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Personaggi: Tuscia Sabina "Infausta"


Luogo di nascita: Toscana, vicino Aretium
Classe: divinatrix / medico
Età: 22 anni
Capelli: castano scuro, lunghi e riccioluti
Occhi: castani
Descrizione: pelle chiara, non troppo alta, magra e fragile, come se si dovesse spezzare da un momento all'altro. Ha sempre l'aria di chi non fa un buon pasto da qualche settimana. Per contro, mangia come un Mastino. La sua squadra pensa che sia dovuto al dispendio di energie divinatorie.
Carattere: ostinato, non sopporta le bugie e le dicerie, è tremendamente suscettibile quando si accenna al suo soprannome. Tende a lanciare maledizioni - di carattere puramente verbale, non magico - se qualcuno gli fa uno sgarbo. Il fatto che qualcuna di esse poi si avveri è del tutto casuale.

E' tenacemente fedele all'Impero e agli ideali della Specula. Tende a seguire la squadra e gli ordini del comandante. Interpreta le visioni in maniera corretta grazie al suo addestramento, ma le condivide sempre con gli altri per avere un'altra opinione prima di muoversi. E' un po' sfrontata ma tutto sommato paziente e di buon carattere, sopratutto con malati e feriti che trovano in lei un buon medico, affidabile, tenace e rassicurante.

La tiraossi.
Sono nata in un piccolo villaggio sopra Aretium, nella Tuscia, quattro case accanto ad una strada, noto soltanto a chi doveva passare per il passo montano soprastante... e, ovviamente, agli esattori delle tasse.
Della mia famiglia conosco solo mia madre. O almeno, penso. Tra le altre cose che le donne del villaggio dicevano di lei, c'era che era stata con almeno metà dei loro uomini e con tutte le creature della foresta e che mi aveva rapita da qualche parte. Mah. Non so proprio da dove potesse essere nata quell'idea: abbiamo gli stessi zigomi, gli stessi occhi, gli stessi capelli e la stessa capacità di accogliere le persone quando avevano bisogno di lei e, ad un certo punto, di noi. Per quanto mi sarebbe piaciuto mandarle nella fossa più profonda dell'Averno, mia madre diceva che tutti prima o poi avevano bisogno di noi. E aveva ragione. Per il raggio di due giorni con un buon cavallo non c'era una guaritrice migliore di lei, dalle ossa rotte alla dissenteria, passando per il colera e le pulci. La maggior parte di coloro che se ne andavano dalla nostra casa tornavano qualche tempo dopo guariti, con cibo e altre merci utili e a volte persino denaro.
Lei diceva che si trattava solo della conoscenza delle erbe e dell'esperienza di sua madre, di sua madre prima di lei e così via fino alla notte dei tempi, quando su quelle terre dominavano i Sabini (da cui era convinta discendessimo).
Un'infanzia e un'adolescenza del genere mi avevano reso enormemente responsabile - saper sistemare un osso rotto a sette anni non è da tutti - e abbastanza incosciente da inimicarmi mezzo villaggio. A differenza di mia madre, non sopportavo che ci guardassero dall'alto in basso quando conoscevo l'esatta posizione delle loro emorroidi.
Il problema è che per l'alto tasso di successo di mia madre lei era ritenuta in grado di contrattare con le Parche. E sembrava che anch'io avessi questa fama, ma non in senso positivo...

Frasi celebri
- "Se menti alle spalle, potresti essere costretto a sputare la verità. Insieme ai tuoi denti."
- "A otto anni potevo renderti invalido in cinque modi diversi. Pensa adesso." 

Le Parche si divertono.
Come ho già detto, il nostro villaggio lo conoscevano praticamente solo gli esattori delle tasse, anche se a quanto dicevano gli anziani sotto gli altri imperatori si stava molto peggio. Però una di quelle volte, quando avevo circa dieci anni, si erano dimostrati molto più incattiviti del solito e sembrava che volessero tornarsene in città lasciandoci senza cibo.
Non so cosa volessi fare esattamente...ero solo una bambina arrabbiata.
Fatto sta che quando il capovillaggio è tornato indietro più tardi del previsto dopo averli guidati fino al villaggio più vicino, ha raccontato che i loro cavalli erano improvvisamente crollati al suolo, morti, e che gli esattori avevano dovuto fare tutta la strada a piedi esattamente come lui...tutti si fecero quattro risate, ma mia madre mi fissò tra la folla. Mi aveva visto mentre, con la scusa di dare da mangiare ai cavalli, avevo preso loro lunghi capelli dalla criniera e dalla coda. Tornate a casa, le quattro figurine di fango a forma di cavallo che giacevano a terra in frantumi confermarono i suoi sospetti.
Ricordo la sua espressione, tesa come non l'avevo mai vista.
"Quest'arte è un dono e una maledizione assieme, e appartiene agli dei. Ma ricordati sempre che riceverai sempre tanto male quanto ne farai."
Trasse da un sacchetto di pelle degli ossicini sagomati. Sorti, le chiamava. Leggendo la loro posizione quando cadevano si poteva vedere nelle vite delle persone, passato, presente e futuro. Purtroppo era un potere tremendo che causava paura nelle persone, qualunque fosse la risposta.
Mi chiese di giurarle che non avrei mai usato quel potere senza il suo consenso. Aveva così tanta paura nello sguardo che promisi.

Mi ricordai di quel sacchetto solo qualche anno dopo. Era il momento in cui ragazzi e ragazze cominciavano a guardarsi. O meglio, non guardavano me, per la fama che avevo, ma ero decisa a conquistare il cuore di uno di loro, anche se il mio corpo assomigliava più ad un'asse di legno che alle curve da anfora che avevano le altre. Flavius. Era il figlio di un tagliapietra e per me era il ragazzo più bello dell'Impero.
Riuscii a convincerlo ad entrare in casa mentre mia madre non c'era e gli dissi che potevo vedere nel suo futuro. Mentre lui entusiasta si vedeva già centurione e sognava di combattere i barbari ai confini, io lanciavo in aria le Sorti e...lui era davanti a me, morto, disteso a terra, gambe e braccia spezzate in modo strano come se fosse caduto da una grande altezza.
Urlai, gli ordinai di andarsene, mi chiusi in casa decisa a non dirgli niente. Se fossi riuscita a stare zitta, lui sarebbe sopravvissuto.
Tornò con quattro dei suoi amici e mi picchiarono a sangue finchè non confessai. Alla sera mia madre tornò, mi curò, e disse che lui e altri due ragazzi erano scappati. Tornarono solo loro due, dopo che Flavius aveva messo un piede in fallo ed era precipitato in un dirupo.
Le voci corsero come il fuoco nei campi e una folla inferocita si presentò alla nostra porta. Ma noi eravamo già scappate.

Non sapevo dove mi stesse portando mia madre, ma dopo qualche giorno di cammino capii che ci stavamo per separare. Da una parte avevo troppa paura di farle del male. Dall'altra lei non mi poteva dare l'aiuto di cui avevo bisogno. Così mi portò a Tivoli, all'antico santuario della Sibilla.
Dopo una chiacchierata con le Sacerdotesse venni accettata come novizia nel santuario.
Mia madre rimase nel villaggio vicino, molto impegnata nello stesso lavoro che aveva sempre fatto, ma potevo vederla solo quando mi fosse stato concesso di uscire...e per le novizie, di momenti del genere non ce n'erano molti.


Vedo, prevedo, stravedo...guai!
L'addestramento di una Sibilla. Lo ami e lo odi in pari misura.
Da una parte avevo questo dono che si sviluppava ogni giorno di più: imparavo a divinare con una facilità impressionante, finendo per apprendere come vedere nell'acqua, nelle nuvole, nelle viscere dei sacrifici, nel fuoco, fino ad arrivare alla trance estatica, la più pericolosa e potente di tutte.
Dall'altra parte avevo una paura fottuta che si ripetesse quello che era successo con Flavius, perchè quasi tutte le visioni che avevo finivano male. Le mie maestre dicevano che era normale, ma io ero terrorizzata. Le mie compagne, invidiose per l'alto livello delle mie capacità, mi soprannominarono Infausta...un agnomen che mi perseguita ancora oggi.
Poi, abituata com'ero a una vita libera e decisamente selvaggia, la disciplina del tempio mi soffocava e più di una volta sono scappata per andare a trovare mia madre...a volte aiutandola con le nuove capacità che andavo affinando.
Ricordo con precisione, e inquietudine, il giorno in cui conobbi la Specula.
Alcuni di loro vennero al tempio per avere dei presagi, e dato che la Sibilla era ammalata, scelsero me per sostituirla. Vidi una bassa torre di pietra, dall'aspetto antico, su cui cresceva un albero. Due dei rami caddero a terra sotto i miei occhi, poi gli altri rami li seguirono l'uno dopo l'altro.

Seppi solo anni dopo che si trattava della X Italica.

Separate com'eravamo dal mondo, non sapevamo molto delle lotte che sconvolgevano l'Impero. Notammo molto più traffico tra la corte di Diocleziano e la Sibilla, ma c'erano anche altre figure che chiedevano insistentemente udienza. Erano Riformisti che volevano convincere la Sibilla ad appoggiarli, convinti del fatto che la conoscenza del futuro avrebbe dato loro le chiavi dell'Impero. Poveri idioti.
Non riuscendo a convincere la Sibilla, decisero di portarsi via la più promettente delle sue allieve.
Entrarono nel nostro dormitorio, uccidendo le nostre guardiane e portandomi via legata e imbavagliata. Stavano quasi per farcela quando comparve la Sibilla, urlando per chiamare le guardie.
La uccisero sotto ai miei occhi, e caddi accanto al suo cadavere, mentre una figura sconosciuta combatteva contro i Riformisti per salvarmi la vita, scomparendo poi senza lasciare traccia.
Il tentato rapimento, ovviamente, passò in secondo piano rispetto alla morte della Sibilla...morte di cui mi venne addossata, chissà come, tutta la colpa. L'aveva uccisa qualcun altro, ma era per salvare me.
Fu necessario del tempo per scegliere una nuova Sibilla tra le sacerdotesse anziane, e venne eletta una mia vecchia nemica, che con voce melliflua mi "chiese" se volevo entrare a far parte della Specula come Divinatrix. Come se non lo sapesse, che avevo visto morire una delle loro coorti sotto ai miei occhi.

Fu dura dire addio a mia madre, ma ormai la mia strada era fuori da quel tempio. Anzi, fuori da tutto ciò che avevo conosciuto.

Frasi celebri:
- "Qualcuno ha la faccia tosta di chiamarlo dono? E' una maledizione, cazzo!"
- "Non basta conoscere il proprio destino per cambiarlo. Edipo docet!

Se al momento di cominciare l'addestramento della Specula avevo vagamente pensato che il mio alto livello di preparazione mi rendesse superiore agli altri, beh, questa idea me la dovetti togliere subito dalla testa. Io e i miei compagni venimmo sì addestrati alla divinazione in tutte le tecniche che conoscevo, ma sopratutto ad utilizzarle in qualsiasi momento. E intendo proprio qualsiasi. Tipo in sella a un cavallo in corsa. O dopo tre giorni di marcia forzata con l'equipaggiamento pesante in spalla, quando sei così stanco da non riuscire a vederti le dita dei piedi, figuriamoci gli eventi dell'indomani! O in mezzo a una battaglia simulata - ma non troppo - delle reclute di primo pelo. Ecco. Se al tempio della Sibilla eravamo addestrate in ambienti tranquilli, silenziosi, e godevamo di riposo e concentrazione prima e dopo, qui nella Specula non c'era niente di tutto questo. Per conoscere i nostri limiti, secondo i nostri maestri, e sopratutto per sapere quando e come superarli.
Tutto questo ebbe delle conseguenze pesanti. Due dei miei compagni di corso impazzirono, uno fuggì per non tornare. E la sentimmo definire "annata buona!"
Nei rari momenti di riposo che ci erano concessi, spesso sgattaiolavo in un castra vicino, travestita da schiavo, per intrufolarmi a dare una mano nell'infermeria. Venni scoperta dal Magister Divinatorum, a cui i cerusici avevano parlato dell'improvviso miglioramento dei loro pazienti ad opera di uno sconosciuto.

Ricordo solo l'espressione del Magister mentre mi guardava...come se avesse comprato una gallina per due monete di rame e avesse scoperto che faceva le uova d'oro. Devo ammettere però che mi sentii decisamente lusingata quando mi propose di partecipare anche al Magisterium per diventare Sapiente Medico. Finalmente mi sentivo dedicata a qualcosa, era quella la vita reale, non chiusa tra quattro mura.

Frasi celebri
- "Io non faccio visioni sfortunate, sei tu che sei sfigato!"
- "No, quando muori lo decido io!"

Lezioni di legnate
L'addestramento rivelò quella che era la mia pecca peggiore: la mia assoluta ignoranza sull'uso delle armi. Nonostante l'addestramento dei divinatores non fosse specializzato nel combattimento come quello dei Mastini, ci si aspettava che sopravvivessimo in battaglia. Una fragile ragazzina come la sottoscritta, figuriamoci!
Fu allora che uno dei Magistri propose di farmi addestrare privatamente. Da un centurione il cui nome veniva sussurrato con terrore puro dalle reclute che mandava regolarmente in infermeria: Caio Cornelio Scipione Renano.
Mi ero fatta un'idea dei suoi metodi mentre steccavo gambe fratturate e fasciavo teste rotte. Evidentemente i Magistri gli avevano detto che per loro ero una cavalla di razza, perciò non usò esattamente gli stessi metodi. Ci addestravamo almeno un'ora al giorno, a meno che non ci fossero emergenze in infermeria. Mi aveva garantito che non avrebbe fatto sconti speciali perchè ero una femmina, e mantenne quella promessa. Dei beati, che male! Avevo gambe, braccia e costole piene di macchie violacee, che non facevano in tempo a diventare verdi che venivano subito sostituite da altre. Pian piano cominciai a tenere un gladio in mano senza farlo cadere alla prima parata, a scaraventarlo a terra se fingeva di aggredirmi, a colpire nei punti giusti facendo più danno possibile. Questi ultimi insegnamenti furono corredati dalla mia ampia conoscenza del corpo umano, ed ebbi la soddisfazione di insegnargli anch'io qualcosa. Anche se ci teneva a mantenere la sua fama di duro a tutti i costi, quando mi trascinava in popina stanca e affamatissima mi trattava come una nipotina capricciosa...per poi stordirmi le orecchie a suon di racconti su quando era sul limes a nord.

Frasi celebri:
- "E voi vi divertite così? Poi tocca a me ricucirvi!"
- "Cornelio, questa me l'hai già raccontata...qualche decina di volte..."

A Tarsos
Puoi addestrarti finchè vuoi, ma quando ti trovi in una situazione come quella che ho affrontato dopo la grande esplosione a Tarsos ti rendi conto che al peggio non c'è mai limite.
Stavamo fuggendo dalle grotte, io ero già fuori quando è sembrato che le porte dell'Averno si aprissero. Un rombo come di tuono, forte da farti sanguinare le orecchie, poi venimmo scaraventati a terra da una folata di vento potente. Fui la prima a rialzarsi, ma il resto della squadra era in condizioni terribili. Heim aveva una grossa scheggia di pietra piantata nel fianco, la testa di Cornelio era coperta di sangue e lui non si muoveva, T'Challa era semisepolto dai detriti mentre di Tamer nessuna traccia.
Mentre stavo cercando di calmarmi arrivarono di gran carriera legionari, ufficiali e comuni cittadini. Raccolsi quel po' di lucidità che mi era rimasta e cominciai a dare ordini più o meno copiando lo stile del nostro centurione. In breve avevo letteralmente preso possesso dell'ospedale del castra, mettendo i medici della legione ai miei ordini sbandierando il mio grado di speculatrix misto a quel tipo di rabbia tutta femminile che gli uomini temono.
Qualche ora dopo, verso l'alba, l'ospedale era strapieno e giravo per le brande come una delle Furie. Avevo passato l'intera notte a bendare, ricucire, estrarre, lavare, disinfettare e chiudere occhi per l'ultimo sonno, e ancora i feriti continuavano ad arrivare. Nonostante i miei compagni fossero stati i primi ad essere curati non mi davo pace, finivo sempre per tornare ai loro giacigli.
La stanchezza cominciò a esigere il suo tributo, mi sembrava di avere un piede in questo mondo e uno nell'altro...si dice che per i divinatores sia una cosa normale, ma non avevo mai visto gli spiriti dei morti chiaramente, come forme di fumo coperte di sangue, se non all'interno delle mie visioni. Ed erano lì, di fronte a me, tra le brande...
All'improvviso una mano si appoggiò pesantemente sulla mia spalla, costringendomi a sedere su uno sgabello, e cacciandomi in mano una coppa ricolma. Alzai gli occhi e vidi Heim, barcollante ma vivo, ricoperto di bende dalle costole alla cintura.
"Bevi, soror...e cerca di riposarti un attimo. Se finisci a terra questi ricominciano con le sanguisughe..."
Per una volta gli risparmiai la ramanzina sul fatto che avrebbe dovuto trovarsi buono e tranquillo a letto. Mi aveva portato acqua con miele e qualche cucchiaio di vino: doveva aver visto quando Tamer la preparava per me dopo le divinazioni. Miele, per dare forza, e vino, non troppo da far ubriacare ma abbastanza per togliere i fantasmi dalla mente. Il comandante passò un rapido sguardo sulla sala e sembrò sconvolto.
"Tuscia, hai mai visto una cosa del genere?"
"Mai...di solito le Parche usano le forbici...oggi invece hanno usato le falci."

Frasi celebri:
- "Un piede da una parte e uno dall'altra...e non sai mai qual'è quella giusta!"
- "Non ci vuole niente ad andare nell'Averno. Il problema è tornare."

1 commento:

  1. Che vita avventurosa! Ma non capisco perchè hai creato una scheda biografica del personaggio invece che scrivere direttamente un racconto. Quindi ci avevo preso sul futuro di Tuscia che sarebbe stato ricco di sorprese. Ma la Sibilla non aveva previsto la sua morte?O se non poteva non poteva capirlo dalle divinazioni di qualche sua collaboratrice?

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