pena di capitale in pecuniaria, nella legge seconda diretta a Limenio a. 349. Ma solo se distruggevano sepolcri perchè i sarcofaghi andavano riciclati.

Le opere dei marmorarii di Roma e delle province si collegano alla storia degli scavi per tre motivi. In primo luogo essi "prescelsero per le fasce ed i meandri dell' opus tessellatum dei pavimenti, degli amboni e d' ogni altra marmorea decorazione, le pietre cemeteriali, e ne fecero lo sciupo e la strage che nelle romane basiliche tuttora vediamo. La varia sottigliezza di quelle lastre e la loro forma oblunga assai si prestavano all' uopo dell'opera predetta. Così alle romane catacombe in tanti modi spogliate e devastate toccò anche la sventura d'essere ai marmorarii romani quasi miniera di lastre"

E non si pensi che col volgere dei secoli la situazione sia mutata, semmai anzi peggiorò. Tutto ciò che era non ecclesiastico doveva essere distrutto, un po' come i Talebani distrussero anni fa le due gigantesche statue del Budda, che non era neppure una religione antagonista, ma era "altro" dalla loro fede. Così i talebani distrussero le radio, i giradischi, il ballo, la cura nel radersi, il sesso, tutto ciò che non era glorificare il loro Dio era peccato. Altrettanto fece il cristianesimo.

La strage non cessò nei tempi di mezzo, anzi divenne più feroce col risorgimento delle arti. Siamo nel XV sec., una delle più autorevoli testimonianze su questo fatto è quella del Chrysoloras, il maestro del Poggio, che stette nel suolo italico nei primi del '400: "le statue giacciono infrante oppure sono ridotte in calce o impiegate in funzione di pietre: per buona ventura ancora se ne adoperano in officio di predella per montare a cavallo, o di zoccoli di muraglie, o di mangiatoie nelle stalle" Già perchè era una fortuna se un pezzo di statua o un marmo lavorato veniva usato come supporto o come riempimento di un terreno, altrimenti finiva calcinato o frammentato.
RESTI DI UNA CALCINARA
Il Fea dice che i calciaiuoli e i fornitori di marmi si attaccavano specialmente ai sepolcri « per il comodo che si aveva nelle proprie vigne di rovinarli senz'essere scoperti »: ma le calcare clandestine dei tempi di mezzo e del risorgimento devono credersi piuttosto strana eccezione alla regola: i materiali si ricercavano, gli edificii si demolivano, i marmi si calcinavano alla piena luce del sole, sotto l' occhio indifferente delle autorità ecclesisiastiche, anzi col consenso di questa e con partecipazione degli utili.
Nel 1433 Ciriaco Pizzicolli d'Ancona, facendosi guida all'imp. Sigismondo per Roma, si duole con lui "della zotichezza dei Romani i quali, delle ruine e delle statue della città facevano calce". Cyriaci Itin. ed. Mehus., p. 21.
[...]

Ma naturalmente non vennero distrutti solo i marmi, nella I metà del 600, Papa Barberini ordina al Bernini di spogliare di tutti i suoi bronzi il portico del Panteon, onde costruire il baldacchino in S Pietro; questo nonostante il Pantheon sia già stato trasformato in chiesa cristiana, ma il Panthein conserva sempre la sua impronta pagana e ai Papi non piace. "Quod non fecerunt barbares fecero Barberini", fu il commento dei romani.
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Roma da città che strabiliava i visitatori, ricolma di marmi colorati, bronzi, mosaici, porticati, fontane, palazzi sontuosi e giardini, divenne come una terra devastata da un enorme ciclone o da una bomba atomica, al punto che tanti illustri personaggi ebbero dei malori nel vedere i resti di quel mondo distrutto. Ancora nel '900 Sigmund Freud, giunto in Italia venne sopraffatto dalle emozioni di tanta bellezza devastata, si che non ebbe la forza di entrare a Roma, per non doverne piangere troppo la bellezza perduta.

Quando i patrizi romani posero le mani sul nuovo potere ebbero nostalgia dell'arte e della bellezza, volevano palazzi simili a regge, e allora si accorsero che occorrevano tutti quei marmi che avevano seppellito. Dissotterrando le vigne e altro vennero alla luce i resti dei magnifici ornamenti e delle bellissime statue, il che stupì e colpì i nuovi artisti che su quest'arte ritrovata fondarono il Rinascimento.

1433 Ciriaco Pizzicolli d'Ancona, facendosi guida all'imp. Sigismondo per Roma, si duole con lui della zotichezza dei Romani i quali, delle ruine e delle statue della città facevano calce. Cyriaci Itin. ed. Mehus., p. 21.
1443 « Molti edifitii di palazzi trionfali, di ressidentie, di sepulture. di tempj et altri ornamenti ci sono (in Roma), et copia infinita, ma tutti rovinati, porfidi et marmi assai, e quali marmi tutto giorno per calcina si disfanno » [Alberto Averardo de Albertis ap.]. Nel corso di questi lavori sarebbero stati ritrovati « la conca di porfido e uno dei due leoni di basalte (trasportati da Sisto V alla sua fonte Felice alle Terme, e da Gregorio XVI al museo egizio vaticano) e anche un pezzo di ruota di carro ».
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