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Aleksandros - Il diplomatico (Parte I)

Giugno 1247, Achaia - Domus Severa
Quarta Vigilia

Nella notte illuminata dalla luna si poteva vedere chiaramente la grande domus immersa nel verde della campagna greca. Era notte avanzata e le scure sagome degli ulivi spuntavano dal muro di cinta che la proteggeva dal mondo esterno, rendendola una piccola isola di pace lontana da quanto accadeva nel resto dell’impero. Immobile tra gli alberi che fiancheggiavano la strada una figura si era fermata, il mantello lacero, la tunica strappata in molte parti e le gambe graffiate e sanguinanti. Il giovane ebbe un mancamento per la stanchezza e pensò di non riuscire a proseguire, ma ormai mancava poco e i suoi inseguitori non lo avrebbero lasciato scappare facilmente, doveva approfittare del vantaggio che aveva. Seguì un tratturo sterrato che affiancava il muro di cinta, alla ricerca di un possibile accesso. Si fermò alla base di un ulivo centenario, vecchio e contorto come il Matusalemme della tradizione ebraica di cui il suo aio gli aveva narrato. Alcuni grossi rami scavalcavano il muro. Dopo aver respirato rapidamente un paio di volte per calmarsi si guardò nuovamente intorno: non vi era nessuno a parte un carro trainato da buoi in lento avvicinamento lungo lo stesso tratturo, in campagna la vita iniziava ben prima dell’alba. Un rumore lontano lo fece allarmare, così diverso dai suoni della notte.
Cani.
Maledizione, pensò tra sé il ragazzo. Doveva raggiungere la sua meta: era vicino e nessuno avrebbe avuto il coraggio di entrare lì dentro, nemmeno il centurione primipilus Vintidio, uomo di massima fiducia del Praefectus Urbis di Atene.

Veterano di molte battaglie Vintidio aveva ottenuto la fiducia del Prefetto Euribate detto l’Egiziano, per le sue vittorie riportate in quella Provincia durante la rivolta dei Riformisti. Ora aveva ricevuto l’ordine di sterminare le ultime sacche di resistenza all’interno della famiglia a cui apparteneva il giovane e lui era riuscito a sfuggirgli grazie al sacrificio di due uomini che conosceva da sempre. Della sua famiglia non era rimasto vivo nessuno, lo sapeva. Aveva visto le fiamme lontane avvolgere la domus dove era nato e cresciuto, aveva sentito le urla di coloro che vi erano rimasti imprigionati dentro. E quelle dei saccheggiatori. Represse a forza un conato al ricordo.
Con il pensiero tornò ad alcuni giorni prima, a quando aveva visto le fiaccole avvicinarsi alla domus in cui abitava. Aveva pensato si trattasse della carovana dei genitori che rientravano finalmente dall’Urbe, dopo una lunga assenza, forzata anche dalla rivolta che aveva travolto la provincia, ma non erano loro ed aveva avuto un brutto presentimento. Naba, il lanternarius, aveva riconosciuto in coloro che avanzavano una centuria di pretoriani, il vessillifero sosteneva l’insegna della Legio V Macedonica, con il toro e l’aquila disegnati sinistramente illuminati dalle fiaccole.
A fianco del vessillifero cavalcava Vintidio stesso. Appena Naba aveva visto la colonna di pretoriani, anticipata dal rumore delle caligae sull’acciottolato della strada, lo aveva preso per un braccio trascinandolo dentro l’atrium, pregandolo di seguire senza indugi i due uomini che lo scortavano ovunque fin da quando era piccolo. I due liberti, Publio e Lucio, erano al servizio della madre da molti anni e lo avevano condotto con urgenza all’interno di uno stabile secondario del complesso della domus Severa.
“Perché mi portate qui e non nelle mie stanze? Publio, rispondimi.” L’ordine giunse quasi urlato alle orecchie del veterano che si limitò a spingerlo avanti in silenzio mentre il compare sprangava la porta con una pesante sbarra di ferro, incastrandola negli anelli fissati nel muro a quello scopo.
Il giovane era stupito dal comportamento dei due: erano sempre stati attenti alla sua sicurezza ed ai suoi bisogni fin da quando ne aveva memoria, ma ora si muovevano lesti e furtivi, senza una spiegazione, trascinandolo come un fuscello con un’urgenza che non sapeva spiegarsi.
Non aveva mai visto il mondo fuori da quella domus se non per andare ogni tanto a trovare lo zio, con grande disapprovazione del padre, quando questi era nella proprietà distante poche leghe a controllare il lavoro degli schiavi che ne coltivavano i campi.

Il latrare dei cani si faceva sempre più vicino, riportandolo alla realtà, Il giovane si sentì perduto. La casa dello zio si ergeva a pochi passi da lui, il carro pieno di ceste stava passandogli proprio accanto. La dea bendata gli stava fornendo un’opportunità e lui non se la fece scappare: si levò fulmineo la tunica lanciandola sopra le ceste, tenendosi addosso l’anello con lo stemma della sua gens, così che lo zio potesse riconoscerlo, quindi si arrampicò sull’albero e si lasciò cadere oltre il muro finendo steso a terra. Il giovane si alzò lentamente e, guardandosi intorno circospetto, s’inoltrò nel giardino sperando di non essere scoperto da un guardiano. Mentre l’ombra del giovane si allontanava dal muro perimetrale del giardino i cani giunsero all’albero dove si era fermato poco prima, per poi continuare inseguendo il carro che procedeva lento.

Accasciato contro una parete, all’interno di una rimessa per la legna, il giovane si sentì svenire e la memoria, capricciosa, tornò agli eventi che gli avevano sconvolto l’esistenza.
Erano passati pochi attimi da quando Lucio aveva sprangato la porta che le urla provenienti dall’esterno penetrarono la massiccia porta di legno. Poco dopo le fiamme si erano alzate intorno all’edificio ed un denso fumo nero aveva reso l’aria irrespirabile.
“Presto, di qua, principe.”
Anche in quel momento Publio lo chiamava con quell’appellativo ridicolo, come quando era bambino, ma lui era figlio di un mercante e di una nobile matrona, non di un re. Tuttavia si apprestò a seguire il fedele servitore verso un pozzo verticale, nascosto fino a poco prima dalle casse che lui e Lucio avevano spostato velocemente. Publio lo aveva preso in spalla come un sacco di grano, mormorando una scusa a mezza voce e si sentì trasportare giù per una serie di scalini fissati nel pozzo.
“Dove mi porti?”
“Silenzio, siamo sotto attacco. Tuo padre aveva previsto potesse accadere, ti dobbiamo portare in salvo, lontano da qui.” La risposta stringata era giunta da Lucio, che li stava seguendo dopo aver richiuso la botola.
Una volta toccata terra Publio lo aveva depositato delicatamente al suo fianco, presa una torcia dal muro l’aveva sporta verso Lucio affinché l’accendesse con esca ed acciarino nascosti in una nicchia e coperti con tela cerata per tenerli asciutti.
I tre si erano quindi inoltrati nell’umidità di quel passaggio sotterraneo per un periodo che al ragazzo era parso durare ore, ma evidentemente non fu così poiché, quando uscirono nuovamente all’aria aperta, riuscirono a vedere le fiamme che bruciavano la domus Severa.
A tutta questa serie di eventi se ne erano aggiunti altri a sconvolgergli la vita: dopo alcune ore di cammino verso i monti, lui, Lucio e Publio erano stati intercettati da una decuria che li aveva assaliti senza dar loro il tempo di presentarsi. Il combattimento che ne era seguito era stato lo spettacolo più cruento e terribile che il giovane avesse mai visto, ma si sentiva orgoglioso e al sicuro con quei due formidabili combattenti al fianco: si era salvato solo il decurione, e solo perché era a cavallo. Il giovane aveva capito solo in quel momento che i suoi due protettori non potevano essere dei semplici liberti, dovevano essere stati dei legionari o dei gladiatori e da come si erano mossi dovevano esser abituati a combattere insieme: avevano ucciso un’intera decuria armata di pilum, gladii e scutum.
“Forza ragazzo, non abbiamo tempo.” Il brusco richiamo di Lucio lo aveva riscosso, mentre si inoltravano rapidi ed al buio nel bosco, in lontananza risuonava il corno del decurione a chiamare rinforzi.
“Ma perché la Legio V ha distrutto la domus? Dove sono i miei genitori? Publio? Mi vuoi rispondere per favore?”
Il ragazzo correva lungo la strada mentre poneva questa domanda, ma era destinato a non ricevere risposte. In una radura in mezzo al bosco, il Fato aveva decretato che incrociassero un’altra decuria di legionari che stavano controllando quella zona, accorsi al richiamo del corno. Durante quell’ennesimo combattimento il ragazzo venne spinto di lato da Lucio: “Corri ragazzo! Fuggi!”.
Ed il ragazzo era fuggito, sentendo distintamente dietro di sé le urla di guerra, il clangore delle armi che cozzavano tra loro e le grida dei feriti.
Continua.......

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