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UNA VITA, MILLE VITE: La nascita della Specula

I cinque amici di vecchia data si riunirono in una soffitta impolverata di un’insula della Suburra. L’odore di muffa, accentuato dalla pioggia battente, penetrava le narici.
“Che serata infame.”
“Puoi ben dirlo, Omar.”
“Arianna, hai portato qualcosa di forte?”
“Distillato di vite, Dinocrate. La roba più forte che puoi trovare nei bassifondi di Roma.”
“Sei sempre la solita. A me non ci pensa mai nessuno, vero? Avevo chiesto dell’idromele!”
“Cassandra, se non ti comoda, puoi scendere ed andare a prendertelo alla taverna all’angolo!”
“Arianna…”
Un uomo entrò scrollando il mantello cerato ed appendendolo ad un’asse sporgente. “Ho portato io l’idromele per Cassandra e la birra per me. Lo so che vi dimenticate sempre di noi due.”
I quattro all’interno della soffitta, ben illuminata da almeno una decina di lucerne ad olio sparse dove capitava sopra a casse, sacchi e rottami di mobilio ormai inservibile, si girarono di scatto verso l’accesso. Non si erano accorti del suo arrivo. Elios Tigrane li studiò ad uno ad uno con i suoi profondi occhi verde mare e sorrise. Riusciva ancora a muoversi abbastanza silenziosamente da non farsi sentire nemmeno da loro.
“Elios!!” Cassandra gli corse incontro, gettandogli le braccia al collo, Arianna ridacchiò scuotendo la testa, Dinocrate rimase impassibile studiando la reazione dell’armeno che aveva ricambiato affettuosamente l’abbraccio. Soprattutto, rimase turbato dall’assenza totale di reazione da parte di Omar che continuava a guardare il vino speziato nella sua coppa. “Se fosse caldo sarebbe più buono.”
Una lingua di fuoco lo raggiunse, avvolgendo la base della coppa. “Contento?”
La voce ironica di Elios infastidì l’uomo che scansò la coppa dalla fiamma, che si ritrasse verso la lucerna da cui era scaturita, e bevve d’un sorso il resto del vino. Dannato uomo, era decisamente meglio.
Omar, che hai contro di me?
I due rimasero indifferenti, apparentemente presi dai discorsi sconclusionati sulle bevande ancora in corso tra Dinocrate e le due donne, discussione che vedeva nettamente in inferiorità la loro guida che, alla fine, si rassegnò alla sconfitta. Contro due donne era impossibile aver vittoria.
Nulla. Rispose l’altro, con una certa freddezza di pensiero.
Ne sei sicuro, amico mio?
Ma siamo davvero amici, Elios delle Tigri?
L’armeno, o per tale si tacciava, guardò pensoso Omar. Fino alla morte.
Omar sorrise sarcastico. Mia o tua?
Idiota.
Il sorriso dell’altro si ampliò, trasformandone il viso affilato rendendolo assai piacevole sotto alla zazzera di capelli biondo rossicci tutta scompigliata. Vestiva come un qualunque cittadino romano. Mi sa che hai ragione.
Passi pesanti sulle scale di legno marcito rimbombarono, gelando le risate e le battute dei cinque amici, interrompendo lo scambio mentale dei due uomini, di cui nemmeno i compagni, forti dello stesso potere, si erano accorti.
Cigolando, la porta di assi sconnesse si aprì una sesta volta ed un uomo altero fece il suo ingresso nella bassa soffitta, scansando bruscamente uno spiraglio del tetto dal quale irrompeva l’acqua del diluvio che gli dèi avevano scatenato sulla città eterna.
“Bene, signori. Sono qui, come da vostra richiesta. E sono solo. Se è una trappola…” L’uomo calò il cappuccio, mostrando finalmente il volto squadrato, il naso deciso, la barba corta e curata. “… avrete pane per i vostri denti.” Concluse scostando un lembo del mantello, la mano sull’impugnatura del gladio.
Elios scosse la testa. “Anche se facevi un ingresso meno teatrale…”
L’uomo rise, chiudendosi la porta alle spalle con un calcio. “Ebbene, amici miei, volete dirmi perché ci stiamo ritrovando qui e non in una comoda e calda sala del palazzo imperiale, comodamente stesi su triclini imbottiti e allietati da splendide siryane danzanti?”
La congrega rimase zitta per un secondo di troppo, troppo stupiti di quel lato umoristico del loro ospite. Poi, vedendolo prendere un sacco e sedercisisi sopra, risero della battuta.
Offrendo una coppa con del distillato di vite al nuovo venuto, Dinocrate gli si pose di fronte. “Imperator, hai uno strano senso della segretezza.”
Gli altri quattro si disposero a cerchio tra i due, chi da un lato chi dall’altro, ancora ridendo, poi la gravitas del momento squarciò il rilassato cameratismo di poco prima.
Diocle, il grande generale della battaglia di Viminacium di sei mesi prima, assiso al titolo di imperator con il nome di Diocleziano, fissò ad uno ad uno i cinque intorno a lui. “So che non siete esseri comuni. L’ho in qualche modo visto e, per dirla francamente, vorrei evitare di vedere ancora scene del genere.”
Dinocrate si irrigidì, guardando torvo Elios e Cassandra che, fianco a fianco, gli sorrisero di rimando trasudando falsa innocenza.
“Sia chiaro, ho accettato il vostro appoggio e il vostro aiuto e ve ne sono grato. Ma non è finita qui. Ci sono un sacco di problemi a Roma, per non parlare dell’Impero. Per questo vi ho chiesto questo incontro. Per questo vi chiedo di giurarmi fedeltà, qui, ora, guardandomi negli occhi.”
I cinque, solennemente, giurarono uno ad uno, fissando negli occhi il grande generale, ora imperatore, e trovandovi una luce profonda e carica di determinazione, capace di incutere soggezione anche a loro. Solo Dinocrate non arretrò istintivamente, ma solo perché fu l’ultimo a giurare ed ebbe modo di capire cosa aveva avuto il potere di intimidire persino una guerriera votata alla morte come Arianna.
Diocleziano annuì, intuendo che quest’ultimo consigliere non era arretrato per pura forza di volontà. Faceva comunque piacere sapere di essere ancora in grado di mettere in soggezione chiunque con solo uno sguardo carico di tutta la sua auctoritas.
“Ebbene, Imperator, a quale scopo ci hai convocato?”
“Voglio che, mentre io sarò impegnato a difendere Roma dagli sciacalli che la stanno divorando mentre ancora è viva, voi mi aiutiate a tenere in piedi l’impero nel migliore dei modi. Vi sono i Vandali e altri popoli barbari che attentano ai nostri confini, gli oppositori interni che complottano per rovesciare ancora il potere e riportare Roma allo sbando, per non parlare di quei maledetti cristiani che continuano a fomentare il dissenso verso i nostri dèi e verso la mia persona, io che devo rappresentare l’unità del nostro mondo! Vi chiedo di aiutarmi a costruire l’ultimo baluardo che difenderà l’Impero dalle minacce sia interne che esterne. Dovrà raccogliere il meglio del meglio di tutto ciò che nelle legioni, tra i pretoriani, gladiatori, medici, ingegneri, sacerdoti, divinatori, il nostro grande paese può offrire, per meglio difenderlo dal suo più grande nemico.”
Arianna, con il suo solito modo di fare spiccio, andò direttamente al nocciolo della questione: “Vuoi creare una nuova armata militare?”
“Più o meno. Saranno militari, perché questo garantirà loro una certa autonomia, ma non saranno solo armati. Vi saranno anche divinatori, diplomatici e studiosi. Saranno meglio pagati, ma avranno incarichi più pericolosi. Saranno subordinati ai gradi militari, ma faranno riferimento solo ad un organo preposto appositamente, al Praefectus Urbis di Roma e a me.”
“Perché tutto questo, imperator?”
L’uomo fissò la donna dai capelli cortissimi. Era una guerriera. “Perché le legioni ed i pretoriani non bastano. Non possono infiltrarsi e debellare dall’interno i nemici. Io voglio di più.”
Dinocrate, interessato, versò del vino a Diocleziano, invitandolo a spiegarsi meglio. E questi lo fece. Parlò per le due ore successive, descrivendo la sua idea a grandi linee, da dove avesse preso spunto per determinate figure. Il dibattito tra i sei affinò alcuni aspetti, altri furono scartati, altri ancora furono introdotti ex-novo.
Elios, al termine della discussione, fissò il grafo che Dinocrate aveva tracciato, studiando la struttura complessa eppur geniale della cosa. “Manca solo un nome.”
Cassandra, notando come il grafo avesse preso una forma bizzarra, ne tracciò con un dito il contorno. Nitida, l’immagine di uno specchio baluginante al buio le comparve davanti agli occhi. “Specula.”
“Come, scusa?” Omar la interrogò, rendendosi conto di essere il portavoce di tutti i presenti. Il sussurro della compagna era stato così lieve che nessuno l’aveva colto.
Cassandra sorrise. “Specula.” Ripeté più forte. “Si chiamerà Specula.”
Diocleziano approvò, quindi si alzò stancamente in piedi e, andando a prendere il suo mantello ancora sgocciolante, si accomiatò dai cinque consiglieri.
Omar sorrise sarcastico. “Perdonami, Imperator, una domanda.”
Diocleziano si girò a guardare quell’uomo apparentemente innocuo. L’avesse incrociato per strada, non lo avrebbe degnato nemmeno di uno sguardo. “Dimmi.”
“Non ci hai detto chi è il peggior nemico di Roma.”
Diocleziano fece una smorfia tra il divertito e il rassegnato. Calandosi il cappuccio fece un cenno di saluto ed aprì la porta. “Il peggior nemico di Roma è Roma stessa.”

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