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La storia Azia Rubinia Antinea (parte IV)

"Avevi ragione... il suicidio è più facile, Simplicio, se non opponi resistenza."
L'uomo sbarrò gli occhi, guardando la sua splendida spada rossa affondata nel ventre. Dolorosamente in fondo
"Tu... maledetta." riuscì a biascicare, prima di crollare sul tappeto della camera.
Medea uscì silenziosa, dopo aver ripulito con uno straccetto la lama e averla riposta, non senza fatica - non era avezza alle armi - nel suo fodero. Lucilla, dalla porta, fissava a occhi sgranati la scena. Nonostante avesse un debito di riconoscenza nei confronti del domine, in quei mesi in quella domus aveva dovuto ricredersi. Le voci che si sentivano in giro per Nicea erano tutte vere: dedito a ogni tipo di eccessi, il domine era un uomo violento che traeva il suo piacere nel sottomettere i più deboli, eccitandosi nel picchiarli.
"Domina, è tutto pronto."
"Bene. Dì a Cletus di procedere."
"Sì, padrona."
"Lucilla."
"Sì, padrona?"
"Nello studium del mio non compianto marito ci sono i soldi. Prenditi la tua parte e domani mattina recati all'ufficio del registro. Appena la storia si sgonfierà, andrò a controfirmare le carte."
Lucilla strabuzzò gli occhi. "Davvero? Ma..."
"Io pago sempre i miei debiti, Lucilla."

Com'era consuetudine, la morte di una figura importante - specie se di morte violenta - veniva declamata a tutta la cittadinanza fin negli angoli più remoti dell'Impero.
E la morte di Simplicio Ulpio Deiano, governatore di Bithinia-et-Ponto, non aveva fatto differenza. Lo scalpore maggiore era stato dato dall'accusa principale: la gracile moglie Medea Rubinia Antinea era stata la principale indiziata delle indagini.
Medea era rimasta impassibile per tutta la durata del processo che, a differenza di molti altri casi, era stato dibattuto per giorni. L'onta dell'accusa di omicidio le era scivolata addosso come pioggia primaverile, sottile, ma le aveva impregnato l'anima. Aveva ucciso. Senso di colpa? Senso di trionfo? Nulla. Era stato una questione di sopravvivenza: mors tua, vita mea.
Simplicio aveva scoperto della pozione per non avere figli e, dal momento che vi erano in casa i diplomatici parti in visita, non aveva potuto dare sfogo alla sua rabbia come di consueto. Ma le parole che le aveva sibilato all'orecchio erano state chiare: "Pagherai il fio per tutto, donna. Sono stanco di avere una moglie infida, sterile, bugiarda e disubbidiente come te. Mi sbarazzerò di questo problema una volta per tutte."
Indubbio che l'avrebbe uccisa. Guardandosi allo specchio, nella portantina che la riportava a casa, si concesse il lusso di sorridere biecamente alla sua orribile immagine riflessa. Il naso era rotto, l'occhio pesto, il labbro spaccato. Quel manigoldo di strada aveva avuto la mano pesante. Anche il resto del suo corpo ancora accusava i colpi: le aveva spezzato un braccio, dopo averla violentata nel suo letto. Era servito allo scopo, nonostante il trauma. Non era stata la prima volta che veniva violentata, ma di certo era l'ultima: mai più nessun uomo avrebbe avuto un qualsiasi potere su di lei. Comunque, era stata una piacevole vendetta osservare i leoni sbranare quella pedina, il colpevole dell'omicidio di suo marito.
Le rimaneva solo una cosa da fare, prima di tornare a casa di suo padre, in Illyria: trovare Krizia.



Lucio Rubinus Antineo guardò critico la rossa minuta davanti a lui. Era entrata come una postulante qualunque, mentre riceveva i suoi clientes alla villa in Illyria. L'aveva riconosciuta subito: gli sembrava di vedere sua sorella a vent'anni. Azia. L'emozione gli chiuse la gola, sicchè l'uomo rimanse a fissare la giovane donna silenzioso, crucciandosi solo che Medea non fosse stata altrettanto forte. Si era piegato alla volontà di Diocleziano e l'aveva data in sposa a Deiano, ma dopo tre anni di silenzio, interrotto solo da una lettera in cui lei lo disconosceva come padre per quel matrimonio, non aveva più ricevuto notizie. Forse quello era il suo unico rimpianto.
Aveva parlato con il suo vecchio amico Diocle in proposito, ma anche l'imperator aveva le mani legate: non poteva imporre il divorzio al governatore in carica di Bithinia-et-Ponto, non finchè non vi fosse stata una richiesta formale da parte di uno dei due coniugi. Inspiegabilmente, nonostante lo avesse scritto a sua figlia, Medea non aveva mai fatto richiesta di divorzio.
Azia non sapeva che pesci pigliare, di fronte al cipiglio del padre, complice anche l'enorme emozione che stava provando: conosceva il nome del padre, ma non lo aveva mai conosciuto prima, nemmeno mai incontrato in vent'anni di vita. "Ti... disturbo, domine?"
"Sei qui da sola?"
Aveva replicato alla domanda con una domanda. Azia scosse la testa. "Sono qui con me anche i miei compagni della Coorte VI."
Lucio rimase piacevolmente stupito. "Sono contento che sei arrivata dove volevi."
"Merito anche del tuo nome, domine. Ti ringrazio."
"Di cosa?"
"Di avermelo concesso."
Lucio trattenne il fiato. "Sei mia figlia, Azia, non potevo non concedertelo. Sei in licenza, dunque?"
La giovane donna annuì, ancora restia a sorridere, ancora incerta sulle reazioni - al momento assenti - del padre. "Di ritorno dall'ultima missione in Thracia, il Praefectus Urbis Giulio Asclepiodopo ci ha concesso licenza fino al rientro a Roma, tra un mese. Ho... sperato che... potesse farti piacere sapere... che... io..."
Lucio si alzò di scatto, per stemperare in qualche modo il senso di disagio che provava. "Mi fa piacere che sei qui. Fai entrare la tua squadra, potete rimanere qui qualche tempo."
"Grazie, domine."
Lucio si era diretto verso il peristilium e si bloccò nel non sentire le caligae battere sul marmo per seguirlo. Girando la testa guardò la figlia. "Manderò uno schiavo a chiamarli. Tu puoi rimanere con me, se lo desideri."
Azia avvampò, dondolando da un piede all'altro.
"Cos'altro c'è, ragazza?"
Azia sollevò due occhi brillanti come stelle, carichi di commozione. "Posso abbracciarti, pater?"
Lucio Rubinus Antineo fece quello che non aveva mai fatto con Medea: aprì le braccia.
Azia gli si fiondò contro con una risata felice.




Continua....

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