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Cumar - il comandante

Maggio 1234 a.u.c. - Roma Urbe, Palazzo imperiale
Nella sala delle udienze la tensione dell’attesa era palpabile, l’Imperator sedeva sul suo trono e guardava con affetto la sua figlia adottiva e suo marito. Nella grande sala rettangolare priva di colonne e con una sola corsia rossa, che conduceva i visitatori dalla porta d’ingresso al trono del padrone di quasi tutto il mondo conosciuto, il silenzio regnava sovrano.
Teodomiro era pronto a ricevere i visitatori che attendevano oltre la porta, seduto sul suo trono in legno dipinto d’oro e con una grande aquila che dallo schienale gli sovrastava la testa. Si chiese perché avessero richiesto udienza tramite un senatore invece di presentarsi al suo cospetto come avevano fatto ogni volta che rientravano da una missione.
Era un’occasione strana, però, quella: tutti e cinque i suoi Imperator Spectra riuniti dinnanzi a lui.
Forse avevano delle notizie urgenti ed ufficiali da riferirgli, per quello avevano richiesto udienza attraverso il senatore Severo, marito della sua figlioccia. I cinque conoscevano molto bene sua figlia ed il senatore, avevano svolto più di una missione insieme, dopo quanto successo in Aegyptus.
I pensieri dell’Imperator furono interrotti dall’aprirsi delle porte e dall’ingresso di cinque figure che avanzavano solenni. Al centro vi era colui che avevano scelto come loro rappresentante, il più saggio. L’uomo indossava una veste azzurra con dei simboli magici argentati sui risvolti delle maniche, sul bordo inferiore della tunica e sul cappuccio. Subito alla sua destra vi era un uomo con i capelli neri e la pelle olivastra, una rada barba gli incorniciava il volto. Dopo di lui vi era un uomo con la pelle scura, come un nubiano, indossava delle brache ed una lorica. Alla sinistra invece avanzavano in ordine una donna dalla pelle molto chiara e con i capelli biondi che le cadevano morbidamente sulle spalle ed un uomo con i capelli corti ed un volto anonimo.
I cinque si fermarono inginocchiandosi a rendergli omaggio, poi quello con la veste azzurra iniziò ad esporre all’imperatore il motivo della loro visita e il loro scopo. Mentre l’uomo parlava Teodomiro sbiancava ed iniziò a sudare. Nessuno dei presenti pensò che quanto stavano ascoltando potessero essere le fantasie di una mente malata semplicemente per il fatto che la fonte era attendibile.
Quando ebbe terminato di parlare l’uomo abbassò lo sguardo e rimase in attesa, nella stanza scese un silenzio carico di tensione. Tutti attendevano una parola dell’imperatore ma lui non riuscì a parlare, dovette attendere molto prima di comprendere appieno quanto gli era stato appena rivelato.
“Ora che mi avete rivelato queste cose cosa dovrei fare? Cosa farete voi?”
Le sue parole risultarono essere un pensiero espresso ad alta voce, ma l’uomo con la veste azzurra rispose comunque alla domanda come se gli fosse stata realmente posta.
“Per quanto ci riguarda non cambia nulla, il giuramento che ti abbiamo fatto è sempre valido. Noi riconosciamo in te, Teodomiro, Imperatore di Roma, il padrone del mondo conosciuto e rinnoviamo il giuramento di fedeltà e la nostra missione nel proteggere il tuo impero fino a quando tu, o i tuoi successori seguirete la via della giustizia.”
L’imperatore annuì in silenzio, meditabondo.
“Ditemi, come mai avete deciso di rivelarmi tutto questo?” Domandò l’augusto comprendendo la pericolosità insita in quella rivelazione, rivelazione protetta fino a quel momento proprio per questo motivo. Doveva esservi una ragione ben precisa se, dopo tanto tempo, avevano deciso di metterlo a conoscenza su come stavano realmente le cose.
“Il tuo Spectrum numero due, deve chiederti una cosa molto importante per la sua vita, Imperator.”
Lentamente l’imperatore si alzò poggiandosi ai braccioli del trono, ma prima che potesse fare il primo passo la giovane donna dai capelli rossi gli era a fianco.
“Pater, posso aiutarti?”
La vecchiaia si stava facendo sentire con tutto il peso dei suoi sessant’anni, e l’uomo fissò dolcemente la sua pupilla accettando grato il suo aiuto. Solo loro due sapevano quanto l’artrite lo limitasse nei movimenti. Poggiando la mano sul braccio che lei gli porgeva scesero i quattro scalini che li dividevano dai cinque postulanti.
“Dimmi.”
“Imperatore, ti chiedo la dispensa a sposarmi. Inoltre avremmo piacere fosse la tua consorte a celebrare il nostro matrimonio, con la tua augusta persona ad accompagnarla.”
La richiesta sorprese quasi tutti i presenti, tranne i suoi quattro amici di più vecchia data.
Alessio, un romano alto e ben piantato nonostante l’età iniziasse a farsi notare con alcune rughe osò puntare il suo sguardo scuro e penetrante sull’uomo che aveva rivolto tale richiesta dalla sua posizione defilata appena dietro al trono. Era il capo della coorte ombra, la scorta segreta dell’Imperator, e gli era sempre accanto. Si aspettava che l’armeno chiedesse qualcosa di maggior importanza, non una cosa semplice come quella, ma comprese subito che forse non era così semplice come pensava.
“Perché dovrei negartela? Mi sei sempre stato fedele ed hai la mia totale fiducia.”
“Perché la donna che amo non appartiene al tuo impero, signore.”
L’imperatore guardò stranito uno dei suoi uomini più fidati: aveva sventato molte cospirazioni ed era l’attuale maestro della propria figlioccia. Ecco quindi la reale difficoltà in quella strana richiesta. Strana, molto strana. Non gli sembrava difficile accontentare questa richiesta, ma quando, voltandosi verso la giovane che considerava come sua figlia vide lo sguardo di lei passare dal suo maestro al proprio marito con un’espressione carica di speranza e di timore, il dubbio lo colse. L’anziano regnante si concentrò e sentì che la mano della ragazza era gelida. Strano, lei non si lasciava coinvolgere da ciò che la circondava, le accadeva molto raramente e solo nei confronti del marito. Insospettito Teodomiro cercò di prendere tempo: “Per prendere una decisione devo conoscere la futura sposa, capisci, vorrei sapere se mi posso fidare di lei. Anche se già il tuo giudizio mi potrebbe bastare, è mio dovere assicurarmi della bontà della tua decisione: quando comanda il cuore spesso commettiamo degli errori di valutazione.” Concludendo la frase strinse il braccio che lo sorreggeva.
E ti pareva che non perdesse occasione per rinfacciarmi i miei errori! Pensò gaia la nobile romana che si poteva fregiare del titolo di figlia dell’imperatore.
“Lo avevo immaginato” rispose pacato lo Spectrum. “Lei è qui fuori; posso farla entrare, Imperator?”
“Che venga avanti.” Ordinò rassegnato l’uomo. Si sentiva gabbato ed era sicuro che tutto fosse stato orchestrato da quella peste rossa che gli sosteneva il braccio, sua consolazione e disperazione al tempo stesso.
Le porte furono aperte da due uomini della coorte ombra ed una splendida egiziana, la donna più bella che avessero mai visto, entrò regalando loro un sorriso dolcissimo. I lunghi capelli neri come la notte erano fermati da una coroncina secondo la moda egiziana, la pelle bruna riluceva, la veste bianca e oro le conferiva un aspetto regale, accentuato dal suo incedere solenne. Al suo fianco camminava un bimbo di circa quattro anni vestito alla moda egiziana che si teneva aggrappato alla mano della madre.
Vedendo il bambino Teodomiro lanciò un’occhiataccia alla figlia, che replicò silenziosa inarcando un sopracciglio, con un’espressione di finta innocenza che non lo avrebbe mai ingannato. Ora sapeva per certo che era stato tutto orchestrato da lei: la donna conosceva i suoi punti deboli, e lui non sapeva resistere ad un bambino, specie se dei suoi uomini più fidati e cari.
Quando giunse di fianco al suo uomo l’egiziana si fermò senza inchinarsi e trattenendo il figlio dal farlo. Alessio stava per intervenire, quando vide Teodomiro guardare la donna sconvolto. L’imperatore fissò quegli occhi gialli e neri, occhi come quelli di una gatta. Senza rendersene conto strinse il braccio della figlia con un vigore impensabile per i suoi acciacchi. Poi, quello che seguì rimase impresso nella mente dei presenti fino alla fine dei loro giorni: l’uomo più potente del mondo conosciuto lentamente si inginocchiò ai piedi dell’egiziana.
“Cosa posso fare per te, mia signora?”
La donna lo guardò comprensiva e rispose dolcemente. “Solo quello che ti ha chiesto il mio uomo: permettimi di camminare nel tuo impero, di sposare l’uomo che amo e di allevare i figli che Ra ci vorrà donare oltre al nostro primogenito. Poiché ho scelto l’esilio dalla casa di mio padre per poter vivere con lui, ora non ho più una terra da chiamare patria.” Concluse sorridendo triste e accostandosi il bimbo alle gambe, che si aggrappò alla sua veste.
Appoggiandosi al braccio della figlia l’uomo si rialzò. Si sentiva stanco, troppe emozioni si erano susseguite negli ultimi anni, i tradimenti di persone che lui amava e di cui si fidava lo avevano indebolito. Ora, invece, questo fatto lo rendeva più sicuro. Finalmente si decise a fissare nuovamente quegli occhi felini.
“Ti accolgo nel mio impero” poi sorridendo, sapendo quanto suonasse ridicola la frase, aggiunse: “Con l’unico impegno di servirlo ogni giorno e di giungere in aiuto dell’imperatore se necessario.”
Lei assentì in silenzio imitata dal figlioletto. Quindi, maestosa, la donna rese omaggio inchinandosi in una profonda riverenza, riconoscendogli davanti agli occhi dei presenti il suo status.
“Mio imperatore, posso offrirti un dono che ho portato dalla casa di mio padre?” Così dicendo l’egiziana gli offrì un calice d’oro colmo di un nettare bianco che l’uomo accolse sorridendo fiducioso. Era come comparso dal nulla, ma se tanto gli dava tanto credeva di aver capito cosa fosse la donna e non temeva alcun male da lei.
Alessio avrebbe voluto impedire che il suo signore bevesse quel liquido senza che qualcuno lo assaggiasse prima, ma non riuscì a muoversi, come gli altri appartenenti della Coorte ombra, inchiodato a terra da una forza invisibile e dal timore riverenziale che lo colse quando incrociò lo sguardo antico della donna.
Dopo che ebbe bevuto l’imperatore cadde in ginocchio lasciando cadere il calice vuoto.
“Pater!”
“Cosa, mi succede?” Sussurrò timoroso l’uomo più potente del mondo. “Cosa succede ai miei occhi?”
Carezzandogli il capo l’egiziana gli si inginocchiò davanti e rispose con un sorriso carico di comprensione: “Nulla di spiacevole, semplicemente hai aperto gli occhi ed ora vedi le cose come sono realmente.”
“Ma tu… chi sei?” Chiese timoroso lui, guardandola.
La donna gli rispose: “Io sono l’occhio nel cielo che ti sta guardando. Posso leggere la tua mente, sono quella che fa le regole. Alle prese con gli stolti posso farti credere cieco e non ho bisogno di vedere oltre per sapere che posso leggere la tua mente mentre ti guardo”. [1]
Silenziose lacrime solcarono il volto dell’uomo, con la vista offuscata incontrò lo sguardo grigio e sereno del bambino che, per la prima volta da quando era entrato in quella stanza, aveva lasciato la veste della madre e gli si era avvicinato. Con l’innocenza dell’infanzia allungò una manina ad asciugargli le lacrime e fargli una carezza.
“Non piangere, signore. Vedrai che si sistema tutto.”
“E tu chi sei, piccolo?” Chiese l’imperatore, sedendosi sui talloni e prendendo in braccio quel bambino. Con un tremulo sorriso represse l’impulso di lasciarsi andare ad un pianto liberatorio mentre il faccino del piccolo, ora felice di essere al centro dell’attenzione generale, si apriva in un allegro sorriso.
“Mi chiamo Cumar, mio imperatore.”

Scritto da: Elios Tigrane
Revisionato da: Atia Rubinia

[1] Tratto da “Eye in the Sky” Alan Parson Project.

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