Ad Block Amazon

Aife - L'àugure

Novembre 1251 a.u.c. - Roma Urbe, Domus Raetica

Nella grande domus l’aria era carica di tensione. Riannon era andata in sposa da quasi un anno e la piccola Aife, di quattordici anni, era in giardino e giocava con l’ultimo animale selvatico che aveva recuperato e curato, l’ultimo di una lunga sequenza che faceva rabbrividire sua madre.
Sua madre questo non lo aveva ancora scoperto, ma Aife era certa che si sarebbe sentita male al vederlo, se prima non le avesse parlato di lui. Tanto più in questo periodo di assenza del padre, anche se non le raccontavano mai nulla di lui. Non poteva dire di averlo conosciuto, era sempre in viaggio per lavoro. Un lavoro pericoloso visto che ora lo davano per morto, anche se non era vero. Aife sapeva che sarebbe tornato. E che la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stato coccolarla, anche se non era più una bambina.
“Mamma si preoccupa troppo, piccolo mio, papà tornerà e aiuterà Ria a liberarsi di quel serpente di suo marito. Senza offesa, Strix, ma non capisco proprio cosa ci abbia trovato di tanto interessante in lui, mi fa venire i brividi ogni volta che mi guarda.” Essendo la più piccola dei tre figli, ora che anche Riannon se n’era andata, Aife era rimasta sola, senza reali amicizie della sua età. Non era infrequente, quindi, sentirla parlare con la creatura che teneva tra le braccia, fosse essa un passero, un cucciolo di lupo, un rospo o, come in quel caso, un serpente velenoso.
Alle fauces qualcuno bussò ed il lanternarius andò ad aprire. Al vedere l’ospite tanto illustre quanto inatteso, lo schiavo si inchinò ossequioso e lo fece accomodare con solerzia nell’atrium, mandando una schiava domestica a chiamare urgentemente la domina per avvisarla di quella visita importante.
Marius fece accomodare il senatore in un tablinum soleggiato e l’uomo si adagiò sui morbidi cuscini per rialzarsi poco dopo, all’ingresso della matrona.
Galatea era una sua connazionale, ateniese di origine, coi capelli neri come le ali dei corvi e occhi altrettanto scuri. La pelle olivastra tipica della sua gente evidenziava i lineamenti aristocratici della famiglia di provenienza, anche se illegittima. Nonostante tre gravidanze il fisico era ancora sottile e flessuoso, ma, osservandola entrare nel tablinum, Domiziano poté notare come fosse emaciata, stanca, nel fondo dei suoi begli occhi grandi e solitamente gaii, vide il profondo dolore che la straziava, rendendoli opachi. Dolore comparso nel momento in cui le avevano comunicato la scomparsa dell’amato marito. Marzio in realtà era disperso oltre i confini, negli Agri Decumates, ma Ottaviano Vito Catullo ed i suoi clientes si stavano dando un gran daffare nel mettere in circolazione la voce della sua morte. E la sua prolungata assenza non faceva altro che avvalorarne la tesi, purtroppo.
“Domiziano Severo Agostino, sono onorata della tua visita.”
“È un piacere essere qui, Galatea, anche se vorrei avere un motivo migliore per questa visita.”
I due si accomodarono a parlare di cose futili fintanto che gli schiavi rimasero nella stanza a prendersi cura di loro. Dopo aver lavato i piedi del senatore e versato il vino nella sua coppa e dell’idromele leggero per la loro padrona, furono congedati con un cenno da quest’ultima. L’esordio del senatore non era stato dei più felici, tuttavia Galatea non si risolveva ad affrontare la questione, timorosa di avere altre brutte notizie.
“Spero vorrai fermarti per il pranzo, Domiziano.”
“No, ti ringrazio, mi devo trovare con mia moglie.”
“Capisco. Mando uno schiavo ad accompagnarla qui, mi farebbe piacere rivederla.”
“Ti ringrazio, Galatea, ma non è necessario. Sono venuto fin qui per una questione importante e, temo, la cosa di cui voglio parlarti non ti piacerà molto.”
La donna sospirò stancamente, con aria affranta, accasciandosi in modo signorile contro i cuscini della sua poltrona e fissando cupamente il mosaico che decorava il pavimento, un’amena scena agreste con animali selvatici disegnati con le minuscole tessere colorate. “Cosa succede?”
“Si tratta di Ottaviano Vito Catullo.”
“Mio genero?”
“Lui. Lo sapevi che era indebitato fino al collo?”
“Lo sapevamo. Ma, dal momento che è una situazione ereditata dagli scialacqui del padre, d’accordo con Riannon abbiamo volutamente aumentato la sua dote. Sai, Marzio non c’è e queste decisioni non sono avezza a prenderle da sola.”
Domiziano fissò attentamente la donna davanti a lui. La situazione era peggiore di quanto pensasse. “Purtroppo, Galatea, tuo genero non ha ereditato solo i debiti dal padre ma anche l’abitudine a spendere i pochi soldi che ha. Quindici giorni fa mi è arrivata una lettera che Ria mi ha fatto pervenire tramite la sua schiava personale, Aisha. Mi implora di proteggere Aife ed i beni che a lei spettano in eredità e la sua dote, di salvarla dalle grinfie di Ottaviano, insomma.”
“Cosa va vaneggiando quella benedetta ragazza, ora?”
“Temo non vaneggi nulla. Ho fatto svolgere alcune indagini, in questi giorni, ed è emersa una situazione inquietante: Ottaviano ha più debiti di prima, la dote di Ria è praticamente andata in fumo tra lupanari di lusso e giochi d’azzardo. Senza contare l’amante che mantiene al Pincio.” Guardò con una gran pena nel cuore la piccola donna davanti a lui che, ad ogni sua parola, annichiliva. “Sta manovrando in senato ed al foro per ottenere la patria potestà di Aife, dal momento che Marzio è assente, forte delle voci che lo vogliono morto.” Notando il sussulto che Galatea non era riuscita a contenere, Domiziano si sporse a prendere una delle gelide mani nella sua, per tranquillizzarla. “Stai tranquilla, il tuo uomo ha la pellaccia dura. E poi Azia l’ha minacciato di scendere fino all’Averno per riportarlo indietro tirandolo per un orecchio se si azzarda a farsi ammazzare.”
Galatea rise della battuta, confortata. Azia era una vera forza della natura.
“Non oso immaginare cosa gli abbia detto Lux, allora.” Replicò sollevata.
I due risero, ma la tensione non si era dipanata del tutto. Tornando seri, Domiziano riassunse la gravitas che gli era consona da quando era senatore del popolo di Roma, e riprese a parlare di ciò che gli premeva: “Se Aife divenisse la sua pupilla legalmente, Ottaviano potrebbe fare tutto ciò che gli aggrada con i vostri beni, a meno di quelli intestati direttamente a te.”
La donna si sentì perduta. Non poteva competere con la gens Vitae: lei era della bassa nobiltà, per di più sposata ad un guerriero non nobile e, oltretutto, dato per morto.
“Cosa posso fare, allora? Cosa mi suggerisci?”
Domiziano tossicchiò imbarazzato. “Ecco… Galatea, mi scuserai se mi sono permesso, ma spero comprenderai che non c’era tempo da perdere. Appena ho avuto in mano tutte le informazioni che mi servivano, ho richiesto all’Imperatore di essere nominato tutore di Aife vista la prolungata assenza di notizie da parte di Marzio…”
La donna crollò sulla scranna di pelle, la tensione l’aveva abbandonata completamente. “Gli dèi siano ringraziati… non so proprio cosa farei senza di te, Domiziano.”
Il senatore sorrise affascinante, contento di non averla urtata con la sua presa di posizione. “Sai che l’Imperator ha un debole per le nostre famiglie e ci favorisce come può quando questo non va contro i suoi principi, la morale o la legge. Ha accettato.”
Estraendo da una sacchetta in vita, sotto alle pieghe della toga laticlavia, un documento arrotolato e sigillato, lo porse alla donna. “Questo è il suo avvallo, questa copia è per te.”
La donna pianse lacrime di commozione. “Siamo fortunate ad averti per amico. Davvero fortunate.”
“Sono felice di essere di aiuto alla familia di un mio frates, lo sai. Ne abbiamo passate tante insieme… ed anch’io non vedo l’ora di riaverlo qui. Anche perché così magari Azia la smette di rimbrottare contro tutto e tutti.”
Ridendo i due si accomiatarono e Galatea si offrì di accompagnarlo alla porta. Passando per il peristilium videro la piccola Aife nel giardino; nascosta da una siepe di bosso parlava piano e sibilante a qualcosa. “Aife? Accidenti se è cresciuta dall’ultima volta che l’ho vista!”
“Già, ormai è diventata donna, anche se il suo corpo è ancora acerbo.”
“Come crescono in fretta, Galatea, non è vero?”
“Sì, verissimo. Miridia e Massimo?”
“Due diavoletti scatenati.” La voce del senatore si incrinò un attimo, come sempre quando parlava dei figli, e non poté fare a meno di dedicare un fugace pensiero alla piccola Miriam. La domina se ne accorse, ma non lo diede a vedere: l’ultima cosa di cui avevano bisogno Azia e Domiziano era qualcuno che mostrasse loro una pietà non voluta.
Avvicinandosi alla piccola, Domiziano cominciò a distinguere un poco le parole, essendo stato per tanto tempo assieme a sapienti e druidi. Aife stava cantilenando una qualche filastrocca in una lingua che non conosceva, ma che assomigliava al celtico.
“Ma a chi sta parlando?” Chiese incuriosito.
Galatea sollevò gli occhi al cielo in un’invocazione disperata. “Temo di scoprirlo. Mi fa venire un colpo ogni volta. Lo sai che la settimana scorsa ha portato in casa un cucciolo di lupo?”
Domiziano rise forte, attirando l’attenzione della ragazzina.
Aife si voltò a guardare sua madre e lo zio con occhi nuovi. Seria, si alzò con calma per poi inchinarsi graziosamente come aveva imparato da Riannon, secondo i nuovi costumi che dilagavano nell’impero. “Ave, zio Domiziano. Madre.”
Galatea sbiancò, vacillando. Domiziano rimase di stucco, ma impassibile per quanto possibile. Ne aveva viste tante in vita sua da scomporsi molto difficilmente, ma... era comunque difficile accettare ciò che vedeva: attorno al collo della giovane celtica, che guardava fissamente i due adulti, vi era una lunga vipera italica. “Ave, Aife. E quello…?”
“Lui è Strix. È il mio nuovo amico. Sai zio? Strix mi ha detto che tra non molto aiuterò Ria e Ury. Non vedo l’ora!”
Domiziano puntò serio lo sguardo sulla ragazzina davanti a lui per sprofondare nei decisi occhi neri come l’inchiostro, occhi che non erano più umani, con due palpebre come i serpenti. La lingua frustò l’aria come a saggiarne il sapore. Come il serpente che l’avvolgeva.
“Cosa intendi dire, Aife?” Chiese timorosa la madre.
“Che diventerò un’àugure al servizio dell’Impero.”

Scritto da: Atia Rubinia
Revisionato da: Elios Tigrane

Nessun commento

Powered by Blogger.